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 ETTORE  MUTI     

di Enrico Mancini

 
“Nella dottrina del Fascismo l'impero non è soltanto un'espressione territoriale o militare o mercantile, ma spirituale e morale”

Benito Mussolini

 

Prefazione
I primi anni - In fuga verso il fronte
La questione di Fiume
La guerra d'Etiopia
Legionario di Spagna
Dalla segreteria del P.N.F. ai primi anni di guerra
Verso la fine - parte I
Verso la fine - parte II

 
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La guerra d'Etiopia

Premessa

L'Etiopia era contigua alle due colonie italiane dell'Africa Orientale. L'impresa, poi, seguiva l'indirizzo tracciato da De Pretis, Crispi, Giolitti, secondo quanto era stato preconizzato precedentemente da Cavour e Mazzini.
A questi motivi se ne aggiungeva un altro di sicurezza militare. Da almeno mezzo secolo l'Abissinia odiava l'Italia e da 6 anni andava accentuando armamenti e sentimenti antitaliani. Per di più, agli occhi degli Abissini, eravamo sempre gli sconfitti di Adua.
Il 17 novembre 1934 vi fu un assalto al consolato italiano di Gondar; il 5 dicembre un'aggressione al presidio di Ual-Ual. L'Etiopia, spalleggiata a livello internazionale, non intese rendere le soddisfazioni che l'incidente richiedeva. La propaganda antitaliana condannò l'Italia prima che la Società delle Nazioni si pronunciasse.

La guerra

Il 3 ottobre 1935 le truppe italiane passavano il Mareb occupando il 4 Adigrat, il 6 Adua, il 14 Axum. Il 2 novembre la Società delle Nazioni decideva le sanzioni economiche, finanziarie e commerciali contro l'Italia, fissandone l'inizio per il 18 novembre. Si trattava di applicare l'art. 16, considerato da sempre lettera morta.
Gli Italiani reagirono celebrando il 18 novembre la giornata della fede, donando l'oro del matrimonio alla Patria. Qui, in Africa, nascerà il mito di Ettore Muti, l'eroe alato.
La sua prima destinazione è in Dancalia, con il compito di atterrare in territorio nemico per caricare a bordo i ras decisi a passare dalla nostra parte o informatori preziosi. Spesso rientrava con le ali forate dalla reazione della contraerea.
La prima medaglia d'argento la guadagnò oltreché per le puntate in territorio nemico, anche per le azioni di bombardamento e di ricognizione compiute con centinaia di ore di volo. Nell'aspro combattimento di Mai Ceu, oltre che col bombardamento, contribuì all'azione scendendo a bassissima quota per mitragliare le truppe abissine ammassate; ogni qualvolta volava radente sullo schieramento nemico, tra questi nasceva un tale scompiglio che la prima linea veniva abbandonata, sicché i nostri reparti potevano approfittarne per attaccare. A Dessié, dove gli Abissini avevano concentrato ingenti forze per effettuare un contrattacco di sorpresa, ad Amba Aradam dove erano in atto accaniti combattimenti, la sua squadriglia si distinse ed il suo comandante ricevette una medaglia di bronzo. Nel Goggiam e nell'Aussa, Muti continuò a far parlare di sé guadagnandosi un'altra medaglia di bronzo.
Una volta si offrì volontario per rifornire ed appoggiare una colonna avanzante in territorio nemico, organizzando a difesa il luogo e tenendo la posizione per tre giorni e tre notti. Tornava alla base con l'aereo tutto sforacchiato, soltanto dopo aver consegnato il caposaldo alle nostre truppe. Nel comunicato che il primo maggio il Comando Superiore delle Operazioni in Africa Orientale, ad un certo punto si diceva: “Un apparecchio ha sorvolato il campo di Adis Abeba, investito da violente raffiche di mitragliatrici provenienti dalle vicinanze del campo e dal centro della città e colpito in più parti è rientrato alla base”.
Si trattava dell'apparecchio del comandante Muti. Doveva volare sul campo d'aviazione di Addis Abeba per osservare le condizioni di atterraggio. Dopo essere passato a volo radente 4 volte, incurante della reazione nemica, scendeva a saggiare con le ruote il terreno, quasi fosse un'esercitazione. Dopo mezz'ora di volo, il nemico riuscì a colpirlo in un motore, messo fuori uso, ed in due serbatoi di benzina, squarciandone uno; soltanto allora decise di tornare alla base. Il volo di ritorno fu quanto mai difficile e penoso, le esalazioni di benzina intossicavano l'equipaggio, tenere in quota un apparecchio così conciato era quasi impossibile, le condizioni atmosferiche intanto erano peggiorate, ma il sangue freddo di Muti e l'abilità del suo meraviglioso equipaggio fecero il miracolo. Per questa straordinaria impresa Muti si meritò la seconda medaglia d'argento.
Sarebbe rimasto volentieri in Africa, affascinato da quella terra. Invece, la sua permanenza fu delle più brevi. Di lì a poco il suo impeto guerriero lo avrebbe fatto trasferire altrove.