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LA VITA AL VENTO Parte I L'orma sulla duna I Fuori porta, a ponente, la città finiva in piena campagna con quel villino. Oltre, il tram elettrico proseguiva per lo stradale fiancheggiato di platani. A destra, fino alla montagna, era tutta una parata di ulivi, veterani e canuti, in file impeccabili. A sinistra, l'ordine sparso delle reclute sbarazzine e gaie d'un mandorleto, fra cui, qua e là, pingui e bonaccioni, aprivano le pesanti braccia alcuni carrubi. Su tutti, altissimo a guardare e a intridersi un po' nell'azzurro strepitoso del cielo, un personaggio importante: un pino secolare, che ricordava re Ferdinando I. Il villino stava fra gli ulivi e quattro o cinque ne aveva anche nel suo recinto, gravi e proletari, tutti coperti di polvere, tra la folla aristocratica e linda delle palme, delle robinie, delle latanie e delle musacee. L'edificio, che avrebbe voluto arieggiare lo stile liberty appena entrato in voga, era senza intonaco, come se lasciato in asso sul più bello. Unico piano sovra un ammezzato, sotto i tetti rossi. Dal balconcino si tendeva una banderuola di carta: Si affitta una Il ragazzo e la signora abbrunata guardarono attraverso il cancello. Si
udivano voci di bimbi, — C'è anche la fontana, mamma — disse il ragazzo. — Ti piacerebbe, Bruno? — domandò la signora. — Sì, tanto! — Proviamo. E' un po' lontana dal centro; ma per noi non sarà un male. Tirata una catenina di ottone che penzolava lungo un pilastro del cancello,
tintinnò una — Chi è? — chiese con tono e faccia un po' bruschi. Quattro teste di ragazzi d'ambo i sessi a scala, fecero capolino da una
finestra accanto, tutte — Si può vedere l'appartamento? — chiese la signora. — Il padrone non c'è e neanche la padrona. Ma adesso sentirò dalla nonna. E la serva si ritrasse. I ragazzi della finestra e il ragazzo della via si sorrisero. — Quanti amici troveresti, eh Bruno? — disse la signora al figlio, sorridendogli anche lei sotto la velata. Questi rispose piano: — Bisognerà vedere, però, se andremo d'accordo. La serva ritornò senza lo strofinaccio e con aria più accogliente. Aprì il cancello e introdusse i visitatori per condurli incontro a una vecchietta vispa e gentile dietro la quale si mosse anche la scaletta infantile a quattro gradini alterni di maschi e femmine. — Vengano, vengano! — badava a dire la vecchietta, con spiccato accento lombardo — mia figlia è in officina col marito. Capirà, signora: l'occhio della padrona... gli uomini vedono sempre meno delle donne. E poi, nei paesi nostri le donne sono abituate a lavorare. Io resto a badare ai tosi: con le vacanze, son tutti in casa. E son birichini... ma non danno disturbo, stia tranquilla. Ecco l'ingresso dell'appartamento superiore, si accomodi. «La casa grande» ossia il quartierino — otto camere più bagno cucina e ingresso — era arioso e pieno di luce. La signora ne restò visibilmente soddisfatta. Tra una cinguettata e l'altra dei ragazzi e della nonna, veniva dicendo piano al figlio: — Questa sarebbe l'anticamera, di là il salotto e di qua la sala da
pranzo. La zia potrebbe Bruno fece di sì col capo; poi si volse ai ragazzi, sorrise per la seconda volta, e si uni a loro per rifare il giro della casa. La mamma restò a discorrere con la vecchietta sulla pigione e sulle condizioni. La brigatella infantile, dopo avere girato per le stanze vuote, scese
scavallando per le scale in Gli chiesero come si chiamasse. — Bruno Soveria. — Soveria… Soveria... par che dica soneria. Il nostro nome è Collebrina. E' più bello. — Io preferisco il mio. Gli si presentarono anche per nome di battesimo: Stella, Agostino, Diana e Arturo; ma il babbo li chiamava sbrigativamente coi vezzeggiativi: Tetè, Titì, Tatà e Tutù. Bruno prese la rivincita: — Pare la tromba. — Ah! ah! ah! — risero; e Titì, che era il più pettegolo, aggiunse: —
e tu sarai il tamburo: Bruno sentì una gran voglia di graffiarlo. Eh no, decisamente, non erano
ragazzi da poterci C'era un quinto rampollo Collebrina; ma Bruno lo conobbe soltanto dopo il 31
agosto, quando Lo vide al seno della madre, piccolo marsupiale di sei mesi. E seppe che si
chiamava Cavour, La signora Collebrina era rubiconda e tonda e parlava, ma ancora più
vivacemente, come la — Piacere di conoscerla, signora Soveria. Avrei dovuto fare prima il mio
dovere; ma cosa Qualche ora dopo venne il signor Collebrina a portare la ricevuta della
pigione. Era vasto e — Riverita, la mia signora. E' questo il suo ragazzo? Che bella faccia intelligente! Dieci, undici anni come il mio Titì, no? Dio glielo preservi, meglio di que' miei monelli che non hanno voglia a niente. Lei uno solo e buono, tutta sostanza, direi: io cinque, che messi insieme non fanno mezzo. E Dio non si stanca di darmene. Ma l'ultima volta ho raccomandato alla cicogna di non presentarsi più a becco pieno. Il ragazzo mi guarda. Già: è un'antica credenza tedesca. Io sono stato molto tempo in Germania, ad addestrarmi in certe industrie. Grande paese. Dicono: Deutschland über alles. E' un po' esagerato; ma, per i tedeschi, è giusto dire così. — E la cicogna? — chiese Bruno, simpatizzando, mentre la mamma sorrideva. — In Germania è la cicogna che nel suo becco porta i bimbetti alle mamme.
I bimbi nuovi Bruno, che già approssimativamente sapeva come arrivano nel mondo i bambini, scosse la testa a occhi bassi e non fiatò. Ma il signor Antonio — così si chiamava Collebrina — gli piacque molto lo stesso. Divenne, anzi, il suo miglior amico; finì col preferirlo ai suoi figli. Questi, dopo sei mesi, Bruno già li evitava tutti, maschi e femmine. Stella soltanto si mostrava gentile; ma era destinata, così fragilina e diafana com'era, a lasciarsi sempre sopraffare da quei due rompicolli di Titì e Tutù che chissà come si sarebbero imposti anche a Bruno, se questi non avesse dato a tempo una gagliarda prova di sé. Titì, suo coetaneo magro e ammerluzzito, e Tutù, pallottola di sette anni,
si mettevano in due a — Mi son fatto conoscere! Diana era la bella e la viziata di casa Collebrina. Anche papà Antonio aveva un debole per lei; debole che diminuì però quando — in capo ad altri due anni e precisamente pel Natale del 1900 — la famosa cicogna portò in casa un'altra bambina. — Questa deve tenermela a battesimo lei, signora Vittoria! — venne su a
dire, con la sua aria E mamma acconsentì; e Bruno fu, anche, il compare. La bimbetta ebbe imposti
i nomi di Alba, Costui frattanto diventava un personaggio che stordiva tutti gli abitanti del
villino, col suo — Non vedete quanto legge, quel ragazzo? C'entra tutto, nei libri, ci diguazza dentro, ne beve il succo e ne la anima e cervello. E quell'eloquenza vi par nulla? Potessi vincere una quaterna, come sono sicuro che diventerò presidente dei ministri! *** Ben presto cominciarono anche gli amori. Quale fu il primo? Forse fu Diana Collebrina. Ma durò un
giorno, l'unico giorno che andarono Era avvenuto nei primi tempi, quando ancora di Alba non esisteva neppure il seme. Giocavano tutti a nasconderello nel giardino e si trovarono un momento, egli e la ragazzina, insieme, rannicchiati sotto le frasche delle piante di pomidoro sostenute da canne intrecciate a forma di capannette, mentre gli altri li cercavano attorno. — Non ci pigliano! — gli soffiò in un orecchio Diana, soffocando le risate. E Bruno se la vide accosto, con gli occhi vicini vicini ai suoi, che parevano enormi. Allora sentì come se le viscere gli si dilatassero d'improvviso, montandogli pel seno fino alla gola. La baciò, ed ella gli si strinse addosso, contorcendosi nelle risa soffocate. Bruno si convinse in quel momento di volerle bene più che alla mamma. Ma poi ella si nascose con un altro ragazzo, un biondino, amico dei suoi fratelli, e Bruno provò un tale impeto d'odio contro di lei, che da quel giorno non volle più guardarla in faccia! Sui quindici anni, gli amori si fecero di altro genere. Egli
stesso, però, non li considerò mai Rincasava una volta da uno di quei luoghi, con l'odore di cipria muschiata ancora sulle labbra, quando trovò presso la mamma la signora Collebrina con la piccola Alba, che era allora un Sévres di quattro anni, bianco e biondo. — Oh Bruno, ti ho portato la sorellina… oh, pardon: io
continuo a dargli del tu senza pensare — Continui pure, Bruno non se ne offende. Bruno, guarda come si fa sempre più bella la nostra bamboletta. Perché non la baci? Bruno fece per baciarla infatti; ma la piccina gli respinse il viso con le manine, voltando il capo dall'altra parte. — Cos'è, Albetta? Non ti ha sempre baciata Bruno? — la sgridò la madre. — Suvvia, non fare la schizzinosa! Alba, con tanto di broncio, si lasciò baciare e poi scoppiò a piangere. Le due mamme non seppero spiegarsi il contegno della bimba; ma Bruno, che aveva sentito nel bacio l'odore dolce, quasi latteo, dell'epidermide di lei confondersi con quello acuto e volgare che egli portava ancora in faccia, in tutta la persona, capì ed ebbe rimorso di avere insozzato così quell'innocenza sensitiva. *** Poi fu la volta della Serventi, la sua compagna di terza
liceale, che per un buon mese Bruno Irritatissimo contro di lei, un tepido pomeriggio di maggio, egli si era esiliato sotto il pergolato del giardino comune, ove lo zampillo della vaschetta gli dava l'illusione della frescura d'una cascata. E leggeva, o, più esattamente, teneva sotto gli occhi l'enorme in-folio dell'Orlando Furioso illustrato dal Dorè. Alba bianca e oro si appressò discretamente e si soffermò poco discosto, incerta; ma, quando lo vide alzare uno sguardo sopra di lei, gli chiese: — Che leggi? — Una fiaba. — Bella? — Tanto! — Vorrei leggerla anch'io. — Come, se conosci appena le vocali? Sei troppo piccola.
Vieni, te ne mostrerò piuttosto le Uno dei quadri che più la colpirono fu quello. di Astolfo
sull'Ippogrifo nel viaggio alla luna; e — Tu sei Astolfo. Bruno si mise a ridere. — E perché? — Così. L'ho sognato. — Oh, bella! Quando? — L'altra notte. Ho sognato di vederti montare su un uccello tanto grande e andar via, in mezzo a nuvole rosse rosse, in un cielo nero nero, e sparire. Ma poi ritornavi e le nuvole erano bianche e il cielo come il cielo vero. Bruno le coprì di baci la testina, ridendo, lieto di quel sogno
bizzarro e ci ripensò più tardi e Altro che la scuola, con le anticaglie del professore di greco,
e con le smancerie di certe Ma il primo fatto serio della sua vita doveva avvenire pochi mesi dopo. Un giorno, rincasando, trovò la mamma con una lettera in mano. — Chi ti ha scritto, mammuccia? — Flavia. Mi comunica che si è sposata. — La zia Flavia? Come mai? Non era già maritata? Si sposa solo adesso? — Sì, solo adesso. E mi dice che in grazia di questo matrimonio, con un
uomo vecchio, ma — Che male abbiamo fatto noi alla zia Flavia? La signora Vittoria fu un po' evasiva: — Tu la chiami zia, e va bene perché ha quasi il doppio della tua età. Ma essa non è che l'unica figlia dello zio di papà: di tutta la famiglia Soveria non sopravvissero che loro due cugini germani. Da ragazza, Flavia si era trovata in disaccordo con i suoi e il disaccordo continuò poi col tuo povero padre che ne era il tutore. Essa, appena maggiorenne, volle andarsene per conto proprio e papà non volle più rivederla; ma l'aiutò spesso, da lontano, come poté. La disgrazia ha resa ingiusta zia Flavia. — E neanche tu vuoi più rivederla? — Mah... le dirò che la nostra casa è aperta per lei e per questo suo
marito. Finalmente Mentre parlava così con sua madre, Bruno ricordava la zia Flavia, che egli aveva conosciuta per la morte del babbo. Prima di quel giorno, non si era mai fatta viva, almeno per lui. Era arrivata allora, vestita a lutto, grande, pallida e ostile. Bruno, fra le lacrime, quando ella si era chinata a baciarlo, aveva notato soprattutto il naso acuto e gli occhi caprini. Aveva notato anche che baciava la mamma con l'atto quasi di morderla. Dopo i funerali, essa aveva chiesto se si fosse trovato il testamento. — Tuo cugino — aveva risposto la mamma, quanto più placidamente le
consentiva il suo La zia aveva respinto le chiavi, serrando le labbra sottili per non lasciarsi sfuggire chissà quali parole dure. E il domani era ripartita. Eppure Bruno la ricordava senza rancore. Erano passati otto anni da quel giorno. Tre giorni dopo la risposta della mamma, ecco un telegramma: « Gratissimi tua offerta, verremo passare teco stagione balneare. Arrivederci. - Flavia ». Troppa grazia! La signora Vittoria ne fu contrariatissima: la stagione
balneare era un termine Ora Bruno ebbe agio di guardare bene la zia Flavia, e si accorse che non era affatto brutta come gli era apparsa la prima volta. Il naso sembrava meno lungo, forse grazie all'arrotondamento delle gote, e gli occhi meno glaciali. Questi, anzi, gli ricordarono gli occhi di Mistinguette, ammirati più volte sulle riviste illustrate. — Cosa continui a chiamarmi zia? gli fece ella squadrandolo, un po'
sgarbata — siamo pro- Ventotto, contro trentacinque che gliene dava la mamma. Ma Bruno fu più incline a credere che sbagliasse la mamma. *** I Soveria avevano preso in affitto una capanna sulla spiaggia, allora poco
frequentata, di L'inglese badava ai piccini ai quali talvolta Bruno si univa per farli
giocare sulla sabbia o — Io compirò a momenti diciotto anni — ribatté Bruno, punto sui vivo. Essa gli rispose con una risata lunga, mordente e acuta, che dilatò selvaggiamente la sua bocca quasi felina. Bruno non le parlò più, e rispose per qualche giorno a monosillabi ogni volta che ella gli rivolse la parola. Frattanto si era accorto che Flavia non somigliava a Mistinguette soltanto per gli occhi, ma anche per un altro particolare: le gambe. Non capiva come si potesse asserire che quelle della celebre étoile francese fossero le più belle gambe del mondo, se queste della zia Flavia erano così impeccabili di linea, di proporzioni e di vellutata levigatezza. Di questa terza caratteristica si rese conto un giorno che riuscì a sfiorargliele con la scusa di spazzarne la sabbia fina che v'era rimasta attaccata dopo il bagno. — Ehi, monello, — gli garrì lei — non farmi il solletico. Egli rimase mortificato e da allora si limitò a guardargliele di sottecchi. Le poche signore che si vedevano sparse per la spiaggia scendevano in mare
forse più vestite Dominatrici e crudeli. In più occasioni Bruno dovette esperimentarne la crudeltà. Una mattina mentre Flavia era in acqua, egli s'intrattenne con Aura e Alba, che coi loro rastrelli livellavano e mondavano la sabbia. — Costruiamo il deserto di Sahara? — propose loro. E le bimbe, che non sapevano cosa fosse il Sahara, applaudirono contente e gli si posero ai fianchi lasciandolo fare. Anche Gwedoline, seduta e rigida come se avesse inghiottito un terzo rastrello, assistette al suo lavoro. In un tratto di spiaggia dinanzi alla loro capanna, Bruno raccolse la sabbia
in monticoli ben — Queste sono le dune. — Le dune? — ripeterono le bimbe, guardandosi e sorridendosi meravigliate. Poi scavò un fossatello e vi versò acqua e attorno vi piantò poche fronderelle d'oleandri. — E questa è l'oasi. Le bimbe ammirarono abbagliate. — Adesso la carovana, composta delle viaggiatrici Aura e Alba, proveniente
da lontano, E condusse le bimbe piano piano pel Sahara lungo tre metri. Aura e Alba, serissime, guardandosi i piedini, passarono sulle dune che cedevano, deformandosi con loro grave disappunto. L'orma dei quattro piccoli piedi solcò tutto il deserto e giunse al laghetto ove l'acqua era già stata succhiata dal terreno filtrante. — Giungono all'oasi assetate e non trovano più una goccia nel lago Tsad. Ma ecco che accorre ad aiutarle il gran capo dei tuareghi Brun-el-Soveriah... In quel momento tornava Flavia gridando, a Gwedoline, distratta a seguire
l'avventura, che le — Badate a me, invece che alle stupidaggini dei ragazzi. E andò difilata verso la capanna, attraversò a grandi passi il labile Sahara, calpestò l'oasi, fece crollare le dune. Dietro i suoi piedi inesorabili restarono orme incerte e mezzo cancellate. Anna e Alba rimasero atterrite da tanta rovina. Bruno non aveva ancora parlato del simum. — Bisognerà rifare il viaggio — propose Aura appena ebbe ripreso fiato. — Lo rifaremo più tardi, — rispose Bruno di malumore. E si distese
bocconi, rastrellando di *** Mare assordante, tutto spume lungo il lido. Zia Flavia, rimontando subito, s'incontrò in Bruno che scendeva all'acqua. — Dove vai, alla buvette? — gli chiese passandogli dinanzi stillante. — Ah, io non sono di quelli che bevono. — Vorresti essere di quelli che la danno a bere? Con quel mare lì, bimbo mio, devi metterti lo scafandro. — Scommettiamo che io arrivo a quella barca? — Io non scommetto nulla. Ma lo dirò a tua madre, perché ti tiri le orecchie. Bruno corse a tuffarsi. Essa, chiusa nell'accappatoio, rimase a guardargli
dietro, ironica, tra — No, Bruno, vieni a giocare! Altri bagnanti, qua e là, assistevano pure alla temeraria prova. La barca che Bruno si proponeva raggiungere era a trecento metri almeno dal
lido, e Egli la guardava ogni tanto per mantenere la direzione, schiaffeggiato dalle
spume e a tratti Mancavano ancora cinquanta bracciate a raggiungere la barca, e Bruno aveva già il fiato grosso e il cuore in gola per lo sforzo, quando sentì un piede intormentirglisi e formicolare, sicché involontariamente scemò la foga delle sue rancate. Si soffermò un momento, ansante; ma il crampo lo addentò con maggior violenza paralizzandogli una gamba, mentre un'ondata larga gli passava sul capo. Emerse, grazie ai colpi disperati che dava con le braccia e con la gamba ancora valida; ma sentiva come un peso di piombo tirarlo nell'abisso sconvolto. Si accorse — senza però rendersi conto del perché — che dalla spiaggia tutti gesticolavano, tranne la sagometta nera ed immobile di Flavia. Ebbe la prontezza di spirito di distendersi sul dorso e di dare alcune
bracciate in quella Si ritrovò sulla barca, fra due uomini scalzi e grondanti che lo massaggiavano indiavolatamente. Balbettò qualche parola priva di senso. Gli spiegarono che, giunto proprio sotto l'imbarcazione, era affondato e avevano dovuto ripescarlo a grande stento. Sulla spiaggia tutti gli vennero incontro felicitandolo, strappandoselo l'un
l'altro per sentire le — Hai bevuto molta acqua, eh, presuntuoso? — Ma sono arrivato alla barca! — rispose Bruno con impeto. Quando rimasero soli, mentre la cameriera più in là pettinava le bimbe, il ragazzo asciugandosi nell'accappatoio chiese alla zia-cugina seduta al sole, senza guardarla: — Avresti riso ugualmente se fossi annegato? — Chi lo sa... — rispose ella, irritante. Bruno insisté, anche lui in tono aggressivo: — Che cosa ti ho fatto da odiarmi così? Essa trasalì, gli piantò in faccia gli occhi caprini diventati cattivi e ribatté, sibilando: — Ormai non mi fa più nulla che tu viva o non viva. Non avresti dovuto nascere, piuttosto, per non venire a togliermi ogni cosa. E si ritrasse nella capanna per vestirsi. Bruno restò di sasso. Capì tutto e sentì per lei un senso di pena mista
all'ira di vedersi fatto Il giorno dopo disse che non sarebbe andato alla spiaggia, accusando un
impegno altrove. — Ci lasci andar via da sole? Non è un atto cavalleresco. Credevo che tu fossi almeno amabile. — Amabile, — ribatté Bruno, acre — lo dice la stessa parola, è chi può essere amato. — Oh, oh, esageri! Amabile vuol dire gentile. E tu in questo momento non lo sei. Egli perdé completamente la calma. — A che serve la gentilezza con chi ci detesta? Flavia lo guardò, seria questa volta, e dopo un momento, in un tono quasi
dolce che egli non le — Via, andiamo. Fa il tuo dovere di cavaliere. Lo prese per un braccio e lo condusse. Sulla spiaggia, quando la lunga gonna che usava in quegli anni per le signore non nascose più le belle gambe da Venere siracusana della zia Flavia, Bruno — seduto su la sabbia in costume da bagno — non poté fare a meno di contemplarle, come sempre. Era una delle cose di lei che l'avversavano. Le gambe, gli occhi, la voce, il riso di quella donna caduta ad un tratto per caso, in modo così violento, nella sua vita, con la scusa di una parentela che né lui né lei stessa sentivano, tutto gli era nemico. Bruno si accucciò silenzioso e scuro. Dopo avere tentato invano di farlo
parlare, Flavia, nel Flavia si liberò con un calcio che lo colse al viso, ma forse con maggior dolore per lei che per lui, ed esclamò: — Ahi, canaglia! Mi hai fatto male. E si lasciò cadere sulla sabbia massaggiandosi il piede e la gamba, mentre
gli sfrecciava — Se mordi, — gli disse — è segno che mi odii tu piuttosto, tu che te ne fai tanto del mio odio. Egli allora le strinse di nuovo una caviglia, ma per carezzarle il polpaccio, lì dove prima aveva morso. Ella a sua volta, sempre ridendo, col piede gli carezzò leggermente il viso, dove lo aveva colpito. Così stabilirono una tregua nella loro guerra. *** Bruno si accorse che Flavia era piacevolissima nella conversazione quando aveva l'umore meno perfido. Le fece sentire gli articoli di letteratura che già pubblicava su qualche giornale, ed ella li gradì e li discusse con garbo e intelligenza. Una mattina, Bruno, risalito dalle acque dopo appena un tuffo, accusando un
malessere, si Gli si pose a sedere accanto e gli domandò che cosa si sentisse. — Un po' di stanchezza e di mal di capo. — Vuoi che ritorniamo a casa? — No: quest'aria mi fa bene. Lo fece allora alzare perché non rimanesse con la testa nuda al sole, e lo invitò — sedendoglisi accanto — a ridistendersi all'ombra della capanna. C'era poca gente sulla spiaggia e da lì non li vedeva nessuno. Aura, Alba e Gwedoline facevano il chiasso nell'acqua con altri bimbi e governanti. — Vuoi appoggiare la testa sulle mie ginocchia? — chiese la zia-cugina con dolcezza insolita. E Bruno acconsentì. Il vento diventava impetuoso e sollevava nuvoli di sabbia calda e scostava a poco a poco i lembi dell'accappatoio rosso sulle gambe di Flavia. E le gambe rimasero scoperte sotto gli occhi del giovinetto, finché involontariamente egli avanzò una mano a carezzarle, una mano che vi s'indugiò, quasi volesse imprimere nel suo cavo le loro forme. — Come son belle ! — sussurro. — Ti piacciono? — sorrise Flavia, fatua — infatti me l'hanno già detto parecchi capaci di fare confronti più di te, che sei ancora all'abbiccì di queste conoscenze. Egli si sentì punto da un'inspiegabile gelosia a queste parole buttate da
lei come una — Zia Flavia! Zia Flavia! — balbettò ad un tratto con voce strozzata,
alzando gli occhi a — Che curioso effetto mi fa sentirmi chiamare zia! — esclamò con un
breve riso un poco Bruno, sempre più eccitato dalla sua voce, dalle sue parole, stava ora bocconi intento a baciare e a mordicchiare quelle carni vellutate e sode, e aveva già scoperte le ginocchia; quando improvvisamente, correndo festosa, apparve Auretta nel costumino madido d'acqua. Flavia respinse Bruno, gridandogli con la sua voce cattiva: — Finiscila, insomma! La bimba si soffermò incerta a sogguardare Bruno con una strana espressione di paura. *** Il giorno dopo Aura era rimasta a letto, un po' febbricitante. Bruno era sicuro che non si sarebbe parlato di bagno, per quel giorno. Sennonché, trascorsa di poco l'ora abituale, Flavia venne a chiedergli: — Beh, non vuoi accompagnarmi oggi? — Oh, non è niente. Resterà Gwedoline a badare a lei. Faremo salire anche le bimbe di giù per tenerle compagnia. Siamo agli sgoccioli della stagione ormai, e non voglio perdere un solo bagno. Ma se non ti va... — Tutt'altro! Così andarono, solissimi. La signora Vittoria, presa alla sprovvista,
guardò loro dietro in Al lido, egli fu il primo a entrare nella capanna e a mettersi in costume;
poi attese lei che fece — Debbo dirti che tu nuoti meglio di me — confessò Flavia — non andare avanti: se un crampo mi cogliesse, come te quel giorno, starei fresca. — Ci sono io. — Rieccoti presuntuoso. Non ne perdi un'occasione! Non vuoi convincerti che sei un ragazzo? — Non tanto, ormai, da non poter fare tutto quello che fanno gli uomini. — Oh, tutto!... Cosa vuoI dire «tutto»?... Ah! Ah! Ah!... Vorrei vederti
alla prova. Ah, il Bruno la vide annaspare con le mani e, spaurito, si slanciò a sostenerla. Ma
allungando le — Ci hai creduto, eh? Sarebbe stato tanto facile il tuo eroismo, fanciullo! Bruno la strinse alla vita forte forte, la sentì tutta aderire contro di sé, ne sentì le carni tenere, le ossa minute. Gridò: — Mi vendico! Prova adesso a liberarti. Il tuo crampo sono io! Flavia rise; ma un'ondata la colse in pieno in faccia, le colmò d'acqua la bocca aperta, l'obbligò a tossire spasmodicamente e a sputare; finché, arrabbiatissima, gli avventò un'artigliata al naso, sibilandogli: — Va! Sei sempre di quella razza odiosa! Risentito, Bruno voltò le spalle e fece per allontanarsi. Ma subito Flavia lo richiamò, dicendogli ancora un po' aspra: — Vorresti lasciarmi sola giusto adesso che mi hai fatto star male? Bruno si volse e, torvo, senza una parola, la riaccompagnò a terra. Ivi essa
lo tirò per mano — Sei antipatico, sai? vorresti anche aver ragione? — Certo. Che colpa ne ho avuta, io? — Al solito, tu non hai colpa di nulla. Sei l'agnello ed io il lupo, no? Ebbene, agnello, io ti dirò, come il lupo — ma nel caso nostro senza che tu possa disdirmi: — è per causa di tuo padre, che mi fece un grave torto. Ma non parliamone, perché mi fa male. Non ti pare che il sole sia troppo forte qui? Se ci mettessimo all'ombra, come ieri? Ed eseguì. Bruno restò un momento immobile, assalito dall'immagine di suo padre. Così bello! Così elegante! Come lo aveva visto un giorno che andava a una festa in abito nero, quale era effigiato nella fotografia che egli conservava sul suo capezzale. Suo padre e Collebrina erano gli uomini migliori che egli avesse mai conosciuto. Impossibile che il torto fosse stato di lui. Ella piuttosto, che aveva un passato così poco chiaro... Ma quel passato ignoto e colmo di nubi lo incuriosiva, lo eccitava stranamente. — Che cosa hai fatto prima di sposarti? — avrebbe voluto gridarle —
quali uomini hai Poiché ritardava a seguirla, ella gli tirò un pugno di sabbia fra i capelli. Allora le si fece accosto, mogio mogio, nel taglio d'ombra fra due capanne, donde non si vedeva nessuno, e Flavia con un piede lo grattò su un fianco. Non si mosse, ma ne trasalì ed ella ne rise. Rise e gli si accostò maggiormente, a tergo, sporse le due gambe nude e tra esse gli strinse il capo, gigantesca rosea pinza di voluttuoso scorpione, rovesciandolo indietro: — Smetti, dunque, quella mutria! — gli gridò. E Bruno la smise. Oh, se la smise! Le si buttò addosso come una giovane
belva, palpando, — Basta! Basta! rantolò — che fai? ci vedono... e mi rendi folle! Te ne supplico! Egli desisté, amante, trasfigurato. Ella si rialzò, pallida, gli occhi socchiusi, tremante. Affettò un sorriso, passandosi le mani fra i capelli, come per ravviarsi; poi lo prese per mano e lo fece rialzare. — Vieni, — gli disse con stentata naturalezza. —Si fa tardi. Andiamo a vestirci. Bruno non capì. Ancora fuori di sé si lasciò condurre. Flavia richiuse
l'uscio dietro le loro *** Di un mese ancora Flavia prolungò la sua dimora presso i parenti. Ma essa e Bruno ebbero il torto di dimenticare qualche volta la prudenza e le precauzioni. Un giorno la piccola Aura, ritornando improvvisamente dal giardino ove era stata a giocare coi Collebrina, li sorprese nella penombra della camera di Flavia, in una posa che l'atterrì. Per quanto essi cercassero subito ricomporsi, la piccola scoppiò in pianto e in grida altissime. — Non è nulla, stupida! — le diè sulla voce Flavia — giocavamo. Ma accorse la signora Vittoria. — Che c'è? Cos'hai, cara? — Bruno... Bruno.. — singhiozzò Aura — faceva del male alla zia! — Ma se giocavamo, zia Vittoria! — tentò ridere Flavia — si scherzava,
non darle retta. Non Bruno però non rideva. La mamma lo mandò via, con voce che non ammetteva
replica, mandò Che cosa le disse? Bruno, trepidante, tendeva l'orecchio dalla stanza accanto, finché udì Flavia prorompere: — Oh, in fin dei conti che credi? Io me ne infischio di quel tuo citrullo. E non resterò un giorno di più nella tua casa. Bruno andò a chiudersi nella sua camera e si buttò sul letto, disperandosi,
mordendo i cuscini E per Bruno fu come se fosse sparita nel buio, da cui, buia e corruscante, era venuta.
Naturalmente quell'anno la licenza liceale restò un pio desiderio. La mamma l'aveva preveduto, dopo una simile crisi. E Bruno tornò a scuola, ma con animo acre e più aggressivo. I professori, i
libri, l'aula, le — Soveria, che cosa legge? — Rousseau, professore. — Ma come? Durante la lezione? Ci vuole una bella faccia tosta. — Perché? Quel che dice quest'uomo è molto più interessante di un logaritmo. — La finisca! — Dice, per esempio, che vale più il poco che il cervello può apprendere da sé e assimilarselo, che il molto propinatogli in forme statiche e lontane dal suo temperamento. — Vada a leggerlo fuori. — Subito, professore: grazie. Era irritante soprattutto pel modo come pronunziava quella parola
«professore». Un giorno — Sì, professone! Fu espulso per otto giorni. Ma poi si pentì, perché l'insegnante era un
poveraccio tradito e La più grossa la fece, però, al terzo bimestre. Un suo compagno, tale
Galfano, figlio di un — Smettila, cretino! — brontolò Galfano — credi di avere tanto spirito? — Oh, — rimbeccò Bruno — certo meno di quanto ne vende tuo padre. — E tuo padre — si rivoltò quegli — cosa vende? Le corna? Bruno gli scaraventò un dizionario sul naso, da cui spicciò un getto di sangue. Si scagliò poi per pestarselo, anche, sotto i piedi. Tutta l'aula fu in subbuglio; bisognò interrompere gli esami, fare accorrere il preside. Conseguenza: Galfano e Bruno furono fatti rappacificare, ma il primo espulso per quindici giorni e Bruno per il resto dell'anno scolastico. Figurarsi la mamma! Ne pianse, se ne disperò. Perdere un altro anno! Darle
questo grande — No, signora Vittoria, Bruno non è cattivo. Quando, a diciotto. anni, si
piange così per un Bruno promise e mantenne. Fisica e matematica, però, andarono avanti alla
meno peggio, Altro che Euclide! C'era da ricordare Hugo e Tolstoi e il pressoché ignoto e immenso Stendhal! C'erano versi che giungevano alle stelle meglio del calcolo infinitesimale: Parfois, lorsque tout dort, je m'assieds, plein de joie, sons le dôme etoilé qui sur nos fronts flamboie... A Trapani, dove la mamma volle accompagnarlo, Bruno passò un mese come in
esilio Evadere! Ecco il sogno, anche di Bruno. Evadere da tutto ciò che sapeva di
stretto, di augusto: Lo zio Giovanni, con la sua gran pancia ballonzolante ai frequenti colpi di
tosse da fumatore Ma il più insopportabile era Gaetano Bonsignore, il segretario, uomo sui trentacinque anni, baffi neri a spazzola, la faccia divisa in due dalla folta riga nera delle sopracciglia. Tutto piaggerie e adulazioni, costui, diceva poi corna con Bruno alle spalle dello zio. E Bruno, che egli chiamava avvocato, non sapeva, tanto le sue ragioni parevano eque e stringenti, se fosse un uomo fidato, mentre per l'antipatia che gl'ispirava lo avrebbe giudicato un brigante. Dalla sua, Bonsignore, aveva soltanto Camillo, il portiere toscano dalla
barbetta grigio- Egli servì da sfogatoio, insomma, a tutta quella gente che lo considerava
l'erede e forse il non E si arrivò così alla licenza liceale. Gli esami furono uno spasso per
quanti vi assistettero. — Ecco, dunque, il famoso Soveria. M'hanno detto che sei filosofo,
romanziere, poeta... Si — Faccio quello che posso. — Ora t'accomodo io. Scrivimi questa poesia: seno A, più coseno B, uguale a... i segni di seno e coseno sai scriverli, non c'è che dire. E poi? — Ecco: a esser sincero, se si trattasse di seni soltanto, risponderei meglio... — E lo dici a me perché ho sessantotto anni? Le ho saputo fare anch'io
quelle equazioni. — Grazie, professore. — E mandami qualche volta le fesserie che scrivi. Ma Bruno cominciava già a scrivere anche di politica e i suoi articoli
venivano accolti da Il second'anno però volle, malgrado il disappunto materno, passare all'Università di Roma ove andò con lui un vecchio compagno di ginnasio e di liceo, Peppino Foresi, uno spilungone lento e pigro, che aveva sempre seguito i corsi da dilettante. Ora, prima degli esami e della laurea, doveva anche sposarsi. Un altro amicissimo fu Carlo Quilici, «roman de Roma»: abbondanti capelli
su una testa da — Nino Guevarra, inteso Ninì, esteta e dannunziano; a tempo perso studente
in lettere. Bruno La presentazione fu ratificata da uno shake-hand all'inglese di reciproca simpatia, ma seguita da proteste vivaci all'indirizzo del presentatore: — Io, veramente, di Fichte me ne infichitio. Sono per lo stato chiuso, ma
piuttosto secondo — E quanto a me, ammiro infinitamente D'Annunzio, ma non sono dannunziano.
Mi contento Queste parole, pronunziate con l'accento un po' lezioso del siciliano che ha
studiato molto Ci furono poi gli aggregati, buoni camerati ma meno intimi, anche perché in
qualche cosa Degli aggregati, il più assiduo era Tommaso Casazza, trasferito da parecchi anni a Roma dalla natia Puglia per laurearsi in legge, ma — a dire di male lingue — mai iscritto neppure al primo anno della facoltà. Piccolo, taciturno, tranquillo, in privato assiduo corteggiatore di balie e di governanti, si trovava volta a volta e da solo a solo d'accordo con tutti. Domandava di rado qualche sigaretta, ma accettava volentieri gli inviti a cena. Del resto era servizievole e indulgente con gli amici notevoli come Bruno e Nino, generosi come Peppino o aggressivi come Carlo. Quest'ultimo lo trattava male quando era di cattivo umore o quando era troppo allegro. — Tommaso Casazza, — gli diceva — tu realizzi il più curioso fenomeno
zoologico: — Lo tratti male, povero Tommaso! — ammoniva Bruno. — Povero, lui? — infieriva Quilici — Guardategli bene gli occhi e dietro le lenti scorgerete un Tartufo, con cinquanta grammi di Shylok e cento di Giuda iscariota. E ridevano tutti, anche Tommaso Casazza. *** Nino Guevarra, innamorato della Toscana, volle andare a finire gli studi a
Firenze, e Bruno lo La storia di quegli anni della sua giovinezza fu ricca di episodi amorosi; ma
egli era molto Ogni volta che ritornava a casa per le vacanze, Bruno trovava insediata al suo posto la piccola Alba, che da quel frugolino biondo che era a cinque anni, si veniva facendo una ragazzetta pallida, di anno in anno più smilza, dagli occhi di un azzurro così carico che parevano gocce del mare di Mondello. Una volta la signora Vittoria spiegò al figlio: — Mi aiuta un poco a colmare il vuoto lasciato dalla tua assenza. Abbiamo. parlato di te giorno per giorno. Sa dire certe cose tanto carine! Vedi come è cresciuta? — E' un po' magrolina. Alba se ne rimase ad occhi bassi, mortificata che Bruno non trovasse altro da dirle. Si guardò di sfuggita nello specchio di fronte, e convenne in cuor suo di essere bruttissima. Ma riprese a grado a grado coraggio quando egli cominciò a chiederle notizie di casa. Le notizie furono più buffe che liete. Titì e Tutù avevano interrotto gli
studi, l'uno per darsi al — E Diana? — domandò Bruno. — Gioca sempre a nasconderello? Diana era fidanzata, non col principe delle Asturie, come ne avrebbe avuto fantasia, ma con un uomo di lettere e di vaglia, cioè un impiegato postale. Il babbo le assegnava ventimila lire di dote. Quando la ragazza andò via, la signora Vittoria mise a parte Bruno dei triboli del povero signor Antonio: pochi o niente gli affari, molti crediti inesigibili e parecchi debiti impagabili. La sera, quando quasi tutta la famiglia venne su a fargli festa, Bruno rivide il suo vecchio amico assai deperito, più bianco che grigio, e con la testa a metà nascosta fra le spalle. La signora Matilde e la nonna Brigida, invece, avevano l'aria di voler ringiovanire. Furono loro due a colmare quasi tutta la serata con le loro ciarle. Prima di
tutto scusarono — ... non per sorvegliarli, sa? noi non siamo educate alla siciliana, grazie a Dio; cosa vuole? per le convenienze, in questo paese barbaro e pettegolo. Bruno notò che il sor Antonio non intervenne mai nella conversazione,
fuorché con qualche — Oh, Brunetto — gli disse soltanto un momento che poterono appartarsi
dalle chiacchiere Bruno gli diede ragione, ma distrattamente, non sapendo se riderne dentro di
sé. E vedeva
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