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Presentazione

 

1 L’ambiente geografico e storico

Breve cenno storico: il 1800
Al centro di una struttura feudale
La situazione italiana

A cavallo del secolo

 

2 Risalire alle origini

La dinastia dei Tolo
Ricerca Araldica

Don Monserrato Tolo
Riferimenti storici

 

3 La Famiglia Calamida

Alberto CALAMIDA
Raffaele CALAMIDA

Salvatore CALAMIDA

Efisia CALAMIDA

Oliena 31 Gennaio 1898

Discendenza Alberto CALAMIDA

 

4 La Famiglia Fel e

La Famiglia Fele

Francesco Fele

Discendenza Francesco FELE

 

5 Le poesie di Francesco

Le poesie

TRIPOLI

 

6 Idee Sparse

Dal Diario

30 Settembre 1923

4 Novembre 1923

2 Ottobre 1930

 

7 Archivio fotografico

Archivio fotografico

 

8 Conclusioni

Conclusioni

Bibliografia

Indice delle fotografie

Indice generale

 

2 Risalire alle origini

La Dinastia dei Tolo

 

Ricostruire la storia della famiglia Tolo  è forse la parte meno facile.

Le notizie non sono tutte veritiere, e risalgono fino alla seconda metà del 1500 quando il capostipite, Don Sebastiano Tolo (di provenienza spagnola), divenne nel 1565 amministratore dei salti di Biriddò (1). Il quadro fino a Donna Luigia non è del tutto completo, esistendo alcuni periodi poco noti, ma è ricco di aneddoti interessanti.

 I racconti popolari, non tutti tramandati a proposito, descrivono i Tolo (in seguito il nome venne detto alla sarda, Tolu), come dei sanguigni di casta nobile. Si dice fossero gente cresciuta con modi rozzi e prepotenti, che erano lesti di mano, di coltello e di archibugio. Non perdonavano e non chiedevano perdono a nessuno, e proprio per queste loro maniere, diventarono col tempo i proprietari del paese.

Ben presto, a causa dei modi di fare loro e delle altre potenti famiglie dell’epoca, prese inizio una faida con la famiglia dei Putzu che si protrasse per decenni. Alla fine vennero contati ventisette morti ammazzati, e quando la faida cessò in molti tirarono un sospiro di sollievo.

 Don Sebastiano Tolo ebbe almeno un figlio, Monserrato, il quale a sua volta ebbe almeno due figli, Gabriele e Giovanni Martino. Gabriele proseguì la dinastia di Galtellì (dove i Tolo gestivano ed amministravano i terreni del Vescovo) e Martino quella di Oliena. In Oliena in principio vivevano in un palazzo, quello conosciuto come “puthu e prejone”, che ha molta storia da raccontare. Nel periodo dei Giudicati Oliena appartenne a quello di Gallura fino al 1288, ed in origine lo storico palazzo pare appartenesse al Giudicato di Gallura. Poi arrivò il periodo della dominazione Pisana e seguirono periodi piuttosto bui nei quali il palazzo venne abbandonato e semidistrutto. In seguito divenne proprietà dei Tolo che, ingordi come capitava a volte ai benestanti, si mischiarono ed imparentarono con gli amministratori della giustizia.

I Tolo erano imparentati con Principi e Duchi proprietari di terre, alcune delle quali divennero di conseguenza di loro proprietà. Gli Olianesi, quelli poveri e affamati, andavano a rubare il bestiame nei territori di Dorgali e di Orgosolo e, quando venivano scoperti e presi, venivano rinchiusi nella prigione del palazzo Tolo, e venivano puniti duramente: tra l’altro gli venivano mutilate le orecchie.

 

Il dominio spagnolo

 Giacomo II d’Aragona, nominato Re di Sardegna da papa Bonifacio VIII, nel 1297 conquistò la Sardegna, cacciandone i Pisani, sicchè l’isola da questa data fece parte del reame d’Aragona, sotto cui rimase per 223 anni (dal 1323 al 1546) passando poi alla Spagna nel 1546, e stando al suo dominio per i 154 anni, fino al 1700. Nel 1713 l’isola passò sotto il dominio dell’Austria, la quale nel 1720 la cedette a Vittorio Amedeo di Savoia, in cambio della Sicilia.

Sotto il governo  Aragonese e Spagnolo molti villaggi sparirono in sardegna, più che con le invasioni dei Saraceni.

Infatti ora la Sardegna conta, su circa 364 comuni, circa 850 villaggi e città distrutte! E nel Medio Evo contava un milione e mezzo di abitanti. Mentre negli ultimi anni della Repubblica romana superava i due milioni e mezzo, secondo la statistica che ci lasciò Arrio Publiese.

Foto 34 – (L.Ledda): Il vecchio portone di ingresso

(1700 circa) del Palazzo Tolo

 

I prigionieri venivano reclusi (più o meno giustamente) nel palazzo prima di essere trasferiti nei tribunali galluresi per essere processati. Tali trasferimenti avvenivano a piedi con lunghe e faticose marce. Infine venivano carcerati in prigioni più solide. All’interno del palazzo c’era un pozzo, ancora visibile, dal quale veniva attinta l’acqua. Con essa non venivano dissetati solo i prigionieri, ma costituiva la riserva idrica per l’intera famiglia. La vena d’acqua sgorga da almeno otto o nove secoli a tre soli metri di profondità. Era certamente preziosa ed era orgoglio dei Tolo.

Sembra verosimile e probabile quindi che proprio per tali motivi il palazzo fosse battezzato “puthu e prejone” (il pozzo della prigione).

 

Foto 35 – (Da Oliena Bella): Il Pozzo della Prigione

 

Don Sebastiano Tolo era riverito ed osannato dall’intero paese, compresi i ricchi ed i ladroni dei paesi vicini. Entrò nelle grazie dei rappresentanti della Chiesa e ricevette favori e riconoscimenti. Ebbe in affitto i  terreni del Vescovo di Galtellì e l’incarico (prestigioso per l’epoca) di esattore dei denari per conto del Clero.

Il figlio, Don Monserrato Tolo, condivise col padre l’amministrazione dei terreni del Vescovo. Egli fece erigere in Oliena nel 1611 l’altro storico palazzo, quello dei Tolo-Calamida che guarda verso “sa carrela e Putzu”. Questo palazzo, che conta più di quaranta stanze, quattro cortili, due pozzi, due forni e cinque terrazzi, vide molti dei miei giochi nei periodi estivi dei migliori anni della mia fanciullezza, quando mia madre finite le scuole ci portava dal Friuli per stare con la mamma Efisia per le vacanze.

 

Foto 36 – (L.Ledda): Scorcio della parte più antica del palazzo Tolu-Calamida

 

Ad esso sono legate storie tristi ed allegre. Storie di riunioni e di feste.

Ricordo l’arrivo dalle vigne dei carri trainati dai buoi, colmi d’uva, e la pigiatura per il vino. La preparazione del pane, che riuniva prima dell’alba le donne del vicinato, ciascuna con un ben preciso compito da assolvere.

 

Foto 37 - (L.Ledda): (Palazzo Tolo-Calamida) Portone di ingresso al Cortile Grande

   

              

 Foto 38a e 38b – (L.Ledda): (Palazzo Tolo-Calamida)

Sulla travatura della finestra si legge (ancora per poco) la scritta : “Montserrat Tolo 1611”.

 

 Ricordo la caccia all’improbabile tesoro, che tanto intrigava me ed i miei cuginetti, da sottoporci e vere e proprie prove di coraggio nell’ispezionare le stanze più antiche e pericolanti e piene di mistero. Per evitare ai bambini di affacciarsi pericolosamente ai pozzi, veniva tramandata la storia che dai pozzi uscisse la “petenedda”, una sorta di vecchia strega che portava via i bambini. Siccome molti dei palazzi padronali erano dotati di pozzi interni per l’approvvigionamento idrico, è comprensibile come tale triste storia fosse nata. Spesso questa storia ci veniva raccontata solo per farci stare buoni nelle assolate ore estive dopo il pranzo, mentre i grandi riposavano.

 Fu proprio in questo palazzo che conobbi nonna Efisia ed il fratello Salvatore.

Ma torniamo ai Tolo. 

Si racconta/2) che Monserrato fosse innamorato delle donne, con le quali pare si desse molto da fare. Si narra che si innamorò di una giovane e casta parente del Vescovo di Galtellì, il quale veniva spesso ospitato con la famiglia a Oliena nel palazzo dei Gesuiti.

 

Foto 40 – (Luciano Ledda): La chiesa di Sant’Ignazio ed il palazzo dei Gesuiti

 

Pare che la giovane fosse molto avvenente, dai gesti fatati e dai capelli lunghi e nerissimi. Cavalcava spesso assieme ad altri nobili verso il Gologone e si fermava alle chiese di San Giovanni e di N.S. della Pietà per pregare.

Si racconta inoltre che Don Monserrato, avendo perso la testa, la chiese in sposa, incaricò molti fra i più abili paraninfi, ma ottenne un deciso rifiuto. Avvilito e sentitosi oltraggiato, si vendicò andando con alcuni compari sotto il muro di casa dei Gesuiti contro il quale sparò diverse archibugiate. Calmò i suoi bollori, ma pare che questo gesto costò, a lui ed alla sua famiglia, la scomunica del Vescovo.

 

Foto 41 – (Collezione L.Ledda):

Un carro torna dalla vendemmia

 

Questa storia mi lascia un po’ perplesso, in quanto i Gesuiti arrivarono in Oliena intorno al 1652 e vi restarono fino al 1773. Il palazzo dei Gesuiti fu costruito intorno al 1660, era ed è quello annesso alla chiesa parrocchiale di Sant’Ignazio. Don Monserrato fece erigere il suo palazzo nel 1611, e avrebbe dovuto essere già anziano all’epoca dei fatti, avvenuti evidentemente dopo il 1660. Inoltre i suoi figli Gabriele e Giovanni Martino (come viene confermato anche da un recente articolo di Michele Pintore), furono introdotti dal 1613 nel parlamento del Duca di Gandia; quale sarebbe stata dunque l’età di Monserrato, con figli così adulti, nel periodo dei fatti ?

 

Secondo le ultime ricerche effettuate(3), l’episodio avvenne sicuramente fra il 1803 e il 1812, periodo in cui Vescovo della diocesi di Nuoro/Galtellì era Mons. Alberto Maria Solinas-Nurra di Banari.

Il corteggiatore era Don Antonio Tolu, forse anche corrisposto.

Mons. Solinas accortosene rispedì immediatamente la nipote a Banari.

Alcuni giorni dopo ignoti esplosero delle fucilate contro di lui mentre si trovava alla finestra della sua camera al secondo piano del Collegio, colpendo fortunatamente lo stipite della finestra (forse la seconda da sinistra).

 

N.B. : il 20-03-1803 comminò la scomunica “maggiore” accompagnata da molte e terribili maledizioni contro gli autori dell’omicidio del Sac. Paolo Canudu di Oliena.



(1) I “Salti”: così si legge nel “Dizionario geografico, economico e statistico degli Stati di S.M. il Re di Sardegna” (1841) di Vittorio Angius: <I salti di Nuoro sono mediocremente ricchi di acque>. < …. il passo detto Janna de Virrola …esso divide i salti di Nuoro da quelli di Orune; il secondo ha maggior corrente e soventi vieta il passaggio e commercio col Goceano e col Marghine. Anche in estate dopo alcun temporale esso è pericolosissimo per l’enorme sua gonfiezza dà troppi torrenti. Le acque scorrono inutili, perché a pochi orti si fan servire e non volgono alcuna ruota di molino per la farina del panificio. In tutto il territorio non vi sono che alcune paludette vive solamente d’inverno.>

(2) Oliena Bella – (Uliana Galana), Storia e Racconto, di Gianni Picca, 1998

(3) Da ricerche di Vincenzo Carta – Nuoro