|
|
1 L’ambiente geografico e storico Breve
cenno storico: il 1800
La
dinastia dei Tolo Don
Monserrato Tolo
Alberto
CALAMIDA
Conclusioni Bibliografia
Indice
delle fotografie
Indice
generale
|
5 Le Poesie di FrancescoTripoli
Anno
1911. Una volta intrapresa la guerra per la conquista della Libia, le operazioni
belliche si rivelano più difficili del previsto, poiché l’Italia deve
affrontare la resistenza delle popolazioni arabe, che si alleano alle truppe
regolari turche per respingere l’invasore. Il 29 settembre l’Italia dichiara
guerra alla Turchia. Il contingente italiano non è preparato ad affrontare la
guerriglia in un territorio sconosciuto e si abbandona ad atti di violenza
indiscriminati contro le popolazioni locali. Forse,
quando Francesco scrisse i versi che seguono, non si conosceva in patria la
reale situazione. Supponiamo che essi esprimono con un pizzico di romanticismo
quello che era il pensiero delle masse: inorgoglite, all’epoca, da una
politica coloniale che sembrava volesse portare ricchezza, grandezza
all’Italia e “civiltà” presso popolazioni africane, considerate
“barbare e incivili”, forse solo perché musulmane. TRIPOLI
Che
fu? Che avvenne? Il mondo stupefatto Guarda
a noi, figli de la terza Roma, che
in un gesto viril la bella chioma oggi
scotiamo. Al Turco esterrefatto la
fè vacilla in petto. Bando
a gl’indugi! Il tricolor vessillo Sventoli
pur nel mar che nostro è ancora, oggi
che omai scoccata è l’ultim’ora del
barbaro fanatico, e lo squillo le
trombe hanno già dato. Scolpite
in core a noi le antiche glorie Che
ci danno la fibra adamantina Nel
mondo intiero la virtù latina, vogliamo
perpetuata e le memorie, e
il mondo vede e ammira. Ammira,
incita, e noi, fidente, aspetta A
la grand’opra che la luce effonde; mentre
il barbaro fugge e si nasconde abbandonando
l’ultima vedetta, e
il sole splende, avanza! O
eroi del riscatto, o spiriti austeri Dei
martiri, sorgete! Ecco i sognati Figli
vostri, eroi pure, alto levati Che
si fan di progresso cavalieri. Gioite,
inorgoglite! Son
questi i figli che sognaste quando Sereni
in viso i palchi de la morte Ascendevate;
quando le ritorte De
l’opressore spregiavate, o in bando Volontario
andavate Col
nome de l’Italia impresso in core Per
sottrarla dal giogo empio e crudele Del
barbaro straniero. Essi or le vele Spiegano
verso i lidi de l’onore Per
far la patria grande. Essi
vanno a strappare al mussulmano Ignavo
un lembo di ferace terra Da
lui negletta sempre, e indico a guerra. Invano
il Turco a lor s’oppose, invano! Fatale
è la sconfitta. E
questa terra dal valor redenta Patrimonio
civil sarà poi resa Con
l’opra industre e saggia. Oh, degna impresa! E
il Turco che or protesta e opporsi tenta Parte
avrà nel banchetto. In
non lontano di novella vita Fermenterà
le or zolle infeconde; di
fior soavi e tenerelle fronde s’adornerà,
dal vomere ferita la
terra liberata. La
forte fibra dei coloni esperti Che
qui verranno in lunga e folta schiera Quasi
fosse perpetua primavera Educherà
giardini nei deserti; e
quelli saran nostri. E
tra le biade ondeggianti al sole; e
dai colli di pampini festanti si
leveranno gl’inni giubilanti de
la novella gente, il crin di viole adorna,
e rose in fronte. E
canterà le gloriose gesta Dicendo:
- salve, salve, o patria bella, che
conducesti qui l’itala stella. Grati
a te, o Madre, in lieta e genial festa Giulivi
a te libiamo. Il
Sol, l’eterno sole, te saluti Sempre
più bella. Più forte, più grande, faro
potente che sua luce spande ai
popoli de l’orbe, intenti e muti la
tua forza ammirando. Forza
che eleva, forza che redime In
un impeto ardente e terre e genti. Evviva,
osanna agl’itali ardimenti, a
la forza che innalza e non opprime vero
civil vessillo. – Nuoro,
5 ottobre 1911 Francesco
Fele |