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Collezione Sannô-kai

 

 

G. Fino, La spada giapponese. Euro 9,30.
Nel Giappone tradizionale la spada -uno dei tre emblemi divini- viene sentita e considerata come l’anima del guerriero (bushi). Numerose fotografie -spesso a colori- illustrano le fasi della lavorazione di lame e di accessori.

G. Fino, Mishima e la restaurazione della cultura integrale. Euro 7,30.
Le origini della teoria di Mishima sulla cultura

R. Massi - D. Zanchi, Tenchû. Euro 18,10.
La rivolta dei 'Giovani Ufficiali'.

Y. Mishima, Ancora intorno al pazzo morire. Euro 7,25.
Alcune note di commento allo Hagakure completate da brevi - ma incisivi - scritti e saggi

M. Musashi, Il libro dei cinque anelli. Euro 6,20.
Il libro, scritto nel XVII secolo, è opera di un famoso Samurai, fondatore della scuola delle “due spade”. La terminologia e la struttura dell’opera richiamano la concezione cosmologica buddhista dei cinque elementi nonché influenze taoiste e zen.

I. Nitobe, Bushidô. Euro 15,50.
Opera essenziale per comprendere, di là da raffigurazioni convenzionali, quell’universo eroico che fu il Giappone dei Samurai.


Junyû Kitayama, Lo Stile eroico. L'eroismo in Giappone, pp. 136. Traduzione a cura di Vittorio Penzo. Collezione Ryû, per i tipi di Sannô-kai, VIII, 2002. Euro12,00.
Severa e sublime come quell’incrocio di destini che portò, con Junyû Kitayama, il Giappone in Prussia, quest’opera sfida i limiti delle rappresentazioni occidentali dell’eroicità. È un poema che sgorga da una struttura saggistica: racconto di ‘portamenti’ grandiosi, florilegio di gesta e di gesti magnanimi della personalità. Disegnando una sorta di ‘metafisica dello stile’, l’Autore delinea i profili della condizione eroica.

(Recensione apparsa su Margini n. 39:
Ogni eroe è fondamentalmente religioso”. Questa è la considerazione principe che l’autore pone all’origine delle sue riflessioni, secondo le quali la direzione dell’eroismo conduce inevitabilmente ‘oltre’: oltre la mediocre quotidianità, oltre le paure, oltre tutto, in quanto oltre la vita. L’eroe, quindi, nega, spezza le catene che rendono schiavo del ‘piccolo io’, dell’ egoismo, l’uomo comune, e nella lotta afferma la suprema libertà di attraversare la vita ‘puntando’ direttamente alla morte; non certo con impeto di autodistruzione ma con la ferma convinzione, invece, di compiere la suprema, attesa prova del suo coraggio: cioè l’‘esperienza’ cosciente della morte. Poiché atto eroico è fondamentalmente azione liberatoria, quale maggiore espressione di volontà e libertà se non una morte voluta, ricercata, scelta, nella forma e nel momento? L’eroe, infatti, non muore ‘a caso’: il coraggio non crea un uomo avventato, bensì un uomo estremamente paziente, da nulla turbato e che, soprattutto, nulla turba dell’Ordine universale cui sa di appartenere. Ed è proprio in questo senso che le parole di Junyû Kitayama rivelano l’essenza dell’eroe: in una assoluta libertà di azione terrena, egli asseconda, in realtà, una volontà superiore - ben cosciente della caducità del suo corpo mortale, ma assolutamente convinto delle potenzialità insite in ogni suo gesto compiuto in armonia col Tutto, la cui eco risuona, perciò, nell’eternità.
Detto questo, si comprende quanto in profondità l’ideale eroico affondi le sue radici nella coscienza religiosa del popolo giapponese, evoluzione naturale della dottrina shintoista prima e buddista poi, assumendone e facendone propri i fondamenti. Ovvero: l’idea della sacralità dello Stato e della figura dell’Imperatore, e della continuità della vita oltre la morte (elementi, questi, derivati dalla Tradizione shintoista) diede forza alla nozione fondamentale della fedeltà come legame al proprio Signore e alla famiglia, come prova del proprio onore, volontà, abnegazione; l’idea della vita come percorso di purificazione interiore orientato all’unità di corpo e spirito attraverso le arti, della spada come della preparazione del tè, del tiro con l’arco come del teatro tradizionale, in sintonia con l’insegnamento del Buddha, diede all’uomo eroico uno scopo da ricercare giorno per giorno attraverso una meditazione attiva.)

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Intervista a Giuseppe Fino: Sul Giappone

In 'Margini' n. 21 del gennaio 1998

Benchè la modernità abbia oramai ricoperto il Giappone della sua grigia atmosfera, di tanto in tanto fasci di luce filtrano tra l’oscurità, ricordandoci di un passato non ancora così lontano da essere completamente dimenticato.
Al Professore G. Fino, che vive in Giappone, autore di uno studio su Yukio Mishima ('Mishima e la restaurazione della cultura integrale', Sannô-kai), abbiamo chiesto notizie di alcune delle “manifestazioni luminose” che rischiarano il buio del calante sole giapponese.

D. - Qualche tempo fa i telegiornali italiani hanno citato l’episodio del soldato giapponese che continuò a considerarsi in guerra anche dopo il ’45. Che significato assume per i giapponesi di oggi il comportamento di quel soldato?
R. - Anche in Giappone i telegiornali hanno dato notizia della scomparsa di Yokoi Shoichi, il militare giapponese che aveva continuato a “combattere” nella giungla dell’isola di Guam anche dopo il ’45. Per i giapponesi di sinistra o nati ed allevati nel clima pacifista e democratico del dopoguerra, il comportamento di Yokoi è difficilmente comprensibile e approvabile: si tratterebbe di un episodio di fanatismo di cui bisogna possibilmente tacere o vergognarsi. Per i giapponesi nati nell’anteguerra o sensibili ancora al patriottismo, il comportamento di Yokoi è esemplare ed eroico. Per le generazioni giovanissime, invece, il nome di questo soldato non dice assolutamente nulla. Vorrei aggiungere una considerazione personale. Più che Yokoi Shoichi, che in qualche modo si è “ambientato” al clima del dopoguerra, io vorrei segnalare la figura di un suo commilitone, Onoda Hiroo, che invece preferì abbandonare il Giappone consumista e americanizzato del dopoguerra per andare ad “allevare vitelli e conigli” nell’America del Sud.

D. - Nel libro Tenchû (Castigo del cielo), Edizioni Sannô-kai, vengono descritti gli avvenimenti che dettero origine alla Rivolta degli Ufficiali del 1936. Esistono oggi in Giappone forze politiche che si richiamano a quegli avvenimenti, agli uomini e al fermento ideale di quel periodo?
R. - La risposta è completamente negativa. L’Insurrezione dei ‘Giovani Ufficiali’ del 26 febbraio 1936 (Ni niroku jiken) è adesso oggetto solo di romanzi, saggi e film un pò nostalgici. I familiari dei “rivoltosi” giustiziati hanno costituito un’apposita associazione per la riabilitazione dei loro cari, ma non c’è nessun gruppo politico che si rifaccia a quell’esperienza di “puro neo-romanticismo fascista”. Perfino la destra giapponese extraparlamentare considera quell’episodio disonorevole ed “eretico”: non è stato infatti approvato dall’Imperatore. Questo può dare un’idea del conformismo vigente in questo Paese. Forse è stato merito del solo Mishima aver riproposto e rivalutato questo episodio nel dopoguerra.

D. - Mishima è l’autore giapponese più tradotto in Italia, ma la maggior parte dei lettori si sofferma sull’aspetto narrativo della sua opera. Lei che ne ha ricostruito le radici culturali nel suo libro Mishima e la restaurazione della cultura integrale, Edizioni Sannô kai, ci può sintetizzare i punti essenziali della visione del mondo di Mishima?
R. - Le radici culturali di Mishima sono molto complesse. Da giovane fa parte del movimento neo-romantico di Yasuda Yojuro e del poeta Ito Shizuo ed è influenzato soprattutto da Hasuda Zenmei, il teorico della “bella morte”. Nel dopoguerra, dopo un periodo di riflessione e di attività letteraria a sfondo un pò “intimo” e “autobiografico”, riscopre e interpreta la cultura giapponese (Nipponjin-ron, dibattito sui giapponesi). Nel suo saggio Difesa della Cultura (1969) scopre in essa tre caratteristiche: la ciclicità, la totalità e la soggettività. Per Mishima, anche l’azione è cultura. La forma più alta di cultura è il bunburyodo l’unione di arte e azione. Mishima riscopre anche la filosofia attivista e intuitiva di Wang Yang-ming (in giapponese, Yomeigaku), il bushido integrale dello Hagakure (Il pazzo morire, Edizioni Sannô-kai), il tradizionalismo ovvero l’anti-modernismo dello Shinpuren (La Lega del Vento Divino) e l’idealismo imperialista e romantico dei ‘Giovani Ufficiali’ del Ni niroku jiken. Al centro del pensiero di Mishima resta comunque l’Imperatore come concetto culturale supremo, a cui fa da corollario la sua opposizione politica contro-rivoluzionaria e l’implacabile critica all’intellettualismo pacifista e democratico del dopoguerra.

D. - In occidente è consuetudine praticare discipline fisiche estremo-orientali, a volte come pratica sportiva, altre come discipline marziali. Il dubbio, però, è che di originale in queste discipline sia rimasto ben poco. Qual’è la situazione in Giappone?
R. - La situazione in Giappone purtroppo non è molto diversa. Soprattutto per il judo e il karate, è veramente arduo trovare palestre che diano più peso all’aspetto “spirituale” della disciplina che non a quello sportivo e agonistico. La situazione è leggermente migliore nelle palestre di kendo e aikido e quasi soddisfacente in quelle di kyudo (tiro con l’arco) e di i-ai (disciplina con la spada vera). È questa la mia impressione. Devo confessare, però, che io in passato ho frequentato solo le palestre di judo...

D. - Vi è possibilità di ricevere dal Giappone ultra tecnologizzato di oggi insegnamenti validi per l’Uomo della Tradizione?
R. - Si, vi è qualche possibilità, ma essa è limitata a qualche monastero Zen e a qualche palestra di arti marziali influenzate magari dal pensiero Zen. Occorre una buona dose di pazienza e di fortuna prima di trovare il Maestro giusto e l’ambiente adatto. Nell’eventuale pratica dello Zen, vorrei consigliare un impegno incondizionato e a lungo termine possibilmente presso i monasteri della Scuola ovvero dell’Ordine Rinzai.

 

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