INTRODUZIONE
L’insurrezione ottobrina dei partigiani lancianesi,
avvenuta sessant’anni orsono, si colloca in quel particolare
contesto politico, militare e resistenziale caratterizzante la difficile
situazione che attraversò la popolazione civile, ma soprattutto
quella abruzzese dopo il 25 luglio e l’8 settembre ’43.
La rivolta di Lanciano, infatti, si pone accanto ad episodi di guerriglia
e di lotta partigiana come quello di Matera, che insorse contro i
tedeschi nella giornata del 21 settembre, o come quello più
noto delle “quattro giornate” di Napoli, (28 settembre
– 1° ottobre ’43).
“( … ) Dall’Irpinia e dalla Terra di lavoro –
scrive al riguardo lo
storico Roberto Battaglia - al Molise e all’Abruzzo decine e
decine di episodi di lotta contro il tedesco, di rapidi scontri e
violente rappresaglie contrassegnarono la tragica alba della guerra
di liberazione, espressero la collera del Mezzogiorno (…)"
contro le truppe d’occupazione.
Il 5 e 6 ottobre ’43 sono state, dunque, “(…) giornate
di tumulto popolare e di combattimento, - osserva ancora il Battaglia
- le armi recuperate a furia di popolo nelle caserme locali, l’urto
del nemico affrontato a viso aperto dalla gioventù (…)”
che, sotto il fuoco e le bombe, correva al grido: “jame, jame
a la guerre contre li tidische”.
Gli avvenimenti del 5-6 ottobre, quindi, per essere valutati obiettivamente,
devono essere inseriti nelle vicende più generali di quella
particolare fase del secondo conflitto mondiale, indicata come “campagna
d’Italia” e svoltasi, appunto, nella nostra penisola nel
biennio 1943 – ’44. Più esattamente, vanno collocati
nel contesto delle vicende belliche che si verificarono lungo la costa
adriatica tra l’ottobre ed il dicembre del ’433. Sicché
alcuni giudizi, che sono stati espressi su di essa, appaiono, a ben
vedere, fortemente limitativi.
E’ il caso del giudizio che lo storico e giornalista Giorgio
Bocca,
nella sua ricostruzione delle complesse fasi della Resistenza italiana,
ha formulato riguardo all’insurrezione ottobrina. Infatti,
egli scrive4 che questa “(…) è stata l’unica
inopportuna del Sud
(…)”, essendo gli insorti scesi in campo “(…)
il 5 ottobre sull’onda dell’entusiasmo suscitato dalle
giornate di Napoli, senza attendere che le avanguardie dell’Ottava
Armata (…)” varcassero il Trigno e “(…) senza
mettere nel conto delle cose possibili (…)” che stessero
ferme per circa due mesi, inchiodate dalla strenua resistenza opposta
dai reparti germanici.
Tale giudizio, in cui si ravvisa, a parere di chi scrive, una valutazione
sostanzialmente non positiva della rivolta lancianese, si inquadra
e si inserisce in una prospettiva interpretativa in base alla quale
le regioni del Sud ed in particolare l’Abruzzo avrebbero espresso
una volontà di resistenza incontrollata, priva di un’effettiva
organizzazione politico- militare e, quindi, determinata essenzialmente
dalla necessità di difendere le proprie abitazioni, i negozi,
le campagne, i raccolti dai continui saccheggi e dalle requisizioni
degli occupanti. Vi sarebbe stata, dunque, un’immaturità
politica ed organizzativa rispetto alle formazioni partigiane
che operarono nel Centro-Nord. Ma tale interpretazione non tiene conto
e non considera il fatto che proprio in Abruzzo si costituirono nuclei
armati di partigiani che ebbero un’efficiente organizzazione
politico – militare, come la gloriosa “Brigata Maiella”,
comandata dall’avvocato Ettore Troilo di Gessopalena, illustre
figura di antifascista, formazione che non operò soltanto nel
territorio abruzzese, ma altresì nelle Marche ed in Romagna,
partecipando alla guerra di liberazione accanto ai reparti dell’VIII
Armata e del ricostituito Esercito italiano.
La rivolta ottobrina del ’43, dunque, dev’essere inserita,
per essere compresa e valutata nella sua giusta luce, nel contesto
di quella particolare tattica denominata “terra bruciata”
messa in atto dai tedeschi durante la loro ritirata verso Nord.
Se, da un lato, vi sono state la sollevazione spontanea di un gruppo
di lancianesi, tra cui numerosi giovani, e contemporaneamente anche
quella della popolazione cittadina, ormai stremata dalle continue
vessazioni da parte dei nazisti, dall’altro non si può
negare che gli eventi del 5 e 6 ottobre presentino una complessa articolazione
di elementi e di aspetti, tanto che è stato possibile individuare
da parte di alcuni studiosi l’esistenza di ben due movimenti
antifascisti.
Scrive, al riguardo, lo storico Costantino Felice: “( …)
a Lanciano, anche durante il ventennio (…) dei movimenti antifascisti
esistevano: ed è ovvio che col precipitare degli eventi essi
tendessero ad accentuare il livello organizzativo e cospirativo (...)”.
In effetti, secondo la documentazione e le testimonianze raccolte
in questo volume, si erano formati due gruppi di antifascisti: il
primo facente parte dell’ “Unione Antifascista Nazionale”,
costituitasi con ogni probabilità fin dalla fine dell’aprile
’43 e collegato con i gruppi di altre città, (Roma; Bari),
gruppo che era guidato dal prof. Federico Mola, (singolare figura
di intellettuale antifascista), nella cui abitazione si riunivano
alcuni giovani lancianesi di idee democratiche, quali Alfredo Bontempi
e Licio Marfisi, che furono tra i principali protagonisti della rivolta.
Il secondo gruppo, formatosi intorno alla metà di settembre,
(il
13 settembre per l’esattezza), dopo che i tedeschi avevano cominciato
ad occupare la città, era composto - si legge nella Relazione
sul movimento partigiano lancianese - “(…) di quindici
elementi che iniziarono l’opera di sabotaggio (…)”
con l’intercettare le cartoline – precetto, iniziate per
il richiamo alle armi delle ultime classi di leva, con lo strappare
i manifesti murali contenenti i proclami fascisti e germanici e con
altre analoghe azioni.
Questo gruppo si raccoglieva nella sede della “Confederazione
Fascista degli Agricoltori”, in un locale di via Montegrappa
messo a disposizione da un funzionario di detta “Confederazione”,
Avvento Montesano, ex “ardito di guerra” e valoroso combattente.
Tra i suoi capi figurano altri protagonisti dell’insurrezione
ottobrina, quali Amerigo Di Menno Di Bucchianico e il medico di origine
placca od ungherese Carlo Scönheinm, il quale era stato internato
a Lanciano e non esitò, quando scoppiò la rivolta, ad
organizzarla militarmente ed a dirigerla.
Dalla fusione di questi due gruppi nacque la formazione armata,
che ebbe il riconoscimento ufficiale di “banda” o “brigata”
partigiana da parte della Commissione Regionale di L’Aquila,
come risulta dal verbale della seduta del 12 novembre 1947, (il cui
testo è agli atti preso l’Archivio del Comune di Lanciano).
Essa fu intitolata a Trentino La Barba, considerato il più
eroico tra i martiri lancianesi anche per l’atrocità
della sua uccisione.
Le azioni di sabotaggio contro i tedeschi furono dapprima dirette
a mettere in opera un’intensa attività di propaganda
antinazista, ostacolando, come si è già precisato, la
chiamata alle armi delle ultime classi dei giovani e, contemporaneamente,
le operazioni di reclutamento forzato di quanti dovevano essere avviati
al servizio del lavoro per la costruzione delle fortificazioni difensive,
che alcuni reparti germanici del Genio stavano approntando nella zona
frentana per arginare l’avanzata dell’VIII Armata e per
rendere, così, più agevole la ritirata verso il Nord.
In un secondo tempo, i partigiani si procurarono le armi sottraendole
dal locale Comando della Milizia, (quello della 137a Legione, che
aveva sede nella caserma attigua alla Chiesa di S. Chiara), e cercando
di reperirle dalle altre caserme, (dapprima da quella dei Carabinieri;
più tardi da quella della Guardia di Finanza).
Intensificarono, quindi, le azioni di disturbo tagliando i fili del
telefono ed invertendo alcuni cartelli stradali. Fu così che
degli automezzi tedeschi, (probabilmente due camion che trasportavano
derrate alimentari e materiale esplosivo), provenienti da Pescara,
invece di dirigersi verso Castelfrentano deviarono verso Frisa e passarono
in prossimità di un luogo allora indicato con il nome di Pozzo
Bagnaro o Pozzo Pagliaro. Qui era stata nascosta una parte delle armi,
che dovevano servire per la rivolta, e vi erano a guardia due partigiani,
i quali, temendo di essere scoperti ed individuati dai tedeschi, non
esitarono a far fuoco sui camion lanciando anche bombe a mano, tanto
da incendiarli e da ferire uno dei soldati.
Questo attacco, avvenuto la sera del 5 ottobre, costituì l’inizio
dell’insurrezione lancianese. I tedeschi in un primo momento
si ritirarono dalla città, forse perché colti di sorpresa
e perché era, nel frattempo, sopraggiunta l’oscurità.
Il giorno seguente, (il 6 ottobre), nella mattinata, Lanciano era
piena di partigiani che sorvegliavano le strade di accesso e che si
stavano organizzando per difendersi dal contrattacco nemico e dalla
rappresaglia.
All’inizio gli scontri si verificarono a Largo S. Chiara, lungo
via
dell’Asilo, in prossimità delle Torri Montanare, lungo
viale Spaventa e nelle adiacenze dell’Azienda Tabacchi. Qui
caddero Trentino La Barba, Remo Falcone, i giovanissimi studenti Nicolino
Trozzi e Pino Marsilio, il giovane Achille Cuonzo, che si era arruolato
tra i primi nel movimento partigiano e si era lanciato con grande
entusiasmo contro il nemico al grido: “jame, jame a la guerre
contr’a li tidischi”. Caddero, inoltre, Raffaele Stella
ed
Adamo Giangiulio.
Successivamente gli scontri si intensificarono sempre più con
il
trascorrere delle ore, poiché i tedeschi reagirono in forze
e cominciarono a penetrare nella città provenendo da Castelfrentano
e scendendo lungo viale Cappuccini.
Il combattimento si spostò, quindi, nelle vie e nei vicoli
dell’attuale centro storico. Durante tale fase dell’insurrezione
caddero Vincenzo Bianco, Giovanni Calabrò e Guido Rosato.
Stando alla documentazione esistente presso l’Archivio storico
comunale di Lanciano, durante i combattimenti caddero dodici partigiani,
di cui uno, Trentino La Barba, fu fucilato. Un altro partigiano, Giuseppe
Castiglione, cadde mentre cercava di opporsi al rastrellamento subito
messo in atto dai tedeschi che, in quello stesso 6 ottobre, organizzarono
non solo il contrattacco, ma anche l’azione di rappresaglia,
costringendo tutti i cittadini, che abitavano in via Roma , in via
del Commercio e nei vicoli adiacenti , ad uscire dalle proprie abitazioni
ed avviandoli verso viale Cappuccini con la minaccia della fucilazione.
I morti per rappresaglia furono egualmente dodici.
Anche tra i tedeschi vi furono numerosi caduti, ma riguardo al
numero le fonti sono discordi, (secondo alcuni studiosi, vi sarebbero
stati 47 caduti).
Gli scontri ebbero termine verso le prime ore della sera, quando i
tedeschi si erano impadroniti nuovamente della città ed avevano
disperso quei partigiani, che ancora combattevano, costringendoli
a riparare nelle campagne vicine. Nell’azione di contrattacco
essi avevano fatto uso anche di pezzi di artiglieria, (per l’esattezza
di cannoni semoventi), con i quali fecero fuoco contro le case ed
i palazzi di Corso Trento e Trieste. I Portici Comunali furono gravemente
danneggiati; numerosi negozi, che anche allora si trovavano lungo
i Portici, furono saccheggiati, sventrati ed incendiati con i lanciafiamme.
La rivolta del 5 e 6 ottobre, dunque, non può essere considerata
semplicemente come inopportuna ed occasionale. Ha osservato, al riguardo,
lo storico Costantino Felice: “(…) a parte la casualità
o meno dello scontro iniziale a Pozzo Bagnaro (…) essa non presenta
nulla di occasionale o d’improvvisato. C’è un preciso
comando che dà disposizioni e disloca i reparti secondo determinate
logiche ( …) di combattimento militare e di guerriglia ( …
)”.
Ma bisogna evidenziare, altresì, un aspetto non sempre preso
nella dovuta considerazione dagli studiosi: quello della partecipazione
al moto insurrezionale di quasi tutta la popolazione civile, come
dimostrano anche quegli episodi di pietà e di caritatevole
assistenza verso alcuni nemici rimasti feriti, che furono accompagnati
in ospedale per essere medicati e curati.
L’avvocato Antonio Di Ienno, divenuto Podestà di Lanciano
proprio il 6 ottobre a seguito delle dimissioni del cavaliere Francesco
Paolo Lotti, ricordando gli eventi della rivolta e la difficile situazione,
che attraversò la cittadinanza lancianese durante l’occupazione
tedesca, in un articolo apparso nel 1951 sul periodico “Gente
Frentana”osservò: ( …) la città di Lanciano
nel periodo dell’occupazione germanica ( …) osando dar
vita a un movimento di rivolta contro gli invasori (…), organizzando,
in condizioni oltremodo difficili, tra pericoli di ogni sorta, un
piano di resistenza (…), diede un mirabile esempio di sacrificio
alle fortune della Patria, come fu riconosciuto ripetutamente dal
comando dell’VIII Armata. Fu l’opera di tutti ( …
)”
Sicché, a ben vedere, la vera protagonista dell’insurrezione
ottobrina fu proprio la popolazione di Lanciano, che successivamente,
dopo le drammatiche vicende del 5 e 6 ottobre, decise di restare in
città nonostante l’ordine di evacuazione emesso dal Prefetto
per volontà del Comando tedesco, nonostante le continue azioni
di rappresaglia, i saccheggi delle abitazioni, i bombardamenti aerei
e di artiglieria.
L’avvocato Di Jenno si adoperò tantissimo per la difesa
della sua
città e dei suoi concittadini, rischiando di essere fucilato.
Assieme a lui intervenne un altro illustre personaggio, monsignor
Pietro Tesauri, Arcivescovo di Lanciano e Vescovo di Ortona , nobilissima
figura di presule, che seppe operare per il bene delle popolazioni
delle sue Diocesi durante tutto il periodo dell’occupazione
nazista e riuscì, nel contempo, ad evitare che altre crudeli
azioni di rappresaglia venissero messe in atto dal capitano Fölsche,
il terribile ufficiale paracadutista responsabile di tante atrocità
commesse a danno della popolazione lancianese. Sicché a sessant’anni
dai tragici eventi del 5 e 6 ottobre è giusto ricordare i valorosi
cittadini di Lanciano, che morirono sotto il fuoco nemico per difendere
la propria città e la Patria dall’oppressione nazista.
Un segno tangibile della memoria storica della rivolta ottobrina
del ’43 è offerto dalla nuova edizione di questo volume,
che raccoglie non solo le testimonianze e la documentazione già
apparse nelle precedenti edizioni, ma ne contiene anche altre che
meritano di essere inserite e di essere conosciute.
Ho avuto il graditissimo incarico, assieme agli amici e collaboratori
del gruppo di lavoro e di ricerca per la storia patria, costituitosi
nell’ambito della Associazione Culturale Frentana, di revisionare
la precedente edizione, (per l’esattezza la V edizione apparsa
nel 1993), da parte della Amministrazione Comunale di Lanciano. Ho
svolto questo incarico in piena sintonia con gli amici del suddetto
gruppo, che ringrazio per il fattivo contributo offerto nel reperire
i testi, le fotografie e tutto il materiale occorrente. Mi corre l’obbligo
di ringraziare, quindi, il signor sindaco di Lanciano, Avv. Filippo
Paolini, per l’attenzione e la sensibilità mostrata nell’aver
voluto che si realizzasse una nuova edizione aggiornata ed ampliata
del presente volume, la Civica Amministrazione ed altresì il
Presidente dell’Associazione Culturale Frentana, dott. Attilio
D’Amico, che ha stimolato me e gli amici collaboratori del gruppo
di lavoro e di ricerca a revisionare le precedenti edizioni del volume,
ormai divenuto strumento bibliografico indispensabile per chiunque
voglia ricostruire in sede storiografica gli eventi del 5 e 6 ottobre
’43.
Il gruppo di lavoro ha lavorato con entusiasmo, occupandosi anche
dell’organizzazione e della realizzazione di altre manifestazioni
celebrative del 60° anniversario della rivolta, come la mostra
fotografica e storico - documentaria che sarà inaugurata il
6 ottobre p.v. e che utilizza un materiale fotografico, relativo agli
anni 1943 e 1944, di grandissima importanza perché costituisce
una fonte documentaria indispensabile per qualsiasi ricostruzione
sto riografica.
Questo materiale, proveniente in gran parte dagli archivi dell’Imperial
War Museum di Londra e del Collection Department of National Defence
di Ottawa, è stato reperito da due carissimi amici, Desiderio
Di Paolo e Mario Spoltore, quest’ultimo, purtroppo, scomparso
da alcuni anni.
Orbene, si deve proprio all’assidua attività di ricerca,
di reperimento di preziosissimi documenti storici, come il “diario
di guerra” di Bruno Bolaffio, (l’interprete comunale che
assisté ai tragici eventi dell’ottobre ’ 43), ed
altresì all’attività editoriale e pubblicistica
relativa alla rivolta di Lanciano13, compiuta dal compianto Mario
Spoltore, se ci è stato possibile, oggi, allestire questa nuova
edizione ampliata ed aggiornata del volume: Lanciano Medaglia d’oro
al Valor Militare. Vogliamo dedicarlo alla sua memoria in segno di
gratitudine per quanto egli ha fatto con competenza e dedizione.
VINCENZO LIBERTINI
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