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RELAZIONI PER LA CONCESSIONE DELLA MEDAGLIA D'ORO

 


COMMISSIONE REGIONALE ABRUZZESE - L'AQUILA


In tutti i tempi culla di spiriti liberi ed indipendenti, Lanciano, intollerante dei soprusi, vessazioni, brutalità tedesche generò il primo Movimento Partigiano armato;
- giovani patrioti ed anche adolescenti, col cuore e la volontà di tutto il popolo di Lanciano, con impari mezzi e senza alcuna speranza di aiuto, affrontarono in aperto combatti-mento il preponderante, attrezzatissimo, truce nemico tedesco, pur sicuri di perire, ma fidenti nella loro vittoria ideale e nella liberazione della Patria, dando prova di sublime sacrificio;
- torture, sevizie, uccisioni non valsero ad ottenere azioni, determinarono invece tutto il popolo forte e generoso a maggiore, più tenace resistenza;
- fino alla liberazione della Città e della zona la popolazione lancianese contrastò ogni ordine, operò con sistematico sabotaggio, arrecando danni gravissimi al nemico;
- visse la guerra e per la guerra per circa nove mesi resistendo a ogni sofferenza, dando prova mirabile di spirito di sacrificio ed amore Patrio.

Settembre 1943 - Giugno 1944.

Proponenti - Membri commissari: Marrone Luigi, Marcantonio Giuseppe.
L’Aquila, 23 Marzo 1947.


 

COMUNE DI LANCIANO

Lanciano: città eroica

Nei giorni 5 e 6 ottobre 1943 Lanciano sorse in armi contro i tedeschi che esercitavano ogni opera di sopraffazione, saccheggi, requisizioni forzose, imposizioni al lavoro.
La gesta di Lanciano superò immediatamente i confini della regione e della Patria e pochi giorni dopo la Radio di Londra e di New York, esaltando l'eroismo dei giovani lancianesi, ne additava l'esempio alle Nazioni oppresse.
Nell'azione che acquistò carattere bellico nel senso vero della parola, per l'improvviso e forse inatteso attacco dei Lancianesi, trovarono la morte ben 47 (quarantasette) tedeschi tra ufficiali e militari di truppa, debitamente controllati, le cui salme raccolte nella sede del Comando Tedesco al Villino Paolucci - in contrada Marcianese - furono trasportate altrove.
Altri tedeschi, in numero imprecisabile, furono feriti.
Nell'azione trovarono la morte ben ventitrè cittadini, di cui 11 in combattimento e 12 per rappresaglia. Decine e decine furono i feriti.
L'aspro combattimento iniziato la sera del 5 e durato tutta la giornata del 6 ottobre 1943 si concluse - come era prevedibile - con il sopravvento dei tedeschi che per riprendere il pieno possesso della Città e dominare gli insorti dovettero intervenire con diversi battaglioni di rinforzo e con l'uso di mortai e cannoni.
La rappresaglia fu ... tedesca nel suo pieno senso della parola; la parte vitale della Città, il Corso Trento e Trieste, fu incendiata nella massima parte, con la distruzione dei migliori e più forniti negozi. Molti stabilimenti e molte case civili, specie nelle zone ove più duro era stato il combattimento, furono incendiati. Tutti i beni di valore furono asportati e quant'altro non poteva essere utilizzato fu sistematicamente distrutto. Migliaia di cittadini, vecchi, donne e bambini, sotto la pioggia, che accrebbe l'orrore della giornata, furono cacciati e costretti a cercare scampo nelle vicine campagne.
Tanto strazio venne sopportato dalla popolazione cosciente di compiere un dovere e di accettare il sacrificio dei propri figli e dei propri beni, come prova di avversione al tedesco e di amore alla Patria e alla Libertà.
L'episodio glorioso che a un primo esame potrebbe apparire il prodotto di esaltazione e di subitanea insurrezione fu e rimane, invece, il prodotto di una volontà maturata nello spirito del popolo lancianese.
Il fascismo, pur sorto per fini nazionali, col praticato sistema politico-amministrativo accentratore e totalitario aveva disintegrato il Popolo Italiano.
Negando la storia, la cultura, lo spirito italiano, aveva legato la Nazione alla Germania in una politica contraria ad ogni nostro interesse, l'aveva condotta ad una guerra non giustificata, se non da mania imperialistica, non sentita e per giunta senza alcuna preparazione contro Nazioni con cui si era diviso l'onere della precedente guerra di indipendenza.
Di qui la contrarietà del Popolo che però, messo al duro travaglio spirituale se desiderare l'abbattimento del potere tirannico e dissolvitore o la fortuna della Patria, ha fatto tutto il suo dovere ed in tutti i campi di battaglia; nel nome sacro d'Italia, il soldato italiano ha combattuto eroicamente. Ogni sacrificio fu vano per la nefasta politica.
Lanciano, città liberale e battagliera in ogni tempo, era qualificata dai gerarchi provinciali la città antifascista: non vi era infatti neanche uno della marcia su Roma, né uno squadrista. Sulle sue mura non si sono mai lette le frasi lapidarie che il capo del fascismo lanciava ad ogni adunata di popolo e che i piaggiari di ogni occasione si affrettavano a consacrare sulla pietra. Nessun uomo fatto grande dal fascismo è stato mai onorato in Lanciano.
Nessuna opera, neanche minima, ricorda il periodo fascista.
Per inverso per le riforme e le contrarietà del fascismo, Lanciano ha subito gravissime menomazioni nel suo ordinamento e nelle sue possibilità di sviluppo.
Allorquando - col 25 luglio - il fascismo cadde sommerso dalle proprie colpe, il Popolo Italiano con la riacquistata libertà riprese la via segnata dalla sua storia, ritrovò se stesso sapendo di dover combattere per la liberazione della Patria contro l'eterno, immutabile nemico: il tedesco. In Lanciano coloro che gia operavano clandestinamente intensificarono l'organizzazione per creare una resistenza sistematica contro il tedesco.
Pertanto, con la dichiarazione dell'armistizio, quando i tedeschi occuparono la Città (12 settembre 1943), ogni cittadino era preparato all'opera di sabotaggio e di ostruzionismo: i giovani ed i ragazzi, i quali nelle famiglie raccoglievano lo spirito dei genitori, coglievano tutte le occasioni per arrecare danno al nemico; foravano le gomme; toglievano i bulloni; rubavano gli attrezzi; guastavano in qualsiasi modo gli autoveicoli degli invasori.
I tedeschi depredavano i magazzini degli ammassi di olio e grano, ed essi foravano le botti e laceravano i sacchi per lasciar perdere quanto potevano dei prodotti, pur di toglierli al nemico.
Un ragazzo dodicenne, Giovannelli Eustachio, già distintosi in quotidiane imprese, trafugò un fucile mitragliatore, che nascose in luogo sicuro. Individuato ed arrestato - nonostante le intimazioni e le percosse dei tedeschi - non denunziò dove l'arma era nascosta e solo quando i tedeschi, esasperati, presero per ostaggio lo zio ed altri familiari egli si dichiarò responsabile e restitui l'arma.
Di giorno in giorno la situazione diveniva più grave per le continue razzie dei tedeschi ed accrescevasi il fermento della popolazione. A centinaia affluivano i cittadini di tutti i ceti e di tutte le età nelle formazioni armate.
Il 4 ottobre 1943 i tedeschi saccheggiarono molti negozi. Data l'esasperazione della popolazione, il Generale del Genio, a riposo, sig. Ginesio Mercadante, chiese ed ottenne di essere ricevuto al comando tedesco per esprimere la protesta per quanto compiuto. Vano tentativo.
Non tutti sapevano dello spontaneo intervento del Generale Mercadante, per cui quando lo videro trasportare su un mezzo tedesco credettero ad un suo arresto e la popolazione, come rapita da un'ossessionante necessità di ribellione, è tutta nella piazza, corre alle Caserme dei Carabinieri e della Milizia e invoca armi per combattere. Si calma solo quando il generale torna libero.
Fu uno spettacolo di meravigliosa bellezza, entusiasmante, che valse a porre, però, sull'avviso i tedeschi che la sera stessa disposero il coprifuoco ed il pattugliamento tanto nell'interno che alla periferia della Città. Ma la popolazione lancianese, ormai in armi, sfida anche tale rigorosa disposizione e si prepara all'azione.
Il giorno 5 Ottobre 1943 si ebbe il primo contrasto d'armi: alcuni partigiani appostati, sbarrata la strada di circonvallazione in contrada Pozzo Bagnaro, assaltano alcuni automezzi nemici carichi di munizioni; feriscono gli uomini e incendiano i veicoli.
Le fiamme altissime, che per alcune ore della sera arrossavano il cielo, sembravano segnare, come segnarono, la sanguigna aurora del domani. Altra auto venne assalita ed incendiata al Largo 5. Lorenzo. I tedeschi feriti e catturati vennero trasportati all'Ospedale.
Nella notte i tedeschi catturarono il partigiano Trentino La Barba, principale autore della predetta impresa, nel tentativo di un colpo di mano.
Sottoposto ad interrogatorio per conoscere gli organizzatori, il numero dei ribelli, la quantità e qualità di armi disponibili ed i piani di azione, egli tace. Lo torturano ma egli tace sempre; è legato ad un palo in uno scantinato della sede del comando tedesco e fustigato, e così trascorre la notte.
Al mattino seguente, perché la popolazione vedesse ed inorridisse, quando stava per iniziare l'azione di cui appresso si dirà, è condotto su un camion lungo il Viale dei Cappuccini, legato ad un albero e quivi ancora incitato a parlare con torture di ogni genere, ma Trentino La Barba tace e nell'atroce sofferenza, atteggia quasi un sorriso di scherno, pur sapendo sicura la sua fine. Il suo sguardo è fiero e pare che sfidi; il carnefice tedesco, furente, lo acceca per poi finirlo a colpi di pistola.
Magnifico, insuperabile sacrificio.
Il suo corpo verrà poi raccolto con gli altri Caduti della giornata.


Trentino La Barba tacque perdendo gli occhi e la vita per non parlare, ma il suo fu un esempio del come il popolo di Lanciano sentiva la gravità dell'ora e l'avversione al tedesco, perche nessuno riferi’ mai, o per minaccia o per lusinghe, il nome degli organizzatori e gli organizzati della Azione Patriottica Insurrezionale. Ed è questo uno dei maggiori titoli di merito e di orgoglio della Città di Lanciano.
Intanto, consapevoli che l'accaduto avrebbe indotto i tedeschi ad un'azione di rappresaglia, nella notte, tutti i partigiani già organizzati ed armati e cittadini che, pur sprovvisti di armi, volevano dividere il rischio offrendo comunque la loro opera, si adunarono per preparare rapidamente l'azione.
Si presero altre armi alla Caserma della Milizia e dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Si utilizzarono anche vecchie armi. Organizzarono l'azione il Generale Mercadante, Di Menno Di Bucchianico Americo (che poi divenne il comandante della compagine partigiana), Avvento Montesano, il dott. Carlo Shonheim ed altri giovani ufficiali di Lanciano. Al mattino le forze partigiane lancianesi, diverse centinaia in squadre, preparate a battaglia, occuparono tutti i punti tatticamente utilizzabili, le Torri Montanare, le case prospicienti il Viale Silvio Spaventa, la Caserma S. Chiara della Milizia, il Torrione Aragonese ed i vari ponti e strade di accesso. Viene sbarrato il Viale dei Cappuccini. Verso le ore 8 le pattuglie appostate lungo il Viale dei Cappuccini scambiano le prime fucilate con i tedeschi; poi l'azione prende il suo rapido sviluppo. Di fronte al numero, alla tecnica e alla perfezione delle armi dei tedeschi vi erano la baldanza ed il cuore dei giovani lancianesi divenuti temerari con la visione dell'olocausto di Trentino La Barba. I partigiani frentani tennero le posizioni sino al pomeriggio, quando i tedeschi ebbero in rinforzo battaglioni con autoblindo e cannoni, ed essi erano ridotti di numero per morti e feriti e privi di munizioni. Segui la rappresaglia tedesca spietata verso uomini e cose sinteticamente in principio accennata.
Durante il combattimento si ebbe la prova più fulgida dell'eroismo non solo dei partigiani combattenti, ma di tutta la popolazione che trepidante segui l'azione: i giovanetti, per le strade, tra il sibilare dei proiettili e lo scoppio delle granate, intrepidi, si aggiravano per le piazze e le strade manifestando nella forma dialettale la loro noncuranza del pericolo: “Jame, jame: è la guerre condre a la Germania”.
I genitori, pur sapendo i figli impegnati, non tremavano e non piangevano, ma solo chiedevano dell'andamento dell’azione.
Gli inermi si adoperavano come portaordini, trasporto munizioni e feriti, centuplicando i loro sforzi per emulare degnamente chi combatteva. Con eguale cura venivano raccolti i feriti e portati all'Ospedale.
Un vecchio che trasportava le munizioni, nel punto di maggiore pericolo, dietro le Torri Montanare, attendeva all'opera cantando e fumando ed ebbe la pipa asportata da un proiettile di fucile, aveva sempre per sé due bombe a mano per servirsene, diceva, in caso di incontro con i tedeschi.
I nostri morti giacevano là dove avevano avuto la consegna di combattere.
I genitori, i congiunti li ricercarono poi per dare ad essi sepoltura, mutamente, senza pianto.
La madre di Bianco Vincenzo, ferito a morte in combattimento e finito con la mitraglia dalla brutalità teutonica, che ebbe altri due figli impegnati nell'azione, volle raccogliere il corpo esanime del figlio e sulle sue braccia, pietosamente, lo riportò in casa. I vicini facevano ala e si inginocchiavano al suo passaggio.
-Il dolore aveva impietrito il cuore di tutti; il sacrificio li inorgogliva; il dovere compiuto e da compiere li appassionava.
Un caduto, Sammaciccia Pierino, col proprio sangue lasciava sull'asfalto della piazza l'impronta del suo corpo.
Per mesi, nonostante l'insistenza delle piogge e poi anche la neve, l'impronta rimase li sempre viva a raffigurare il Caduto, che sembrava dovesse colà risorgere.
La fantasia popolare creò una particolare aureola di gloria per la vittima innocente.
Dal giorno del combattimento, vicino all'albero ove Trentino La Barba, legato, venne accecato ed ucciso, divenuto altare, e sull'orma di Sammaciccia Pier:no, i cittadini di Lanciano, come in devoto pellegrinaggio, hanno quotidianamente sostato, deponendovi fiori e preci, a costante ammonimento e sfida ai tedeschi.
Superate le giornate critiche dell'insurrezione, la popolazione lancianese si chiude nel suo dolore e nell'orgoglio per il sacrificio compiuto.
Non essendo più possibile la lotta aperta ed armata, si inizia quella sorda ed occulta, costante ed egualmente efficace, dell'ostruzionismo e del sabotaggio. I giovani si sottraggono al lavoro obbligatorio; molti prendono la via della montagna o per sfuggire al rastrellamento o per partecipare a nuove guerriglie: è in formazione la Brigata “Maiella” a cui aderiscono.
Venivano sistematicamente strappati i manifesti imperativi del Comando tedesco, compiute sottrazioni continue ai parcheggi ed ai posti di rifornimento del nemico, operate interruzioni delle linee telefoniche e telegrafiche installate per i vari comandi e servizi, rimossi i cartelli indicatori stradali e distrutti gli altri cartelli segnaletici in genere.
Coloro che non potevano sfuggire al rastrellamento compivano il lavoro in modo da arrecare danno e pregiudizio al nemico: deteriorando il materiale e sabotando quanto più possibile.
Allorquando le truppe alleate iniziavano l'avanzata decisiva per oltrepassare la linea del Sangro, il comando tedesco impose lo sfollamento obbligatorio.
Lanciano fu la prima città d'Italia a subire tale triste condanna.
Gli ordini tedeschi erano imperativi, ma i manifesti venivano strappati appena attaccati.
Dalla balconata municipale, in ossequio agli ordini tedeschi, al popolo convocato:
- si cercava di illustrare la necessità dello sfollamento per le evenienze guerra e nello stesso interesse dei cittadini, assicurando che i tedeschi civili ed umanitari (?!!?) avrebbero trasportato tutti in luogo sicuro, con particolare riguardo ai vecchi, alle donne, ai bambini;
- che le case degli sfollati sarebbero state custodite dalle autorità che restavano, anzi si sollecitava il deposito delle chiavi al Comune.
Il popolo di Lanciano non accedette alla lusinga e rise pronto ad ogni rischio.
- si cercava poi di far comprendere che i tedeschi allo scadere del termine fissato avrebbero potuto fucilare senza preavviso (e di questo nessuno dubitava) chiunque fosse stato incontrato o trovato in Città, perché ritenuto spia.
Il popolo di Lanciano, pur consapevole della brutalità tedesca (e ne aveva avuto tante prove) non si lasciò intimidire dalla minaccia e rimase.
Bisognerebbe ancora oggi vedere dove il popolo lacianese ha saputo trovare rifugio, adattarsi a vivere per non lasciare la propria terra, per non attendere agli ordini tedeschi e valutare il suo spirito di sacrificio.
Dal 6 Ottobre al 3 Dicembre 1943, giorno in cui Lanciano venne liberata dalle truppe alleate, i cittadini vissero una vita di inferno, indescrivibile. Rinchiusi nei sotterranei, nelle fogne, privi di luce ed aria, spesso senza neanche un poco di strame per sdraiarsi; con viveri scarsissimi dovettero subire massicci, sistematici bombardamenti degli Alleati, che hanno prodotto alla Città danni gravissimi e numerose vittime.
Non essendovi una organizzazione sanitaria per i civili, nel frattempo l'ospedale era stato radicalmente distrutto dagli aerei), i cittadini erano sempre pronti laddove vi erano vittime da soccorrere e curare in luoghi di fortuna, (Casa De Giorgio prima, il Seminario poi).
Nessuna imprecazione, ma solo l'ansia nell'attesa della liberazione.
L'alba del 3 Dicembre 1943 segnava la liberazione di Lanciano.
Cominciava però da quel momento un nuovo calvario per la diretta azione di guerra tedesca contro Lanciano. Lasciata Lanciano i tedeschi si attestarono sul fiume Moro cioè a non più di duemila metri in linea d'aria dalla Città.
Alle ore 10 dello stesso giorno 3 dicembre si ebbe il primo bombardamento aereo tedesco e da allora, quotidianamente, seguirono sistematici cannoneggiamenti di tutti i calibri perché la Città era divenuta base delle immediate retrovie delle truppe alleate e quindi registrava un imponente ammassamento di mezzi e truppe.
I cittadini di Lanciano, incuranti del pericolo, cercano di riprendere nei limiti del possibile le loro attività, si adattano a qualsiasi lavoro e cercano di riparare le case danneggiate.

Ad ogni bombardamento sono sempre più i volenterosi ad accorrere prima delle organizzazioni sanitarie alleate per soccorrere i feriti e gli infortunati, dare sepoltura ai morti. Tutti , i ragazzi in special modo, pare abbiano fatto l'abito alla guerra: hanno imparato a distinguere i colpi in arrivo ed in partenza, a determinare con esattezza il punto di caduta ed a raccogliere e divulgare con rapidità impressionante le conseguenze dei quotidiani bombardamenti.
Il 20 aprile 1944 è giornata tenebrosa per Lanciano: una formazione di 24 aerei tedeschi, a motori spenti, eludendo anche gli osservatori delle batterie antiaeree, si abbatte sulla Città che in quell'ora - le 11 del mattino - era gremita di militari alleati, di automezzi e di civili.
Bombe di grosso calibro caddero in tutti i quartieri, ma micidiali furono quelle che caddero nel centro della Piazza Plebiscito, di fronte alla Basilica della Madomma del Ponte. La piazza divenne come una bolgia infernale per l'incendio di decine di automezzi; un carnaioper le centinaia di cadaveri, orrendamente dilaniati. Mitragliamenti a bassa quota crearono vittime anche in strade remote. Mai spettacolo più triste si sarebbe potuto presentare a sguardo umano.
In tanta tragedia il popolo lancianese trova sempre la sua forza e la sua volontà: è presente laddove vi sono incendi da domare, macerie da rimuovere, cadaveri da trasportare, feriti da soccorrere, infelici da confortare.
Per quanto in proporzioni minori la tragedia si ripetette il 6 giugno 1944 - e fu l'ultima prova di fuoco - allorquando ial momento in cui gli Alleati riprendevano l'avanzata, i tedeschi, sempre memori della Città ribelle, vollero dare l'ultimo saluto. Cannoni di grosso calibro bombardarono ancora lanciano. Colpi caddero ancora in Piazza Plebiscito ed al Corso Trento e Trieste. Quella giornata segnò altre 37 vittime.
Ovunque e sempre fu presente il popolo di Lanciano. Meraviglioso esempio di volonta, di tenacia, di sacrificio, di amore alla propria terra ed alla Patria, disprezzo del pericolo.
E tale esempio non è sfuggito ai Comandi Alleati.
Si annotano anche magnifici, sublimi esempi di sacrificio per ragione di onore ed amore familiare di cui in particolar modo si citano:
- Un branco di soldati - in aperta campagna - in contrada S. Maria dei Mesi, penetra in una casa con l'evidente scopo di usare violenza alle donne. Una giovane è subito oggetto della loro cupidigia, ma il fratello - D'Ovidio Ernesto - giovane intelligenza superiore e dall'animo sublime, studente universitario, è contro di loro e dà modo alla sorella di chiudersi in una stanza. Pur tanto debole è divenuto un leone. Gli sparano contro, lo colpiscono con i pugnali; egli si abbatte dinanzi a quella porta ed i soldati si ritraggono: la sua vita vale l'amore, l'onore della sorella.
- Caso analogo in contrada S. Liberata: soldati invadono la casa del mugnaio Ferruccio Alessandro, aggrediscono una figlia sordomuta. Alle grida accorre il padre, erculea figura, che strappa la figlia dalle mani dei bruti, ne abbatte alcuni con la sola forza delle sue braccia, ma colpi di pistola e di pugnale lo abbattono; egli cade avendo tra le braccia la figlia. Sono esempi di un popolo forte e di onore.
Parimenti degno dl considerazione è stato il comportamento dei contadini: l'agro di Lanciano corre tra il fiume Sangro ed il Moro, zona quindi dove la guerra combattuta ha sostato per circa otto mesi. I terreni sono stati in gran parte minati ed occupati dai parcheggi, postazioni di artiglieria, accampamenti, servizi ed altro. I nostri contadini mai hanno abbandonato le loro terre, le loro case, affrontando tutti i rischi della guerra che è passata su di loro; hanno lavorato costantemente per produrre di che vivere dissodando i terreni già occupati, rimuovendo con grave loro rischio, spesso pagato con la vita, le numerose mine. Hanno meritato la gratitudine della popolazione.
Lanciano a causa della ribellione armata del 5 e 6 ottobre 1943 e poi per la resistenza ai tedeschi durante il periodo di occupazione tedesca ed alleata ha avuto le seguenti perdite:
Morti in combattimento e per rappresaglia n. 23;
Morti civili durante il periodo di resistenza fino al giugno 1944, circa n. 500;
- Distruzione radicale della Ferrovia Sangritana;
- Distruzione di tutte le industrie che davano vita ad un complesso di operai per circa cinquemila (5.000);
- Abbattimento di numerosi fabbricati e danneggiamento di altri con perdita tra distrutti e danneggiati di n. 8.533 vani;
- Asportazione da parte delle truppe di valori di ogni genere per un ammontare di diverse centinaia di milioni.
I patrioti lancianesi hanno prodotto al nemico la morte di quarantasette (47) uomini e causato numerosi feriti, nonché la distruzione di un notevole numero di autocarri, di materiale vario, delle linee telefoniche ed elettriche, ecc.
Con decreto del 6 marzo 1947 Lanciano è stata riconosciuta Città disastrata ai fini della ricostruzione.
Con decreto del 24 marzo 1948 è stata riconosciuta Città sinistrata a tutti gli effetti di legge.
A Trentino La Barba, simbolo dell'eroismo e del martirio dei patrioti lancianesi è stata conferita la Medaglia d'Oro.
La motivazione della più alta ricompensa a Trentino La Barba esprime, in sintesi, non solo il suo eroismo ma anche e più ancora lo spirito eroico e l'amore per la Patria di tutto il popolo lancianese che ha dato vita ed ispirazione a tanto largo movimento partigiano.
Sarebbe estremamente doveroso che le Superiori Autorità conferissero una degna ricompensa al Valore agli altri dieci partigiani morti combattendo, perché ognuno di essi è un Eroe da ricordare.
Giovani e taluni, come Trozzi Nicolino e Marsilio Giuseppe, addirittura ragazzi appena quindicenni che mai prima di allora avevano conosciuto e maneggiato un fucile militare, hanno tutti impegnato una lotta contro un nemico tanto potente e tanto attrezzato tecnicamente e numericamente senza speranza di vittoria ma con la certezza di perire pur di affermare la loro passione per la bontà e bellezza della causa: la liberazione della loro Città e della Patria dall'invasore.

E la loro azione, si noti, avvenne quando le truppe alleate erano ancora a più di cento chilometri da Lanciano, quindi senza speranza di aiuto. Ideale più nobile, sacrificio più puro certo non vi potrebbe essere.
E la Città - LANCIANO - che tale spirito e tali sentimenti ha saputo infondere a tutti i suoi figli che concordi, unanimi hanno dato vita ad un movimento organizzato e di ribellione conclusosi con l'episodio da epopea del 5 e 6 Ottobre 1943 e successiva azione di resistenza, è ben degna di essere affidata alla Storia col segno della massima ricompensa al Valor Militare perché l'esempio non perisca.
Il 6 Ottobre 1944 l'on. Avv. Giuseppe Spataro, delegato del Governo, celebrava il primo anniversario dell'avvenimento glorioso mettendo in rilievo il valore dei singoli combattenti e dell'intera cittadinanza, per cui poneva come atto di giustizia per necessità storica il conferimento della Medaglia d'Oro alla Città. Veniva in tale occasione, sul luogo dell'azione, murata la seguente lapide:

Il 6 Ottobre 1945 l'On. Avv. Luigi Gasparotto, delegato del Governo, consegnava davanti alla popolazione adunata nella Piazza, la Medaglia d'Oro alla vedova di Trentino La Barba.
Ognuno ricorda quanta e quale sia stata la commozione suscitata dalla parola dell'On. Gasparotto che, ricordando il sacrificio del figlio, anch'esso Partigiano ucciso dai tedeschi, elevava l'episodio del 6 Ottobre 1943 e lo spirito eroico e di sacrificio della popolazione di Lanciano alla più nobile considerazione e riconoscenza della Nazione.
Il 6 Ottobre 1946, l'On. Mario Cingolani, delegato del Governo, celebrava la storica ricorrenza ed inaugurava la lapide apposta al Monumento ai Caduti in ricordo dei Martiri del 6 Ottobre 1943, e, nell'esaltare l'eroismo ed il sacrificio dei giovani partigiani, invocava che la Nazione ponesse all'ordine del giorno la Città di Lanciano che aveva generati ed educati tali figli a si puro amore per la Patria.

Di recente il Prof. Gaetano Salvemini che, onorando l'Italia, insegna all'Università di Londra, esprimeva la più viva esaltazione per la gesta eroica di Lanciano, che agli Italiani all'estero, a cui la notizia pervenne per radio, parve come il primo segno tangibile della riscossa e della liberazione, ed invocava anche alla Città nostra non mancasse la giusta ricompensa per i posteri. E non mancherà.
Saranno, in fascicolo separato, esibiti alcuni documenti a conferma di quanto innanzi esposto, con riserva di esibirne altri se necessario.

Lanciano, febbraio 1949.

IL SINDACO
Avv. A. Paone

Sez. ANPI Lanciano
L. MARFISI

 

 


ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D'ITALIA
SEZIONE DI LANCIANO

Relazione sul movimento partigiano lancianese
e sull'azione della Banda
“Medaglia d' Oro Trentino La Barba”


Dall'Aprile al Dicembre 1943, cospirando ed operando, con il rinnovato ardire ed ardore dei classici primi moti. nazionali, Lanciano riaffermava la sua inflessibile volontà di non obbedire all'arrogante tracotanza delle truppe tedesche di occupazione.
Durante questa, non disarmava i suoi spiriti ostili, anzi affinava e intensificava la sua preparazione bellica, per la insurrezione imminente, sabotando, con ogni mezzo, le operazioni militari nemiche, frustrandone le azioni di reclutamento forzoso d'uomini da adibire ai lavori di trinceramento, soffiando nelle coscienze civili lo spirito di insubordinazione e di disobbedienza alle perentorie ordinanze e ai bandi minacciosi del comando teutonico.
I giorni 4, 5 e 6 Ottobre la Città Frentana, rompendo le ambagi e sbandando ogni prudenza, rompeva in rivolta aperta e in guerra guerreggiata sulle piazze e nelle vie, con le armi del suo coraggio, sbigottendo il nemico enormemente superiore per forze e per armi, dimostrando col sangue e con la morte, baldamente affrontata, col martirio stoicamente subito, che, tra le viltà dei pochi rinnegati e barattieri del nome santo di Patria, c'erano ancora coscienze e petti che ne custodissero e chiudessero Il sacro fervore.
In una compagine unica, in una monolitica fermezza di tutti i cittadini, Lanciano continuò ancora la sua opera di patriottico civismo, nei lunghi passionali mesi in cui il fronte alleato permase quasi tra le sue mura, ne' mai smarrì la sua fede o pavento’ nel pericolo, ma riprese, sotto il martellante cannone tedesco la sua ordinaria attività, commemorando i suoi Morti e traendo da essi monito ed esempio per futuri piu’ virili e nazionali propositi.
Lanciano, fin dal periodo della Rivoluzione Francese, affermò il suo spirito di libertà, ribellandosi al governo borbonico, per cui perdette la Corte di Appello di cui era sede e fu dichiarata Città fellona. Il fascismo mai mise vere radici in questa Città, tanto vero che essa non annovera tra i propri cittadini un solo squadrista, né, pertanto, ebbe mai ad avvantaggiarsi di un solo beneficio del regime, anzi subì vessazioni d'ogni sorta.
Con questa tradizione e con questi precedenti, non è da sorprendere come essa abbia potuto essere, dopo Napoli, la prima Città ribelle del Mezzogiorno, ribellandosi di più al tedesco, non quando gli Alleati erano già sbarcati, come a Napoli, ma quando essi erano lontani più di cento chilometri.

Azione organizzativa

Il primo movimento segreto, sistematicamente organizzato, si ebbe quando ancora il fascismo era in piena efficienza e non se ne prevedeva la caduta.
Sul finire dell'Aprile del 1943 sorse il primo gruppo antifascista col nome di “Unione Antifascista Nazionale” in collegamento con le sedi clandestine di Roma, Milano e Bari. Si iniziò la serie delle riunioni segrete. Si ricevettero e si diffusero circolari e manifesti di propaganda, altri manifesti l'Unione preparò per suo conto, incitando il popolo a sollevarsi contro il fascismo.
Dopo il 25 Luglio, il Movimento si allargò, divenne cittadino.
Il 12 Settembre 1943 apparve a Lanciano un primo camion con dentro dei soldati tedeschi. La Città, per prima fiera protesta, chiuse porte e finestre in faccia ai tedeschi, le strade diventarono deserte.

Il 13 Settembre 1943 ebbe vita a Lanciano un secondo gruppo di azione composto di quindici elementi che iniziarono l'opera di sabotaggio contro i tedeschi; vennero intercettate le cartoline precetto inviate dalla milizia per il richiamo delle classi.
Si strapparono i manifesti murali, fascisti e tedeschi, appena affissi. Nessun cittadino aderi alla chiamata alle armi, né obbedì alla ingiunzione dei bandi tedeschi. Piccoli nuclei di giovani, per sfuggire al reclutamento militare e alle imposizioni di lavoro dei bandi tedeschi, e per più facilmente ed utilmente svolgere l'opera di propaganda, si allontanarono da Lanciano e si sparsero sulla montagna e lungo la costa, non senza prima essere stati forniti di armi e munizioni dai due Comitati di azione. Alcuni volenterosi ed audaci riuscirono perfino a passare il fronte del Trigno per trasmettere agli Alleati rilievi topografici e dati informativi circa le operazioni e i movimenti delle truppe tedesche lungo la difesa del Sangro.
Gli elementi della seconda formazione salivano intanto ad oltre 150.

La fusione dei due gruppi

L' identicità dei sentimenti e dei finì determinò automaticamente l'unione dei due gruppi, quello cioè antifascista e quello sorto il 14 Settembre.
Per la migliore opportunità delle riunioni, fu scelto un locale terraneo nelle adiacenze di Villa delle Rose, luogo adatto a contenere il crescente numero degli aderenti, ma veramente imprudente per la sua ubicazione troppo esposta alla oculata vigilanza delle pattuglie tedesche. L'entusiasmo giovanile tuttavia non valutava alcun pericolo, come ebbe poi a dimostrare. Nel nuovo locale fu organizzato dai dirigenti dei due gruppi, che ormai formavano un corpo ed un'anima sola il colpo di mano notturno alla Caserma della Milizia, per cui si riuscì ad avere un bottino di 450 tra moschetti e fucili, un fucile mitragliatore, tre casse di munizioni e bombe a mano. Il colpo, oltre che dall'audacia impareggiabile dei giovani lancianesi, era stato protetto ed assecondato dalla pioggia.
Nonostante la paura, da una parte, e l'amletica perplessità, dall'altra, del Capitano dei Carabinieri del tempo, il nucleo partigiano riuscì ad attirare nella sua orbita alcuni militi dell'arma benemerita, i quali veramente si mostrarono benemeriti in più circostanze.
Il 29 Settembre 1943 due emissari partigiani partirono per Chieti, per arrestare il Colonnello della Milizia che quivi era fuggito. L'impresa non riuscì perché i due furono arrestati dai tedeschi: essi riuscirono tuttavia a fuggire e, nella fuga, uno rimaneva ferito.
Il4 Ottobre 1943 autoblindo tedesche scesero dal vicino Comando, posto, in contrada Marcianese, al Villino Paolucci, e cominciarono a ripetere in più larga scala lo svaligiamento iniziato fin dai primi giorni dell'occupazione. Un generale del Genio, lancianese, presente alla scena, chiese all'ufficiale tedesco un abboccamento col Comando, e partì alla volta di quest'ultimo su un'autoblinda. La folla radunata in piazza, credendo che si trattasse di un arresto perpetrato dai tedeschi, cominciò a tumultuare e a richiedere le armi dal locale Comando dei Carabinieri.
Nel pomeriggio dello stesso giorno 4 Ottobre un ragazzo dodicenne, iscritto alla organizzazione clandestina, Eustachio Giovannelli, riusciva a sottrarre abilmente un fucile mitragliatore da un camion tedesco, quasi alla presenza di questi ultimi. Il fucile veniva portato in seno al Comitato clandestino.
Nella notte precedente, intanto, era stato operato un secondo colpo di mano con nuova asportazione di munizioni dalla Caserma della Milizia che in quella circostanza era presidiata dai tedeschi.

Le giornate di sangue

I tedeschi, impressionati per la prima aperta manifestazione di ostilità avvenuta il 4 Ottobre da parte del popolo inerme, il giorno 5 Ottobre cominciarono a circolare con automezzi per le vie esterne della Città. I partigiani, scaglionati ed annidati nei punti più strategici, specie nei pressi della località ove trovavasi il deposito delle armi catturate, assalivano, depredavano delle armi e delle munizioni tre degli automezzi circolanti, fugandone e ferendone la scorta ed incendiando le macchine tolte al nemico. Per varie ore le fiamme arrossarono di vividi bagliori la Città fremente.
L'incendio degli automezzi aveva rotto le ambagi. Ormai si capiva che non c'era da scegliere che uno dei termini del dilemma: o subire la rappresaglia inevitabile o prevenirla, attaccando per primi. Si scelse quest'ultima via.
Alle prime ore del 6 Ottobre, Lanciano formicolava di giovani armati, alcuni con l'elmetto, altri a capo scoperto. Tutti, secondo le disposizioni date, si raggruppavano nel Piazzale Santa Chiara, parte in attesa dei tedeschi che si diceva movessero da Castelfrentano, parte per recarsi alla Caserma delle Guardie di Finanza, dove il brigadiere di servizio consegnava senza difficoltà fucili e munizioni. Un altro gruppo invadeva la Caserma della Milizia col duplice scopo di requisire altre armi e di meglio spiare al riparo delle finestre l'avvicinarsi del nemico.
E' da notare che la detta caserma trovasi all'imbocco delle tre strade che confluiscono all'inizio del Corso Roma, la vecchia principale arteria di Lanciano. Il posto, pertanto, era di somma importanza agli effetti bellici.
Quivi infatti avvenne il primo urto con i primi morti da entrambe le parti: i tedeschi, fermati nel primo momento, riuscirono con i nuovi elementi propri affluenti a premere nell'interno della Citta’ i giovani partigiani.
Come primo atto di efferatezza essi fucilavano un prigioniero da loro catturato il giorno innanzi, Trentino La Barba, la Medaglia d'Oro a cui si intitola la Banda, che dopo essere stato ripetutamente seviziato, veniva privato degli occhi e fucilato a Porta S. Chiara.
Quest'atto di inaudita crudeltà, che ricorda la ferocia degli arabi nella guerra libica, non doveva avere altro scopo che quello di costituire una prima intimidazione. Ma non giovò.
I partigiani frazionarono il gruppo della loro formazione in piccoli nuclei sparsi per le varie strade e rioni e per le case cittadine. Ogni angolo di Lanciano fu teatro della battaglia e scene di episodi da parte dei civili e dei combattenti si alternarono in gara di coraggio e di sprezzo del pericolo.
Giovinetti che non avevano mai maneggiato le armi e mai avuto esperienza della guerra, furono di esempio ai più maturi e insegnarono come, per valorosamente combattere, basta una fede in una causa ideale che annulla lo stesso valore ed attaccamento alla vita individuale. Gli episodi individuali e collettivi sono stati illustrati in molte pubblicazioni.
La lotta si protrasse fino a tarda ora del pomeriggio. Nuovi rinforzi con cannoni anticarro e da campagna occuparono la Città cannoneggiandola. Mentre i partigiani si ritiravano nelle campagne tra il Sangro e il mare, i tedeschi si abbandonavano alle più feroci rappresaglie. Saccheggiarono i negozi e le case asportando biancherie, oggetti di valore, e, sfogate tutte le loro rapine, sull'imbrunire, incendiavano i magnifici negozi dei portici comunali, opifici e case private. La Città sembrava tutto un rogo acceso sul prossimo mare: il rogo dei nuovi Maratonidi Frentani!

Il bilancio tragico della giornata

Undici partigiani caduti in aperto combattimento ed undici civili, tutti uccisi per rappresaglia da parte dei tedeschi, costituiscono il tragico bilancio della giornata.
Di uno dei civili, catturato e fucilato dai tedeschi, rimase per oltre un mese, incancellabile nonostante la pioggia, la spettrale effigie sanguinosa, nello stesso disperato atteggiamento in cui era caduto.

Tregua apparente

La distruzione di Lanciano fu decretata dal Comando tedesco, ma non eseguita immediatamente perché l'Alto Comando
L'Arcivescovo e il Podestà cittadino riuscirono ad ottenere dal Comando tedesco una tregua alle rappresaglie, a condizione che una tregua vi fosse anche da parte dei partigiani, tregua che fu solo apparente.

Il popolo tutto, così duramente colpito nei propri affetti, nelle case, negli averi, non diede mai segno di scoraggiamento. Non fu notato un solo caso di viltà e di delazione. L'unita spirituale, la resistenza sorda, continuarono anche nei giorni posteriori alla battaglia. La solidarietà civile si rinsaldava. Il sabotaggio veniva ripreso ed intensificato con ponderata tenacia e con concreta efficienza. Si resero impraticabili le strade, si neutralizzarono le funzioni telefoniche nemiche.
A Villa Baccile, nelle adiacenze del Moro, un partigiano del luogo, collegato alla organizzazione lancianese, riusciva a paralizzare con uno stratagemma incontrollabile i fili telefonici tedeschi gettati per le campagne, inchiodandoli agli alberi con spilli e chiodi invisibili.
Da parte del Comune venivano falsificate le carte di identità degli internati e delle persone compromesse e si dilazionavano, con innumerevoli espedienti le date di sfollamento obbligatorio imposto dai tedeschi alla popolazione civile.
Si sottrasse il grano agli ammassi, come pure l'olio, per darli alla popolazione affamata e impedire che venissero requisiti dalle truppe di occupazione.
Squadre notturne tornarono a lacerare i manifesti affissi alle cantonate, riproducenti le ordinanze di reclutamento degli operai da adibire alle opere di rafforzamento della linea del Sangro. Perché tutta questa azione sabotatrice riuscisse a compiersi in pieno, fu escogitata l'infìltrazione di elementi partigiani nella organizzazione amministrativa e di polizia tedesca.
Vari partigiani così recanti sull'abito il bracciale immunitore, circolavano impunemente per le vie cittadine e, fingendo di compiere l'opera collaboratrice, ne frustravano di fatto ogni iniziativa. In tal modo fu potuta stornare in parte, sia pur minima, la grossa razzia del bestiame, nascondendone alcuni capi e mettendo in guardia i proprietari del giorno e dell'ora dell'arrivo dei tedeschi. Ancora una volta rifulse lo spirito di audacia e l'opera preziosa dei ragazzi lancianesi, che odiavano i tedeschi non meno che i grandi.
Un bimbo di otto anni riuscì a riprendere con astuta manovra e a condurre al sicuro un cavallo che una pattuglia razziatrice aveva rapito a suo padre.
Quando una perentoria ordinanza costrinse una parte minima della popolazione a sfollare, sotto minaccia di morte, i cittadini rimasti si occultarono nei sotterranei, nelle soffitte, in attesa che precipitassero gli eventi, come tutto dava a dimostrare.
E gli eventi precipitarono il TRE Dicembre 1943.
E dovere di esattezza storica ricordare che due o tre giorni prima di questa data, e precisamente sul finire di novembre 1943, due partigiani (Mammarella Pietro e Domenico Marino) furono inviati a portare, oltre le linee del fronte, una carta topografica in triplice copia, sottratta da una casa ove era installato un Comando tedesco. Il fatto fu confermato ed encomiato dalla Polizia Alleata (F.S.S.).

La nuova insurrezione

La notte tra il due-tre Dicembre 1943 a Lanciano non si dormi, si visse l'ansia delle grandi vigilie. Un manifesto salutante l'entrata degli Alleati venne affisso alle mura cittadine, quando ancora dei reparti della S.S. tedesca si trovavano agli estremi della Città per proteggere la ritirata delle truppe in ripiegamento.
Alle prime luci dell'alba era veramente un'alba serena, dopo i giorni senza sole e senza vita - la popolazione irruppe dai nascondigli, prima ancora che le avanguardie alleate penetrassero in Città.
Sembrava che si dovessero riprendere nuovamente le armi per inseguire il nemico rotto e sbigottito. Ma era soltanto una insurrezione di coscienze.
I cittadini si diedero a frugare per le case abbandonate dai
tedeschi. Uno solo di essi fu trovato ferito. Venne accompagnato all'Ospedale, dove mori, nonostante le cure.
Con l'arrivo degli Alleati l'azione partigiana si svolse in cordiale intesa con questi ultimi.
Alcuni dei nostri giovani, ormai abituati al clima di guerra, entrano nelle file delle truppe inglesi e canadesi, operanti sulla fronte di Orsogna. Altri si aggregano ai compagni della valorosa Brigata “Maiella” sorta sotto gli auspici e in continuazione del movimento lancianese.

Ma il martirio continua

L'improvvisa irruzione alleata salva Lanciano dalla preordinata distruzione totale, in virtù del movimento aggirante e della paura che i tedeschi avevano, per il fatto che i partigiani non avevano consegnate le armi all'atto della tregua; ma non la risparmia dai nuovi sacrifici del bombardamento nemico e della sua vendetta.
Radio Londra e Radio Bari, esaltando l'eroismo lancianese, avevano sempre più esasperato l'ira dei tedeschi che si erano visti mettere a così dura prova da un pugno di giovani ardimentosi.
Dalle posizioni della vicina Orsogna, ove il nemico si è rafforzato e rintanato, il cannone martella ininterrottamente ed infallibilmente Lanciano.
Ilmartirio non dà tregua, né giorno né notte. Pure la popolazione riprende la sua vita abituale, la sua abituale attività, sotto le cannonate.
Ilventi Aprile 1944, le cannonate tedesche uccidono alcuni cittadini nei pressi della Caserma dei Carabinieri. Più tardi valide squadriglie di caccia tedeschi volano a bassa quota e in picchiata sulla Città, colpendo edifici civili e posizioni militari.
Più di mille sono i morti tra soldati e cittadini. Una ventina di camions alleati vengono incendiati sulla Piazza del Plebiscito, con tutti i soldati che vi son dentro. La piazza si converte in un vero carnaio umano, in bolgia dantesca. Brandelli di carne sono appiccicati, schiacciati alle mura della torre civica e della
Cattedrale. E’ una delle scene piu’ paurose della guerra. Anche in questa circostanza non viene meno lo spirito di civismo del popolo lancianese che rifulge in tutta la sua essenza. Incuranti del pericolo i cittadini si prodigano con i soldati alleati nella coraggiosa opera di soccorso, spengono gli incendi, sgombrano le macerie, cosi’ come avevano fatto in altri casi consimili, come fara’ sempre questo nostro popolo che conosce la virtu’ del lavoro, sente la forza della sua fede animatrice, lo spirito della carita’ di Patria, e con queste armi avanza e combatte sulla via del bene e della civilta’.
Questa la nuda cronaca dei fatti e la verita’ della storia.


Il V. Comandante della banda
Avv. Antonio DI Jenno

Il Segretario
avv. Licio Marfisi

L'Aiutante Maggiore
Avv. Domenico Marino

 

 


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