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 LE RAGIONI SOCIALI E STORICHE DELLA DESTRA    

Introduzione
Il pensiero politico nazionale della destra
La difesa del lavoro nel pensiero della destra
Il pensiero economico della destra tra socializzazione e liberismo
La destra tra monetarismo ed interesse nazionale
La destra italiana tra irredentismo ed europeismo
Le ragioni sociali dell'Europa
Nazionalismo e mondialismo nel pensiero politico di destra
Unione monetaria, globalizzazione e stato nazionale
Relazione di sintesi
Dibattito

 
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Nazionalismo e mondialismo nel pensiero politico di destra

A cura del Dott. Vincenzo Vitale, Magistrato di Tribunale (sintesi)

E' osservazione ovvia constatare come il principio nazionalistico che tanto fervore aveva suscitato nel secolo scorso, fino a risultare un elemento spesso decisivo per la formazione dello Stato moderno, oggi vada incontro a critiche serrate quando non ad aperta ostilità.
Non essendo certo questa la sede per investigare le ragioni di questo coinvolgimento di prospettiva, basterà notare come oggi più che mai il principio nazionalistico vada riaffermato proprio per coltivare l'aspirazione, che non voglia collocarsi sul piano delle mere utopie, alla mondializzazione dei rapporti fra gli uomini e le culture.
In altre parole, contrariamente a quanto si afferma in modo semplicistico da molti, oggi, se si vuole davvero fondare un nuovo e duraturo ecumenismo politico, economico ed umano, occorre prendere le mosse da una chiara e non ipocritamente mascherata prospettiva nazionalista che, senza presupporre o pretendere superate forme di assolutismo statualistico, riesca a dar conto delle ragioni profonde capaci di giustificare una visione universale dell'uomo e dei rapporti sociali.
Questo é il compito specifico di una destra moderna e consapevole di sé.
Infatti, mentre l'internazionalismo tipico della cultura marxista e neomarxista è elettivamente omologato ed omologante nel nome della lotta di classe, il mondialismo della cultura di destra mette in risalto le differenze specifiche fra i popoli e le nazioni per poi assumerle, senza mai negarle, in una prospettiva di ordine universale. Compito certamente non facile e molto impegnativo, e tuttavia l'unico veramente degno di essere portato a termine e per cui valga la pena di lottare, soprattutto nel nostro tempo e nella fase politica che viviamo.
Questa, in Italia, appare purtroppo pesantemente segnata dalla presa di potere da parte di comunisti nostalgici, quelli di Bertinotti, post-comunisti pentiti, quelli di D' Alema ed infine dagli aspiranti comunisti, peraltro non dichiarati, quelli di Marini, Paissan e via dicendo.
Tutti costoro, preso atto, come non avrebbero potuto fare, dal fallimento storico del sistema collettivista sovietico, hanno pensato bene di allearsi col grande capitale monopolistico, visto come inevitabile surrogato del defunto comunismo. Pur di non dar spazio alla libera forma dell'economia concorrenziale, fra l'altro unica tutela dei consumatori, ed alla conseguente libertà politica, costoro si sono alleati coi "padroni", dando vita ad un "unicum" nel panorama occidentale: una nuova ed irripetibile forma di capitalismo di Stato. Ne viene che pochi grandi gruppi industriali dettano le linee decisive di politica economica e sociale, mentre il ceto medio, fatto di impiegati, professionisti, piccoli imprenditori, artigiani, che costituisce realmente la spina dorsale dell'economia nazionale ed insieme l'espressione più genuina dello spirito italiano, è del tutto abbandonato, privo di una reale rappresentanza politica.
Il paradigma mondialistico che trova dunque una prima espressione nell' Europa di Maastricht nasce con questo vizio d' origine: si vuol costruire una Europa omologata alla grande finanza attraverso la via, tutta italiana, del capitalismo di Stato.
Alla destra toccherà dunque denunciare codesta situazione intollerabile per ogni spirito libero e proporre la propria via all' Europa: quella della identità e delle specificità nazionali.