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-NUOVA ARCHITETTURA
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SEGNALAZIONI-

GRAN BRETAGNA
Toyo Ito e Cecil Balmond di Arup Ass.

Serpentine Gallery Pavilion 2002
"Summer Pavilion"
London


Serpentine Gallery - London sito ufficiale
Photographs (c) David Grandorge


GIAPPONE
Foreign Office Architects (Farshid Moussavi e Alejandro Zaera-Polo)

International Ferry Terminal
Yokohama




Archined 06 2002
Fotoreportage (c) Kurt Handlbauer


I COMMENTI DI ARCHITETTURA AMICA

Reinventare il gazebo.

Prima ancora che chiosco, gazebo vuol dire belvedere. To gaze. Guardare fisso, fissare. Il gazebo, architettura squisitamente -elegantemente- inglese è un luogo, complemento del giardino, dal cui interno poter guardare, intensamente, in un modo molto speciale, ciò che circonda. Un intorno a sua volta speciale, tanto da costituire l'oggetto del "bel vedere".Si nutre di un rapporto ambiguo con il suo esterno, rispetto al quale i confini appaiono deboli e le reciproche interazioni forti. Per dirne una: senza un luogo privilegiato da cui guardare non ci sono vedute di particolare attenzione, ma senza vedute meritevoli di particolare interesse non si da un luogo d’osservazione privilegiato. L'uno richiede l'altro ed entrambi si sostengono a vicenda. Fino al punto che entrambi possono essere le due parti dello stesso artificio. Generarsi ed inventarsi reciprocamente. Ma se è vero che la bellezza non è che un'invenzione umana: vista come tale e non esistente in natura come tale, ne consegue che la bella veduta e il belvedere sono sempre in frutto di un artificio.
Così il gazebo, nella sua principale caratteristica di belvedere, non è altro che l'architettura -nel suo senso più puro- dal quale si genera la bella visione.
Ed ecco allora il modernissimo gazebo di Toyo Ito nel parco della Serpentine Gallery in Kessington Park. Luogo da cui guardare e centro d’attrazione dello sguardo. Parte ideale di quel labirinto di specchi che, come una mitica cornucopia, dovrebbe dispensare una perenne "promenade architecturale".
Fissare: selezionare da una veduta una parte e su quella concentrare intensamente l'interesse. Un’operazione che ricorda la "siepe" che esclude una parte d'orizzonte nell'Infinito di Leopardi. Ciò che resta della visuale da quella selezione, s'ingigantisce, diventa dettaglio che racchiude -contiene-, esemplificandolo, anche il tutto, l'infinto appunto. Le schegge bianche galleggianti del Pavilion sono pezzi della "siepe" leopardiana, o residui fossilizzati del fogliame e degli steli di un rampicante cresciuto su un gazebo d'altri tempi o su un mediterraneo pergolato, attraverso i cui interstizi affiorano casuali frammenti di vedute sui quali concentrarsi. Così nel caleidoscopico moltiplicarsi delle vedute si ripete amplificata decine di volte, sovrapposta e concatenata, la magia della finestra che da vuoto diventa pieno -concentrato di immagine e pensieri-, mentre il pieno dei "muri" scade in intervallo, pausa, sospensione, poco più che un nulla tra il succedersi, scomporsi e ricomporsi degli episodi visivi.
Ma sono proprio tali intervalli il valore aggiunto del pavilion di Ito e Balmond rispetto ad una più banale scatola, casa o padiglione di vetro da cui in fondo sembra discendere. Ed è questo valore aggiunto della materia deliberatamente ed autenticamente opaca che allontana il Summer Pavilion dalla sfera di riferimento delle serre o glass house che dir si voglia, per posizionarlo in un nuovo ed originale ambito archetipo.

Antonio Cacciola 08-02

Lasciare la terraferma

E' proprio un terminal per traghetti una delle ultime architetture italiane prima del grande oblio. La Stazione Marittima di Messina di Angelo Mazzoni. Quando a traghettare erano solo i treni.
Questi edifici hanno incorporato in se già un fascino particolare. Sono l'ultimo lembo di terra costruita prima del mare: l'ultimo segno sulla spiaggia per chi parte; il primo per chi arriva. Ma sono edifici da attraversare come le antiche porte delle città murate: sono le porte della terraferma ed i cancelli del mare. Oltrepassarli, significa oltrepassare un mondo, con tutto ciò che di mitico l'idea mantiene in vita.
Nulla di questo naturale fascino sembra essere stato trascurato nel Terminal Yokohama. Anzi sembra proprio che i dati tecnici e funzionali imprescindibili del tema siano stati assimilati per trasformarli in tante opportunità di dialogo estetico con i tanti aspetti dell'imbarco. Soprattutto con uno: l'idea di attraversamento, il senso del passaggio dalla terra alla nave che è solo una parte del traghettamento. Così tanto la forma generale che i dettagli assecondano senza forzature e fratture semantiche -anzi se è il caso sottolineano- il naturale procedere verso l'imbarco, approfittando di tutte le opportunità offerte dalle necessità pratiche e del contesto per dilatare al massimo il senso, il gusto e la percezione del percorso.

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Pagina creata il 30-08-2002