Nel nuovo secolo
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La politica di oggi e di domani

da un articolo di Jan Christie (Sett. 99)

Una nuova sintesi politica sta lentamente prendendo forma. Dopo un periodo di stagnazione e di confusione, in gran parte del mondo occidentale è salita al potere una versione modernizzata del centrosinistra. Ma la sua vittoria non rappresenta un trionfo diretto della socialdemocrazia e della politica progressista sul neoliberalismo degli anni ottanta e sui partiti cristiano-democratici dell’Europa continentale. Al contrario, il centrosinistra è dovuto scendere a patti con un periodo di profondo cambiamento sociale, geopolitico ed economico che ha indebolito molti dei suoi dogmi tradizionali riguardo alla politica fiscale, allo stato sociale e ai rapporti tra finanza e processo politico. Ha dovuto accettare alcuni progetti della destra, ritornando allo stesso tempo ad alcune delle sue radici storiche per trovare idee fondamentali per il mondo contemporaneo.

La definizione di tale nuova sintesi è ancora per metà incompleta. Alcuni dei temi si vanno chiarendo, ma il centrosinistra è ancora ben lontano dal possedere una posizione ideologica perfettamente definita. In paesi diversissimi tra loro come il Brasile, il Canada, la Germania, l’Italia e la Francia la ricerca di un modello politico in grado di conservare il consenso proiettandosi nel prossimo secolo è invece tuttora in corso. Questa ricerca si sta svolgendo soprattutto negli ambienti di centro. Per il momento gli estremi rimangono inerti. In tempi di relativo benessere economico e con gli Stati Uniti come unica superpotenza, l’estrema destra e l’estrema sinistra appaiono sostanzialmente irrilevanti, anche se sarebbe un errore dare per scontato che la politica rozzamente populista o rozzamente nazionalista sia defunta o confinata lontano da noi; come ci hanno dimostrato gli anni novanta, essa è viva e costituisce una costante minaccia all’interno della stessa Europa. Ma non è in grado di minacciare l’ordine democratico costituito in Europa e negli Usa, dove è attiva la ricerca di una ideologia politica e di un modello di processo politico in grado di trovare un equilibrio tra il benessere e l’inclusione sociale, tra il capitalismo e la solidarietà, in grado di modernizzare i meccanismi dello stato sociale e di coniugare una nuova politica progressista con gli imperativi della sopravvivenza ambientale. Queste sfide nascono in un quadro di potenti forze globalizzatrici, che hanno profondamente alterato i parametri di governo. I governi non possono più erigere facili barriere contro gli scambi di denaro, determinare con precisione che cosa i loro cittadini debbano consumare, isolare le loro economie dai cicli economici globali o perseguire strategie autonome di difesa.

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Possiamo tentare di concettualizzare le sfide della Terza Via in forma schematica. In termini estremamente generici, la politica progressista degli ultimi 200 anni ha riguardato l’equilibrio tra le tre grandi componenti della visione politica illuminista:

Libertà;

Uguaglianza;

Fraternità.

A prezzo di grandi sofferenze, abbiamo imparato molto riguardo ai confini di ciascuno di tali elementi nelle società progressiste e riguardo agli immensi costi umani ed ecologici che il superamento di tali limiti comporta. Il campo di battaglia su cui si è svolta la sfida tra le priorità dell’Illuminismo, e tra queste e le opposte teorie conservatrici sulla comunità e sulla libertà economica, è stato rappresentato dagli stati nazionali e dagli ordinamenti economici e organizzativi entro i confini nazionali. L’ultima generazione ha visto una trasformazione di tale campo di battaglia ad opera di quattro elementi:

la globalizzazione sempre più rapida delle azioni governative, della competizione, dei modelli capitalisti, delle tecnologie di informazione e comunicazione e dei nuovi sistemi di produzione industriale;

il collasso degli stati comunisti e il venir meno, in Occidente, del vecchio ideale socialista dell’uguaglianza, alla luce del fallimento dei sistemi egualitari;

il riconoscimento generale della necessità di riforme fondamentali per gli stati sociali sorti nel dopoguerra in Occidente, alla luce del benessere, delle configurazioni di nuove classi e nuovi redditi e dei cambiamenti demografici intervenuti nel frattempo;

l’insorgere di profonde preoccupazioni sulla compatibilità ecologica dei moderni sistemi industriali di produzione e consumo e sui valori consumistici che alimentano.

Il risultato – ancora una volta in termini estremamente schematici – è stato la riconcettualizzazione del modello illuminista:

Libertà

Equità

Comunitarietà

Compatibilità

Insieme, queste categorie rappresentano gli elementi irrinunciabili della politica progressista del 21esimo secolo, e le tensioni, le sinergie e i tentativi di raggiungere un equilibrio tra questi diversi elementi sono incredibilmente complessi. Tutto ciò deve inoltre essere negoziato e sviluppato all’interno di un’arena più ampia: quella di un ordine capitalista globalizzante costituito da enormi diversità e disparità culturali, una "infosfera" internazionale generata dalle nuove tecnologie e dai colossi multinazionali, un insieme di istituzioni assolutamente incompleto, inadeguato al governo mondiale e, da ultimo, l’estrema incertezza riguardo alla compatibilità economica ed ecologica del nuovo sistema mondiale. I tentativi sinora compiuto di reinventare, per il centrosinistra progressista o per il centrodestra, una ideologia adeguata a questa situazione radicalmente trasformata, sono stati superficiali e poco convincenti; in generale, gli appelli in questa direzione si sono rivolti all’idea di coniugare l’energia e la capacità di iniziativa dell’individualismo con la solidarietà e lo spirito comunitario normalmente associati a forme più tradizionali di democrazia dello stato sociale. Le idee riguardanti la Terza Via tendono ad "attenuare le differenze" tra destra e sinistra riguardo al punto di equilibrio tra gli elementi di LIBERTÀ, EQUITÀ, COMUNITARIETÀ e COMPATIBILITÀ. inizio_pagina.gif (1503 byte)

 

Di seguito esporremo schematicamente alcune idee riguardanti una delle componenti fondamentali di qualunque plausibile Terza Via ; un riesame del significato della "qualità della vita" e della sua importanza per la politica.

Sulla "QUALITA' DELLA VITA"

"Vita, libertà e ricerca della felicità": così la Dichiarazione d’Indipendenza americana sintetizza gli elementi-base della qualità della vita. Di ricerca della felicità si parla raramente nella vita pubblica odierna. Parliamo invece soprattutto di crescita economica e di aumento dei consumi. Ma l’idea che la "crescita" sia un obiettivo politico fondamentale, e l’unità di misura più efficace per valutare il progresso nella qualità della vita, viene oggi messa in discussione su molti fronti.

Sempre più spesso sono altri gli obiettivi e i traguardi di progresso considerati altrettanto, se non più, vitali per la società: sostenere il capitale sociale, operare una transizione verso un’economica compatibile con l’ambiente, creare una società più "inclusiva". Queste idee, e l’uso che se ne fa, costituiscono una sfida alla concezione dominante della qualità della vita come progetto individualista, il cui fine sarebbe la massimizzazione delle soddisfazioni personali, e il cui traguardo principale sarebbe il successo materiale , l’accumulazione di beni e soddisfazioni materiali. Il suo ethos è brutalmente riassunto nel messaggio di un magnate americano : " il tizio che ha più giocattoli quando muore, ha vinto ". In modo più sottile, è incarnato nei modi in cui la nostra politica ha finito per esprimere i propri valori e le motivazioni delle decisioni che prende: il valore fondante è quello della dimensione economica, e le procedure decisionali sono improntate esclusivamente al presente o tutt’al più a un futuro a breve termine, i cui limiti sono fissati dalle prossime elezioni.

Quel che hanno in comune le concezioni politiche emergenti riguardo alla qualità della vita, è il fatto che tutte si incentrano non soltanto sui metodi per conseguire la felicità ma anche sulla natura degli esiti che perseguiamo, sia individualmente sia come collettività. Esse, in sintesi, sollevano interrogativi riguardo alla possibilità di raggiungere un livello soddisfacente nella qualità della vita, intesa come una vita che non soltanto comporti soddisfazioni personali, ma sia anche dignitosa e eticamente valida. È tempo che l’idea della qualità della vita sia riportata in primo piano nei dibattiti pubblici. Un segnale del fatto che ciò sta accadendo è l’interesse crescente verso nuove forme di indicatori di progresso, sociali ed ambientali, che tengano conto del conseguimento degli esiti auspicati e della capacità di evitare problemi prevedibili, nonché la critica sempre più aspra nei confronti dei criteri standard per la valutazione del "progresso" economico, finanziario e nel campo degli investimenti. Nel prossimo secolo non sarà più possibile evitare di affrontare, nel dibattito politico, la definizione della qualità della vita. Numerosi e potenti fattori garantiranno che ciò non accada: le preoccupazioni sulla sopravvivenza ambientale, la necessità di creare una nuova mentalità per ciò che concerne l’equità e la giustizia sociale, i problemi associati a un’enfasi eccessiva sui valori procedurali delle società democratiche e sui diritti degli individui. Tra gli argomenti fondamentali possiamo citare i seguenti:

Primo: è ormai dimostrato che, superato un certo grado di ricchezza, il conseguimento di livelli ancor più alti di reddito e di benessere materiale non conducono a un incremento nella felicità. La società dei consumi sta inseguendo un miraggio: come dimostrano moltissimi sondaggi, la crescita, il denaro e ciò che con esso si può acquistare sono cose necessarie ma sono lungi dall’essere sufficienti al benessere. "Avere tutto" è impossibile: i tentativi in questa direzione si possono trasformare, come sostenuto da teorici quali Tony Giddens, in una diffusa incidenza della dipendenza e della costrizione.

Secondo: il "post-materialismo" associato alla sazietà o alla disillusione rispetto alle gioie della ricchezza materiale, non soltanto ci spinge verso moderni rimedi come la psicoterapia o una miglior comprensione di ciò che la psicologia può dirci in merito alle fonti della felicità, ci dirige anche verso una riscoperta delle vecchie idee riguardo alla qualità della vita , i cosiddetti " valori senza tempo ": la soddisfazione nei rapporti familiari e di amicizia, nel tentativo di trovare un equilibrio positivo in rapporti confusi o multi-stratificati; l’idea di un’educazione etica per la formazione di cittadini consapevoli delle questioni morali imposte dalle società democratiche, dagli ambienti multiculturali e dalle scelte personali, e in grado di ragionare coerentemente su questi temi; il concetto di comunità fondate su stili di vita etici, che sempre più spesso, nelle società pluraliste, si assumono l’incarico di proporre "normative a carattere etico"; il valore dell’esperienza degli anziani, screditato dalle politiche delle grandi imprese, fondate sulla separazione per gruppi di età, e dal culto commerciale della gioventù; la rinascita di un interesse filosofico attorno alle analisi tradizionali dei "valori".

Terzo: l’inquinamento che accompagna la crescita, così come noi lo abbiamo conosciuto, e la globalizzazione della produzione e dei consumi industriali, sono ormai universalmente riconosciuti come fattori che generano fortissime tensioni sugli ecosistemi che stanno alla base delle nostre società e delle nostre economie, oltre che delle altre forme di vita. La qualità della vita come viene intesa negli Stati Uniti, con il suo gargantuesco appetito per i carburanti fossili, le confezioni usa-e-getta, le macchine, le strade e tutto ciò che il filosofo dell’economia britannico Charles Handy definisce la " economia degli oggetti inutili ", è un modello assolutamente inesportabile in altri paesi. Come sostenuto da una moltitudine di ambientalisti, lo stress imposto sul clima e sulle risorse del pianeta da una globalizzazione della concezione dell’esistenza fondata sul consumismo sarebbe insostenibile.

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Ma non possiamo aspettarci che i paesi in via di sviluppo facciano spallucce e si rassegnino a una relativa privazione del benessere: la loro rivendicazione morale di un maggior livello di ricchezza non può non trovare risposta. Ciò significa che a cambiare dovranno essere i modelli dominanti di consumo nell’Occidente ricco: basta con lo spreco di energia e di materie prime, per andare invece verso una maggior attenzione ai servizi, ai beni intangibili, e a un nuovo, olistico concetto di crescita e di misurazione della qualità della vita, tutte cose attualmente all’esame del governo britannico e di molti altri paesi industrialmente avanzati. Questa considerazione inoltre comporta una nuova enfasi sulla localizzazione della vita economica, e sulla necessità di preservare le peculiarità locali nell’era della globalizzazione, senza far ricorso a protezionismi distruttivi e impraticabili.

La crescente consapevolezza della impossibilità di continuare a "consumare come se niente fosse" in Occidente, solleva inevitabilmente la questione del giudizio su forme più accettabili di qualità della vita. Avendo preso atto dell’impatto che esercitiamo sull’ambiente e della nostra risposta al consumismo imposto dal martellamento pubblicitario, siamo costretti a spostare la nostra attenzione verso un settore della nostra esistenza che fino a poco tempo fa veniva a malapena preso in considerazione: il contenuto etico delle scelte dei consumatori, ovvero delle ripercussioni che esse comportano sulle opportunità di vita dei meno abbienti lontano da noi nonché sulla qualità dell’ambiente che consegneremo alle generazioni future. L’etica è una parte ineludibile di una politica del consumo accettabile, e di qualunque concezione di una qualità della vita praticabile dal punto di vista ambientale.

A tutto ciò è legata l’importanza dei dibattiti sull’equità e sulla qualità della vita nel secolo che si sta aprendo. Nel momento stesso in cui prendiamo in considerazione l’idea che si possano porre dei limiti al consumismo come lo abbiamo conosciuto finora, ci troviamo immediatamente costretti a inserire nell’elenco delle priorità anche le riflessioni sulla equità nella distribuzione dei beni. Ciò appare particolarmente ovvio quando si parla di sopravvivenza ambientale: se il mondo deve limitare le emissioni di diossido di carbonio, allora l’Occidente deve adoperarsi per limitare i suoi consumi, molto di più rispetto al mondo in via di sviluppo che ha finora potuto contare su una quota enormemente inferiore di risorse e ha goduto pochissimo dei frutti dello sviluppo economico.

Ciò solleva profondi interrogativi sulla praticabilità di una qualità della vita comune a tutti, in presenza di disparità tanto massicce. Questo problema, dibattuto in particolare da Richard Wilkinson nel Regno Unito, è fondamentale per i politici della Terza Via che hanno respinto l’egualitarismo e accettato notevoli disparità di reddito e i rischi della meritocrazia come prezzo accettabile da pagare per il dinamismo economico.

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