2. "
la dicotomia aridamente
tradizionale tra due definizioni di vita buona, il perseguimento prudente
del proprio interesse, per quanto illuminato, e limpegno altruistico,
devessere ripensata. Al di sopra del livello di soddisfazione delle necessità di
base, qualunque ragionevole concezione della qualità della vita implica entrambe queste
componenti. Nessuno ritiene che la vita del mangiatore di loto possa essere
considerata una vita buona, se comporta un danno diretto agli altri .
Come minimo, le esigenze della virtù impongono
restrizioni collaterali a qualunque definizione di qualità della vita, e le concezioni
ragionevoli delle aspirazioni umane impongono determinati limiti a ciò che il senso del
dovere può ragionevolmente esigere da noi. I santi sono coloro che non limitano la
propria virtù a quello che sarebbe unicamente il loro dovere. Naturalmente, il proprio
interesse e il senso morale entrano spesso in conflitto, il che è inevitabile. Ma non
costituiscono due definizioni indipendenti e complete in sé, luna separatamente
dallaltra, di ciò che rappresenta una vita buona.
La vita buona, persino per i mangiatori di
loto, non consiste esclusivamente nel perseguire le nostre preferenze egoistiche.
Anche i mangiatori di loto hanno bisogno di una comunità di amici, e quando hanno
dei figli, iniziano ad avere delle preferenze sul modo in cui gli altri genitori educano i
bambini e giocheranno e cresceranno con i loro. Ciò significa che lidea di una
società organizzata in modo tale da lasciare ai singoli assoluta libertà
nellimpostare la loro vita come meglio credono, è semplicemente irrealizzabile.
Ci sono preferenze invadenti buone e cattive, e
la società deve trovare il modo di filtrarle. Daltra parte, il paternalismo
incontrollato, tramite il quale la società potrebbe imporre una concezione di vita buona
sostenuta dallo stato, farebbe violenza alle idee di troppe persone, anche lasciando da
parte la violazione della libertà altrui, che è male in sé. Come possiamo allora
individuare i principi per unorganizzazione sociale che promuova la qualità della
vita, ma che al contempo riconosca la pluralità di idee in merito, il loro intersecarsi
le une con le altre e la possibilità di conflitto tra individui che perseguono idee
differenti, che operi perché le violazioni della libertà siano ridotte al minimo e che
sia capace di contenere il paternalismo entro confini accettabili? Partirò
dallinterrogativo che si chiede in quale misura si possa affermare che i governi e
le società hanno il dovere di operare per promuovere la capacità degli individui di
perseguire una vita buona. La maggioranza delle persone accettano lidea che una
ragionevole misura di libertà e di autonomia sia il punto di partenza indispensabile per
poter perseguire la propria concezione personale di qualità della vita, e per poter
coltivare le virtù ( lazione morale eseguita sotto costrizione non è quasi mai
particolarmente lodevole: se così non fosse, tutti i contribuenti dovrebbero essere
pubblicamente esaltati per la loro generosità ).
Nel tempo, la libertà e lautonomia dei
cittadini si sono grandemente sviluppate cercando di trovare un equilibrio con gli
obblighi sociali. Vi sono delle libertà fondamentali che non possono, in alcuna
concezione ragionevole della qualità della vita, essere barattate in modo sconsiderato:
tra esse comprendiamo, una vasta misura di libertà di parola, di movimento, di
organizzazione, di sicurezza della vita e della propria incolumità, il diritto a processi
equi eccetera.
Vi sono chiaramente alcune cose di importanza
fondamentali che gli individui da soli non possono realizzare, ma che soltanto lo stato
può garantire, e che stanno alla base di qualunque ragionevole concezione di una vita
dignitosa. La garanzia della pace è sicuramente la più basilare di queste componenti e,
dato che gli stati sono sorti proprio come strumento per finanziare le guerre, è anche
una delle più difficili da realizzare. Gli sforzi individuali poi sono di solito troppo
insignificanti per riuscire a prevenire o a minimizzare limpatto delle grandi ondate
di inflazione che investono le nostre società, devastando vite intere e annullando
prospettive di felicità, e lasciando dietro di sé povertà e vulnerabilità alle
malattie, portando con sé guerre e influenzando la cultura fino a farla ripiegare su se
stessa, verso lirrazionalismo e la cupa disperazione. Se linflazione non è
sempre e ovunque un fenomeno monetario, la complessa varietà delle sue cause è così
vasta che soltanto organismi che hanno le dimensioni, il potere e le risorse di uno stato
possono sperare di arrestare in modo efficace i meccanismi che la scatenano o almeno di
mitigarne gli effetti.
In una società in cui il lavoro retribuito
(qualsiasi cosa si pensi riguardo ai meriti del lavoro non retribuito) è divenuto un
elemento portante del modo in cui la maggior parte delle persone si costruisce il proprio
progetto di vita, non stupisce che la disoccupazione sia una delle grandi cause della
mancanza di realizzazione personale, dello smarrimento della propria identità e della
mancanza di rispetto di sé, e infine delle malattie e dei suicidi. Pertanto tutto ciò
che i governi possono fare non soltanto per ampliare le opportunità di occupazione e di
soddisfazione per quanti hanno un posto di lavoro, ma anche per assicurare maggiori
opportunità anche a chi non ha un impiego, deve essere sicuramente classificato come
prioritario. Anche il cosiddetto tasso di disoccupazione " naturale " o
" non-inflazionistico " può essere ridotto grazie a unazione
governativa a livello microeconomico che consenta ai cittadini di impiegare al meglio il
proprio capitale umano e sociale. Ancora una volta, è chiaro che molti governi europei
non stanno superando questa prova, dal momento che la disoccupazione ha raggiunto livelli
spaventosamente elevati in molti paesi.
Non può esistere una risposta generale alla
domanda sul punto di equilibrio tra una protezione eccessiva e una insufficiente contro il
rischio. Entrambi gli estremi sono insostenibili, ma non è chiaro quale " media
virtus " aristotelica sarebbe praticabile contro tutte le crisi che colpiscono le
società. Pertanto, il ruolo delle fondamenta costituzionali, sulle quali individui e
comunità costruiscono il loro tentativo di realizzare una vita buona, non è quello di
precisare il livello di protezione, contrariamente a quanto sostengono le posizioni più
diffuse nel centro destra neoliberale o nella sinistra statalista che sostiene lidea
del vecchio stato sociale. È invece quello di stabilire un procedimento decisionale
democratico che sia giusto e legittimo, riguardo al livello di rischio accettabile e di
protezione accettabile, al fine di garantire le basi sulle quali i cittadini possono
cercare di realizzare la loro idea di vita buona: questo è infatti una questione di
poteri del governo, più che di doveri del governo.
Sarebbe difficile accettare come idea di una vita
buona laspirazione a vivere in una comunità in cui le decisioni in merito al
livello di protezione contro i rischi fondamentali non fossero prese in modo trasparente,
senza che nessuno possa chiederne conto e senza che fossero aperte allinfluenza
della volontà popolare. Se è vero che molti cittadini possono essere deferenti, cinici,
fatalisti, indifferenti, opportunistici o pigri riguardo al coinvolgimento nella vita
pubblica o semplicemente attraversare un ciclo storico di rifiuto di tale coinvolgimento,
nessuno aspira a fare di questi atteggiamenti un elemento integrante della propria
concezione di una vita buona, se non con un senso di rassegnazione, interpretandolo come
male minore rispetto a qualunque altro atteggiamento ritenuto in quel momento
realizzabile. Il dovere del governo in questo campo allora non è unicamente quello di
indire le elezioni, ma di rinnovarsi dando vita a nuove forme di apertura e di
partecipazione, per sconfiggere la mentalità politica secondo cui " chi vince
prende tutto ", che si riduce troppo spesso in termini di classe dirigente
elitaria. Governare tramite le virtù democratiche è parte integrante e importante di un
modo di governare che aiuti i cittadini a realizzare una vita dignitosa anche in quei
settori in cui si rendono necessarie decisioni collettive, e anche se quelle decisioni
collettive consistono in ultima analisi nellindividuare le responsabilità nella
gestione dei rischi. Ci sono poi rischi ai quali le generazioni presenti stanno esponendo
le generazioni future, per esempio lasciando loro in eredità un debito pubblico
spaventoso, o danni irreversibili alle risorse ambientali che i nostri posteri in un
prevedibile futuro, quali che possano essere le loro ragionevoli concezioni della qualità
della vita, vorranno ma non potranno modificare ("cerca di lasciare questo posto
come lo vorresti trovare"). In questi campi cè chi sostiene che i governi
dovrebbero assumersi alcuni doveri, anche se probabilmente non imposti dalle costituzioni,
per proteggere le generazioni future dallirresponsabilità con cui alcuni cittadini
di oggi, consumatori, investitori e lavoratori, perseguono le loro idee di qualità della
vita anche a spese, appunto, delle libertà individuali delle generazioni future ( azioni
di governo da attuarsi purchè non si incida sulle libertà fondamentali, civili e
politiche dei cittadini di oggi ). Se accettiamo lidea di perseguire seriamente una
vita buona, molte delle nostre ideologie politiche e delle opinioni più diffuse sulla
società costituzionalismo liberale, comunitarismo statalista
fondato sullo stato sociale dovranno essere messe in discussione, e
sostituite da altre.
Né il moralismo estremo, che esige che la nostra
felicità sia subordinata alla nostra virtù, né ledonismo crasso che incoraggia il
consumismo bovino, possono rappresentare unaccurata descrizione di ciò che le
persone considerano indispensabile quando devono dare la loro definizione di vita buona.
Le linee di confine di ciò che può essere
considerata unidea accettabile di vita buona sono vastissime, ma ci consentono di
escludere quelle esplicitamente malvagie, quelle improponibili perché nocive
allambiente, quelle fondate sullo sfruttamento, quelle improntate alla volgarità o
alla rassegnazione, senza con questo pretendere che tutti si facciano santi. Soltanto gli
individui, i nuclei familiari e le comunità possono perseguire o vivere una vita buona.
Ma ciò non significa che la società e i governi possano autoassolversi da ogni
responsabilità nel mettere i loro cittadini nella condizione di realizzarla. Al
contrario, quando prendiamo sul serio lidea di una vita buona, lobiettivo
ultimo dei loro doveri e poteri principali è proprio questo. I governi hanno un ruolo
positivo ma limitato. È un metro ragionevole per misurare la moralità di uno stato
verificare che non faccia niente di meno e niente di più di ciò che è necessario per
sviluppare e sostenere le capacità dei propri cittadini che vogliono perseguire qualsiasi
idea essi coltivino, purché ragionevole, di una vita buona.