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La casa del Piccolo Buddha

IL POTALA

Nel suggestivo scenario dell'altopiano del Tibet si ergono i templi di una cultura senza eguali, racchiusa tra le imponenti montagne dell'Himalaia. L'archittettura del "Paese delle Nevi" è unica, nonostante la religione buddhista che la lega, almeno in apparenza, al resto dell'Asia orientale.

A Lhasa, capitale del Tibet, si staglia, contro il blu intenso del cielo, il palazzo-monastero del Potala, la residenza di Sua Santità il Dalai Lama fino dall'adolescenza.

Javier Moro, in "Le montagne del Buddha", descrive il Potala, attraverso i ricordi del XIII Dalai Lama, Tenzin Ghiatso: «La famiglia del bimbo fu ospitata in una nuova residenza di sessanta stanze, definita dalla figlia maggiore "splendida e imponente, maestosa", affacciata su un magnifico parco; mentre, poche settimane dopo il suo arrivo, il monaco fu trasferito nella camera appartenuta al quinto Dalai Lama, al settimo piano del palazzo del Potala. Sembrava che nessuno vi fosse entrato da secoli. Il cibo che veniva deposto davanti a un altare come offerta ai buddha finiva per essere invariabilmente mangiato dai topi e il bambino giunse ad affezionarsi a quelle creature che gli tenevano compagnia nelle solitarie notti invernali, quando il freddo era così intenso da intorpidirgli le dita. Con quasi cinquecento metri di lunghezza, tredici piani, mille sale, corridoi stretti e bui, ripide scale e antiche cappelle, il Potala pareva un museo vivente, più che il posto per far crescere un bambino. Vi erano custoditi numerosissimi e preziosi rotoli di pergamena, diversi dei quali erano più antichi di dieci secoli. Intere stanze traboccavano di oggetti appartenuti ai primi re del Tibet, sontuosi regali di imperatori cinesi e mongoli, cui si aggiungevano i tesori dei dalai lama che erano loro succeduti. Lì si conservavano le armi e le armature usate per secoli. Nelle biblioteche riposavano gli annali della cultura e della religione tibetana: settemila enormi volumi. Alcuni pesavano più di venti chili; molti erano stati vergati su foglie di palma importate dall' India; duemila, contenenti scritture buddhiste , erano scritti con inchiostri d'oro e d'argento, rame in polvere, madreperla e corallo finemente macinati, ogni riga di un colore diverso. Nei sotterranei, un'infinità di magazzini conservava burro, tè e tessuti che il governo destinava all'esercito, ai monasteri e alle case degli alti funzionari. Ma la cosa più impressionante si trovava al centro del palazzo: lì si allineavano la tombe di tutti i dalai lama che avevano preceduto il bimbo di Taktser. In quell'imponente scenario, il giovane Tenzin Ghiatso crebbe con la sola compagnia dei monaci.»

Chiara Cacciola


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pubblicata il 22-06-2001