Pubblicità su
AFC Architettura Amica
.

PICCOLO E' MEGLIO

“Prima o poi, disse ancora, bisognerebbe catalogare i nostri edifici, ordinandoli secondo le dimensioni: si scoprirebbe subito che a prometterci almeno un barlume di pace sono proprio quelli collocati al di sotto delle normali dimensioni dell’architettura domestica – la capanna, l’eremo, le quattro mura del guardiano delle chiuse, la specola di un belvedere, la casetta dei bambini in giardino -, mentre di un edificio enorme (…) nessuno potrebbe sostenere a mente fredda che è di suo gradimento. Nel migliore dei casi lo si guarda meravigliati, e questa meraviglia è una forma preliminare di terrore, perché naturalmente qualcosa ci dice che gli edifici sovradimensionati gettano già in anticipo l’ombra della loro distruzione e, sin dall’inizio, sono concepiti in vista della loro futura esistenza di rovine”.
W.G. Sebald, “Austerlitz”, Adelphi, 2002
Dal basso, una delle due torri del WTC
(Distrutto 11 Sett 2001)
Oh, funebri allegorie

La tentazione del monumentale, in architettura, è una di quelle forme del desiderio di durata che, illudendosi di rendere eterna la vita, le forme più evolute ed eloquenti della vita, si consegna in realtà, sin da subito, al dominio del caduco: perché, paradossalmente, sulla superficie di ciò che è composto del materiale più resistente noi scorgiamo il graffio della morte, che si serve dell’idea di tempo – della sua incommensurabile quantità futura – e anche dell’idea (ansiosa) di una catastrofe sempre possibile, come di un artiglio che incide a fondo pietre e metalli, e vi inocula i germi della corruzione e del loro finale disintegrarsi nella polvere.
Sarà per questo che nei nostri cimiteri la retorica del patetico si esprime, impudica, in giganteschi mausolei e in complicate scenografie di marmi?
Ma Sebald – questo scrittore che ho scoperto da poco, e che farebbe la gioia di ogni architetto perché nelle sue storie non c’è evento che non si rifletta in un’immagine visiva o in un dettaglio architettonico – fa dire al suo personaggio, Austerlitz, erratico studioso di monumenti, qualcosa di diverso. Austerlitz mette in gioco la funzione primaria dell’edificio, di ogni edificio, che è quella di contenere e preservare, non diversamente dal grembo materno. Perché l’utero è la nostra prima tana e quindi, con successivi slittamenti simbolici, la sua immagine si estende fino a diventare il prototipo di ogni origine – al limite, anche dell’idea di paradiso perduto.
Ebbene, questa funzione arcaica sembra essersi smarrita nello sviluppo della tecnica edificatoria, ma è possibile ritrovarla nella dimensione della miniatura: cioè, soprattutto, degli spazi chiusi che i bambini costruiscono per gioco e in cui amano rintanarsi ignari di esprimere così una fantasia di regressione all’alvo materno – ma chissenefrega! Intanto si divertono e, come l’eremita, percepiscono il buio che li circonda come per nulla pauroso anzi complice, e avvolgente.
Sul grande edificio pesa, invece, la sua arroganza, che nasce da una sfida scellerata: contro le leggi della natura e contro quelle del sentimento, se è vero che a un intimo codice simbolico, proprio del minuscolo edificio, si sostituisce un codice allegorico – dove nel segno della dismisura si celebrano i concetti di forza (nazionale, politica, finanziaria, corporativa, ecc.) e di predominio.

Giuseppe Bella

settembre 02


inizio

sommario

MAIL

per ricevere la NEWSLETTER clicca qui
PRINCIPALI COLLEGAMENTI DEL SITO
COPERTINA DEL SITO HOMEPAGE - SOMMARIO DEL SITO - appunti - archivio - forum - fotogrammi - gusto - idee - notizie - nuovo - parole - scarti - schede - ricerche e links - le risposte - credits

a.cacciola homepage

Pagina pubblicata il 09-08-2002