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Home > Lettere Paoline > I "livelli" della fede


Tematiche teologiche paoline: I "livelli" della fede

In Gal 2,20 Paolo dice:

“Non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me. La vita che vivo nella carne la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me”.

Questa è una espressione un po' paradossale di Paolo: vivo, cioè conduco una vita normale, ma Cristo vive in me, cioè non c'è una sostituzione di soggetto; Paolo non è eliminato da Cristo che gli nega la soggettività, ma egli dice che nella vita che egli vive normalmente emergono gli elementi tipici di Cristo, e questi elementi non sono presenti come un peso morto, ma elementi che conducono la sua vita.
Il mistero pasquale anche per quanto riguarda la morte di Cristo, applicazione liberante e purificante del Cristo nella vita questo era funzionante anche per Paolo, in quanto non era perfetto e aveva bisogno di questa purificazione che produceva in lui l'applicazione della morte di Cristo.
Lo stesso lo si può dire per l'aspetto della risurrezione nella sua vita: il Cristo che vive in Paolo è il Cristo che spinge a farsi tutto a tutto, che lo spinge a farsi donazione totale e completa.
Paolo dice di non condurre una vita da iniziato a un tipo di fede, ma attivamente gli dà la purificazione da quelle che sono le sue debolezze e gli dà questa capacità totale di amore, un amore che si perfeziona sempre più: è il Cristo che con le sue implicazioni proprie del mistero pasquale si fa sentire, è vivo in lui; la vita che Paolo vive nella carne, quindi a livello umano, ha una apertura verso l'alto, la vive nella fede, al secondo livello; questa sua vita è perma-nentemente aperta a accogliere il Figlio di Dio che lo ha amato e ha dato se stesso per lui.
Questa apertura mantenuta per tutta la vita è la fede al secondo livello. La differenza con il primo livello è la continuità.
C'è inoltre una fede al terzo livello: ci sono posizioni contrastanti tra i vari studiosi: Bultmann dice che di una fede al terzo livello bisogna parlare; di parere contrario invece è Konzelmann che nega questa possibilità. La fede al terzo livello è la fede propria dell'assemblea liturgica, è la fede della comunità del gruppo. In questi termini si comprende anche la perplessità di Konzelmann:
infatti egli giustamente sottolineava che la fede è una scelta, una responsabilità della persona.
Se in un gruppo di cento persone ce n’è una centunesima che non crede, non è che la fede del gruppo in qualche modo compensa la fede di questa persona che come individuo non crede!
Egli sostiene infatti che la fede di gruppo stimola, aiuta, ma non sostituisce la decisione della fede che è pienamente e prettamente personale: è la persona che deve scegliere o negare questa apertura.
Bultmann invece sostiene che quando varie persone che già credono si trovano insieme, unite nell'assemblea liturgica che era il tempo forte delle comunità primitive, questo fatto di trovarsi insieme fa scattare una nuova dimensione della fede, fa fare alla fede una specie di salto qualitativo: in questo senso il gruppo diventa protagonista di fede; c'è una fede di gruppo che non sostituisce la fede dei componenti, ma che supposta la fede già al primo o secondo livello dei componenti del gruppo, fa scattare un nuovo tipo di fede almeno nelle sue espressioni caratteristiche; è quel di più che accade quando ci troviamo insieme e ci comunichiamo certi valori, e questo avviene anche a livello puramente umano.
Quando preghiamo insieme anche se preghiamo in silenzio, il fatto di pregare insieme dà alla preghiera una dimensione più forte; quando invece abbiamo uno scambio di inni, espressioni di fede, è chiaro che c'è un di più rispetto a quello che la persona aveva prima di entrare a far parte di questa riunione, a questa assemblea.
Questo di più si trova espresso in alcune forme letterarie caratteristiche del Nuovo Testamento, come ad esempio il prologo del Vangelo di Giovanni che era, secondo un'opinione ancora prevalente, un inno alla Parola che veniva cantato nell'assemblea liturgica e che poi l'autore del quarto Vangelo ha ripreso e un po' commentato, ma sulla linea dell'inno stesso; quest'inno veniva cantato dall'assemblea. Un altro fatto evidente è al versetto
Gv 1,14 si passa dal singolare di terza persona ad un plurale di prima persona:

“ E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità (...) Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia”.

 


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