LA "GLORIA"

Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria. (Isaia 6,3)



Mosè disse a Dio: Mostrami la tua gloria! Rispose: ...Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo!" (Esodo 33,18.20). Questo dialogo tra il Signore e Mosè è illuminante per comprendere il valore biblico del termine "gloria": essa viene identificata col volto divino, cioè con la persona di Dio e il suo svelarsi. Si vuole, allora, far riferimento al mistero stesso divino che può manifestarsi, ma che al tempo stesso rimane celato, essendo infinito, eterno, trascendente e quindi "inesauribile" da parte della visione e del pensiero umano.

Il termine ebraico usato per indicare la "gloria" è kabòd che letteralmente rimanda a qualcosa di "pesante, importante". Dio, infatti, incombe su di noi con la sua grandezza e la sua luce. Eppure non si isola nel suo mondo dorato e inaccessibile, ma si manifesta sul monte Sinai, velato da una nube o dal fuoco: "La gloria del Signore apparve nella nube... La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima del monte" (Esodo 16,10; 24,17).

La gloria divina si insedia anche nel tempio e da lì si irradia in tutto l'universo, come si dichiara nel racconto della vocazione del profeta Isaia allorché la gloria colma il tempio di Sion facendolo vibrare, ma avvolge anche tutta la terra (6,3).

Cantare la gloria del Signore è, allora, confessare la fede nel suo mistero ma è anche riconoscerne la presenza efficace e salvatnce: "Date al Signore, figli di Dio, date al Signore gloria e potenza... Nel suo tempio tutti dicono: Gloria!" (Salmo 29,1.9). La gloria divina che brilla nei cieli ("Gloria a Dio nell'alto dei cieli", cantano gli angeli del Natale) ha, infine, la sua epifania suprema in Gesù Cristo. È quello che viene sottolineato soprattutto dall'evangelista Giovanni la cui opera è spesso divisa in due parti: il "libro dei segni" che delinea il ministero pubblico di Cristo e il "libro della gloria" che descrive la morte e la Pasqua. Non per nulla alle soglie della passione Gesù stesso dichiara: "È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo... Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te" (Giovanni 12,23; 17,1).

La gloria del Padre, cioè la divinità, èpresente allora anche in Cristo: "Glorifica-mi, o Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse" (17,5). Si ha, così, la grande svolta cristiana: la gloria divina si manifesta in un uomo, Gesù di Nazaret. Ed è per questo che il cristiano può avere una percezione nuova e diretta della realtà gloriosa di Dio: "Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre" (1,14). Certo, è una gloria non pienamente svelata perché il nostro limite ci impedisce dicogliere in pienezza quel gorgo supremo cli luce. Ma quando si compirà l'incontro definitivo, nella comunione perfetta con Dio, allora anche noi saremo immersi nella gloria divina: "La gloria che tu, o Padre, hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola" (17,22)

Una nota a margine: nel greco del Nuovo Testamento "gloria" è detta doxa, un vocabolo che ricorre 166 volte (61 volte il verbo doxazo) e che rimanda proprio all'apparire; è lo splendore della potenza e dell'onore che ormai "appare" a noi in Cristo Gesù.



LE PAROLE PER CAPIRE

ABORTO - In una cultura di tipo agricolo com'era quella biblica, era del tutto inconcepibile l'aborto volontario perché significava, tra l'altro, perdere un figlio e quindi braccia per il lavoro dei campi o una figlia, sorgente di fecondità materna. Inoltre la vita era considerata, a livello religioso, dono esclusivo di Dio che ne era il tutore e il garante. L'aborto spontaneo era visto come un simbolo di sventura e tragedia (indirettamente in Qohelet 6,3). San Paolo si compara a un "aborto" per affermare che egli è l"ultimo" e l"infimo" degli apostoli ( 1 Corinzi 15,8-9).

SERAFINO - Considerati tra gli angeli della corte divina, i serafini, accanto ai cherubini, entrano in scena nel racconto della vocazione di lsaia (6,2). Il vocabolo che li denomina contiene un'allusione o a qualcosa di "ardente" come una fiamma o anche a un'immagine serpentiforme. È noto, infatti, che - come nel caso dei cherubini - la Bibbia per descrivere questi angeli ha assunto simboli (spesso animali) del mondo religioso egizio o mesopotamico.