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a cura di Mary Nicotra


01 dicembre 2002

I diritti delle donne sono in pericolo? di Cecilia Cortesi


 Il dibattito intorno ai diritti sessuali e riproduttivi delle donne è attuale: i diritti delle donne sono stati definiti nelle convenzioni internazionali quali diritti umani e diritti universali,


con la conseguenza che nessuna ragione di fede, cultura o estremismo religioso può giustificarne la violazione. Grazie allo sforzo delle donne dei paesi che hanno ratificato e sottoscritto i trattati internazionali, l'uguaglianza non è più intesa solo come fine, ma anche come mezzo per raggiungere gli obiettivi dello sviluppo e della pace.
Partendo da questo presupposto il 16 novembre 2002 alle ore 15:00 si sono trovate a Torino donne e uomini per manifestare in un percorso cittadino per il diritto all'autodeterminazione femminile e contro l'ingerenza sul loro corpo delle donne da parte delle istituzioni: l'occasione che ha portato in corteo circa 300 persone era quella di manifestare contro l'incontro annuale del Movimento per la Vita, associazione contro il diritto all'aborto, all'accesso alla pillola Ru486 ed alle tecniche di contraccezione in genere.
In questo incontro i manifestanti hanno voluto far presente che non si può mettere in discussione il diritto delle donne ad accedere all'interruzione volontaria di gravidanza in modo lecito: vietare l'accesso all'aborto o modificare la normativa che lo rende legale sarebbe il risultato di una politica di negazione dei diritti umani delle donne.
Le donne e gli uomini che vi hanno partecipato provenivano da diverse città d'Italia consapevoli che il corpo delle donne costituisce un argomento politico ed il controllo da parte degli uomini della capacità procreativa della donna è sempre un tema attuale: quest'anno dal 4 al 16 marzo 2003 alla Commissione sullo Stato della Donna alle Nazioni Unite a New York si parlerà di diritti umani delle donne, quali sono i diritti sessuali e riproduttivi, la tratta delle donne, lo sfruttamento sessuale, l'aborto e la contraccezione.
Si deve ricordare che l'accesso all'aborto come tecnica medica è disciplinato nel nostro paese dalla legge n. 194/78 ed è confermato dal referendum del 1981: la donna può interrompere la gravidanza nel primo trimestre, quando la sua prosecuzione può comportare un pericolo per la salute fisica o psichica della donna; dopo il primo trimestre solo nei casi di minaccia alla vita della donna o di gravi anomalie e malformazione nel nascituro.
Questa normativa viene attaccata quotidianamente sia direttamente che indirettamente; infatti, coloro che sono fautori di una politica per il diritto alla vita del nascituro in modo indiscriminato, da una parte ne chiedono la modificazione, dall'altra attraverso la proposta di legge sulla procreazione medicalmente assistita delegittimano la legge n. 194/78, togliendo valore alla vita ed alla salute psico-fisica della donna.
Lo Stato deve garantire la libertà per ogni donna di decidere, considerando che alcune possono ritenere che, in certi casi sia più rispettoso abortire che non far nascere un bambino che non avrà modo di sviluppare tutte le capacità di cui potrebbe essere portatore, oppure che in altri casi la maternità sia un diritto anche da acquisire attraverso tecniche di riproduzione assistita per le donne che vogliono accedervi. In questi casi si è davanti ad una relazione ove la piena partecipazione della donna è fondamentale e per questo si deve ascoltare la libera scelta femminile: il prodotto del concepimento non si svilupperà se la donna non l'accoglie e questa accoglienza va intesa non solo in termini fisici, ma anche in termini di immaginazione e fantasia.
La partecipazione di donne e uomini alle manifestazioni per difendere i diritti delle donne è importante per lo sviluppo delle pratiche politiche e delle forme di riflessione ed elaborazione culturale. Le pratiche e le teorie non possono essere viste come disgiunte l'una dall'altra, ma anzi attraverso gli studi universitari e post laurea sulle tematiche femminili e femministe (cd. Studi di Genere o Studi sulle Donne) l'attivismo diventa un tutt'uno e relazionato.
Mentre associazioni non governative di donne, collettivi femministi, aggregazioni culturali hanno svolto per anni elaborazione teorica e pratica; gli studi universitari hanno cercato di rimanere al di fuori dell'attivismo sociale. Oggi è auspicabile che non vi sia alcuna divisione, ma che le 'pratiche' continuino a fare teoria e che le 'teoriche' si mescolino al mondo pratico nella difesa dei diritti delle donne al fine di ridefinire l'approccio politico della questione femminile.

Cecilia Cortesi


 









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