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quiBresciaTeatro di Lea Drummel

Un "Giardino" da non perdere



Marco Bernardi, regista del teatro stabile di Bolzano è riuscito nel non facile compito di dare una propria, personale interpretazione a uno dei capolavori più grandi del teatro moderno: "Il giardino dei ciliegi" di Anton Checov, messo in scena al teatro Sociale di Brescia. La piéce, infatti, è una tra le più amate e interpretate fin da quando comparve per la prima volta il 17 gennaio del 1904 a Mosca. L'opera presenta la vicenda di Ljiubov Andreievna e della sua famiglia, come simboli del mondo in dissoluzione della nobiltà terriera. La donna, tornata da Parigi nella propria tenuta di campagna dove ha trascorso l'infanzia, si rende conto di quanto ami questo luogo e di come ogni angolo sia ricco di ricordi. Purtroppo però, a causa dei debiti, la proprietà dev'essere messa all'asta col suo grande giardino di ciliegi in fiore. A nulla valgono, del resto, i consigli dell'ex servo arricchito Lopachin, che insistentemente le suggerisce di tagliare gli alberi, lottizzare il giardino e venderlo ai villeggianti che, dalla città ormai vicina, sono interessati alle vacanze in campagna. Per altro, nessun'altra concreta iniziativa viene presa per salvare la casa. Semplicemente, fra una passeggiata all'aperto lungo il fiume, un ballo e un continuo rifugiarsi nei dolci ricordi del passato, si aspetta che l'asta vada deserta. Alla fine la tenuta sarà acquistata proprio dall'accorto Lopachin, mentre la donna e tutti coloro che la circondano dovranno andarsene.


Nell'opera non è difficile avvertire l'eco della pena di Checov che, minato dalla tubercolosi, era prossimo alla morte. Pena peraltro non certo esibita, tanto che il testo è comunque ricco di spunti ironici e divertenti. Il regista non ha posto l'accento sulla crisi di una classe sociale, la nobiltà, e sull'affermarsi di un nuovo ceto, la borghesia, con il conseguente trasformarsi di mentalità, tema certo presente in Checov, ma che ormai può dire ben poco alla sensibilità dello spettatore odierno. Bernardi ha preferito puntare sul tema universale della sofferenza del mutamento, cioè su qualcosa che è al di là della crisi di un mondo e che accomuna tutti. L'obbiettivo, ci pare, è stato centrato. Sia grazie agli accorgimenti scenografici: al centro della scena una pedana bianca e quasi del tutto priva di oggetti, sulla quale gli attori salgono per recitare, per poi scendere e sedersi ai lati, diventando a loro volta spettatori. Sia per la grande professionalità degli attori, tutti allo stesso tempo profondi e lievi (forse un po' troppo caricata l'interpretazione delle figlie, Ania e Varia). Magistrale Gianfranco Mauri nel ruolo del vecchio Fries, il servo che non vuole essere affrancato e viene dimenticato nella casa. Una citazione per i costumi di Roberto Banci. Il pubblico, non numeroso, ha applaudito calorosamente..

Lo spettacolo replica al Teatro Sociale di Brescia tutte le sere alle 20,30 fino a sabato. Domenica alle 15,30. I biglietti costano 42 mila lire in platea, 30 mila e 20 mila in galleria.



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