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quiBresciaTeatro di Rossella Prestini

Tedeschi, ritratto di un grande artista da vecchio

La notte di San Silvestro, in un albergo. Un anziano strano che porta una valigia entra, guarda la stanza e si presenta, è Minetti. Così prende il via lo spettacolo "Minetti, ritratto di un artista da vecchio", in scena, per una sola sera, il 26 novembre 2001 al Sociale di Brescia. Poi, con un fiume di parole, il protagonista racconta agli astanti, un portiere e una donna di mezza età ubriaca fradicia, la sua vita. E' un grande attore che trent'anni prima è stato osannato da tutta la Germania interpretando il Lear, ma che poi, deciso a non recitare null'altro, è stato emarginato da pubblico e critica, ritirandosi in campagna. Ora è nella cittadina per incontrare il direttore del teatro che, dopo tanto tempo, gli ha proposto di fare il grande re shakespeariano in una serata commemorativa. Quindi il vecchio non vuole nulla, non una stanza, non un po' di ristoro, ma solo poter attendere colui per cui è venuto. Ma, com'è nella miglior tradizione, chi è atteso non arriva mai e così Minetti, sempre più scosso e dubbioso continua a raccontare la sua storia agli occasionali passanti della hall.
Scritta da Thomas Bernhardt per l'attore Bernhard Minetti, l'opera è costituita da tre scene e un breve epilogo. Si tratta quasi di un monologo che, con un pathos sempre crescente, smorzato a volte da brevi pause d'ilarità, porta lo spettatore nella mente ormai logora di questo personaggio triste, perso nei vortici del ricordo, della recriminazione. Minetti continua e insiste narrando a tutti il suo abbandono della scena. Nella valigia ha la maschera del Lear, ritagli di giornale, testimonianze di una gloria passata che non c'è più, di un periodo idelizzato dalla sua mente di vecchio che è come rimasta imprigionata nel passato. La scena è quasi ferma, la parola è protagonista assoluta, con frasi ripetute fin quasi all'ossessione perchè incapaci di esprimere i vorticosi pensieri. Il personaggio, ma anche l'ambiente attorno a lui, che sembra voler incarnare la mente di Minetti, subiscono un processo di decomposizione. L'artista è sempre più farneticante (la stanza, invece, è sempre meno la hall di un albergo) e, mentre gli altri ridono e scelgono di instupidirsi con l'alcol, il vecchio sceglie d'instupidirsi con le parole, affannandosi per essere compreso senza riuscirci e finendo morto su una panchina, con il viso coperto dalla maschera del Lear.
Messo in scena dalla A.Artisti Associati e diretto dalla bresciana Monica Conti, lo spettacolo è risultato ben calibrato in ogni sua parte. La regia ha smorzato le atmosfere cupe dell'originale, non intaccando però l'amarezza insita nella storia. Nella parte di Minetti, un perfetto Gianrico Tedeschi che ha saputo incarnare lo spirito del personaggio, con il quale forse condivide qualcosa, escluso com'è dai giri delle grandi produzioni. Uno degli ultimi mattatori della scena teatrale italiana, non ha certo deluso il pubblico accorso numeroso ad applaudirlo, regalando un'interpretazione memorabile mai velata dai suoi ottant'anni. Bravi anche gli altri interpreti ai quali, però, la struttura della narrazione riservava parti secondarie. Gli spettatori del Sociale hanno gradito, tributando quasi un'ovazione all'anziano protagonista.



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