i prodotti tipici della Regione del Garda

Associazione I Ghiottoni


Condotta del Garda Veronese

direttore Angelo Peretti



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Prodotti tipici delle Riviere del Garda
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Garda & entroterra

PESCI DEL GARDA
AOLE SALÈ
ASPARAGO DI RIVOLI
KIWI COLLINE MORENICHE
MARRONE DI SAN ZENO
MIELE
PESCHE
SANVIGILINI
TARTUFO DEL BALDO
TARTUFO DELLA VALTENESI
TARTUFO ALTO MANTOVANO
TORTELLINI DI VALEGGIO
OLIO GARDA BRESCIANO
OLIO GARDA ORIENTALE
OLIO GARDA TRENTINO
MARRONATA DI SAN ZENO
BROCCOLETTO DI CUSTOZA
ACQUA DI CEDRO
TROTE DEL SARCA

BROCCOLO DI TORBOLE
PAN DE MOLCHE
MONTEBALDO

MONTEBALDO PRIMO FIORE
FORMAGGELLA ALL'OLIO
FORMAGGELLA TREMOSINE
FORMAGGIO GARDA

LIMONI DEL GARDA

CARNE SALADA
LAVARELLO AFFUMICATO

SALAME DI POZZOLENGO


Altri prodotti lombardi: Mantova e Brescia
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Brescia
GRANA PADANO
GORGONZOLA

GRAPPA LOMBARDA
OLIO DEI LAGHI LOMBARDI

QUARTIROLO
TALEGGIO

BAGOSS
PROVOLONE VALPADANA

ROBIOLA BRESCIANA
STRACCHINO BRESCIANO
PESCHE DI COLLEBEATO
PESCHELLO DI COLLEBEATO
CASTAGNA BRESCIANA
CASTAGNA DI VALCAMONICA
FORMAGGIO DI TOMBEA
CIOKOGARDA
OLIO DENOCCIOLATO
SALAME DI MONTISOLA
STORIONE DI CALVISANO
CAVIALE DI CALVISANO
BISCOTTO BRESCIANO
PATATE DI MONNO
PANE DI SEGALE DELLA VALCAMONICA
SPONGADA
SALSICCIA DI CASTRATO DI BRENO
STRINU
CAPRA BIONDA DELL'ADAMELLO
BERNA
SILTER
FORMAI DE TARA
POLENTA DI CASTEGNATO
PANE DI CASTEGNATO
CASOLET DELL'ADAMELLO
ROSOLIO DI CAZZAGO SAN MARTINO
FARRO DI SAN PAOLO
MELE DI LENO
MELENO

Mantova
MOSTARDA MANTOVANA
CHISOL
SALAME MANTOVANO
SBRISOLONA
SCHIACCIATINA
TORTELLI DI ZUCCA
PERA TIPICA MANTOVANA
CIPOLLA DI SERMIDE
CACIOTTA MANTOVANA
PANE MANTOVANO
TORTA DI TAGLIATELLE
BUSSOLANO
ANELLO DI MONACO
TORTA ELVEZIA
AGNOLINI
GREPPOLE
SALAMELLA MANTOVANA
COTECHINO MANTOVANO
MELONE DI VIADANA
MELONE DI SERMIDE
MELONE DI GAZOLDO E RODIGO
VIALONE NANO MANTOVANO

Altri prodotti veronesi e trentini
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Verona
GRAPPA VENETA
MANDORLATO DI COLOGNA VENETA
MONTE VERONESE
OLIO DELLE COLLINE VENETE
PANDORO
RADICCHIO ROSSO DI COLOGNA VENETA
SOPPRESSA
VIALONE NANO VERONESE
ASPARAGO BIANCO DI ARCOLE
MARRONE DI SAN MAURO DI SALINE
CAVOLO DELL'ADIGE
MELE DI ZEVIO
BOGONI DI BADIA CALAVENA

CARNE VERONESE
FRAGOLE
SFOGLIATINE DI VILLAFRANCA
OFFELLA D'ORO
PATATE DEL GUA
RADICCHIO ROSSO DI VERONA
SEDANO DI VERONA
TARTUFO DELLA LESSINIA
RICOTTA DELLA LESSINIA
CILIEGIA MORA
PISELLI DI COLOGNOLA
PROSCIUTTO VENETO BERICO EUGANEO

Trento
BURRO TRENTINO
GRANA PADANO
GRAPPA DEL TRENTINO
MELE DELLA VAL DI NON
PUZZONE DI MOENA
SUSINE DI DRO
VERDURE DELLA VAL DI GRESTA
VEZZENA
CRAUTI DELLA VAL DI GRESTA
ELISIR NOVASALUS
MARRONI DEL TRENTINO
PROBUSTI
ZELTEN
TORTA DI PATATE DI SPORMINORE
NOCE DEL BLEGGIO
FONTAL
PUZZONE DI MOENA
TOSELA
CIUIGHE
MORTANDELA
SPECK TRENTINO
MIELE TRENTINO
CANEDERLI
STRANGOLAPRETI
LUCANICA
SPONGADI
ASPARAGO DI ZAMBANA
ASPARAGO TRENTINO
CAROTA DELLA VAL DI GRESTA
POLENTA DI STORO
DOLOMITI
SPRESSA

CASOLET DELL'ADAMELLO

I prodotti tipici del lago di Garda

Il pesce del Garda

Le specie di pesci del lago di Garda sono più di trenta: carpione, trota, coregone-lavarello, luccio, tinca, carpa, anguilla, alborella, persico... Ai pesci del Garda è dedicata un'intera sezione del nostro sito: clicca qui.
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Le àole salè

Le àole salè sono uno dei più interessanti prodotti d'area gardesana, anche se ormai è sempre più difficile trovarle: sono alborelle (pesciolini di lago) conservate in salamoia. Vengono consumate cotte alla griglia, irrorate abbondantemente d'olio extravergine. Oppure si utilizzano per il sugo degli spaghetti al torchio: i bìgoi co le àole. Quella della conservazione delle alborelle era una modestissima "industria" gardesana del passato. Consentiva di creare delle scorte alimentari per le giornate più grame. Scriveva Floreste Malfer negli anni Venti: "La confezione delle àole salê è molto semplice, antichissima e primitiva. Si distendono le alborelle su graticci (arèle) al sole, per 3-4 ore finchè sono vizze (enfiapìe). Poi si mettono in barili e si pigiano commiste e alternate con strati di sale da cucina nella misura di 2 Kg. di sale per ogni peso (Kg. 8 1/3) di pesce fresco. Dopo un mese circa si dà principio alla vendita che viene fatta nei paesi rivieraschi, limitrofi e nelle campagne".
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L'asparago bianco di Rivoli Veronese

Se nei libri di storia Rivoli Veronese è citato per la battaglia che le truppe di Napoleone vi comatterono vittoriosamente nel 1797 contro gli austriaci, per i buongustai veronesi la stessa località è nota soprattutto per una felice produzione marginale: quella dell'asparago bianco. Rivoli è alle spalle del Garda, affacciato sulla valle dell'Adige. Le colline moreniche di Rivoli Veronesi , depositate dal ghiacciaio e lavorate dalle piene dell'Adige, sono particolarmente vocate per la coltivazione degli asparagi. In zona c'è chi è pronto a giurarvi che gli asparagi qui li coltivavano già ai tempi della battaglia napoleonica, ma prove non ne esistono. Curiosamente, le due patrie veronesi dell'asparago, Rivoli e Arcole appunto, hanno in comune l'esser stato teatro d'imprese belliche del Bonaparte. L'asparago rivolese è più esile del "cugino" di Bassano, nel Vicentino, o di Arcole, nel Veronese. La produzione è limitatissima: per gli agricoltori della zona l'asparagicoltura è soltanto un'integrazione di reddito. Per assaggiarli occorre recarsi nelle trattorie del posto, oppure fare acquisti direttamente presso i produttori: impossibile trovarli sul mercato. La cucina tradizionale gli asparagi li vuole lessati, conditi con olio ed aceto, sale e pepe, oppure accompagnati da un uovo sodo o al tegamino. Un risotto "all'onda" con le punte d'asparago è un altro delizioso piatto locale.
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I kiwi delle colline moreniche
Chi non era a conoscenza delle ultime novità colturali nel mondo della frutticoltura, probabilmente agli inizi degli anni Settanta si chiedeva che cosa fossero mai quelle piante simili a vigne che si cominciavano a coltivare in certi ordinatissimi filari fra la Valdadige, la piana di Bussolengo e il lago di Garda, in mezzo ai vigneti tradizionali. Poi tutti scoprirono che quelli erano frutti estoci: i kiwi. Fu così che in zona si prese a far confidenza con questa strano frutto d'origine asiatica, importato via Nuova Zelanda e Stati Uniti. A favorirne la coltivazione in area gardesana è il cloima, mai particolarmente rigido. L'adattamento è risultato tanto prodigioso che c'è ora chi addirittura per i kiwi della zona del Garda vorrebbe uno specifico marchio di qualità.
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Il marrone di San Zeno
Il Monte Baldo vanta un'antica tradizione nel campo della castanicoltura. Le porzioni di territorio baldense a castagneto ammontano a circa trecentocinquanta ettari. Nel territorio di San Zeno di Montagna e di Brenzone c'è la concentrazione maggiore. C'è chi sostiene che il castagno qui ci sia sin da epoche piuttosto lontane: Vittore Foradori ritiene si possa ragionevolmente pensare che appartenesse al panorama forestale baldense già agli albori della civiltà neolotica. La coltivazione è però più tarda. È possibile risalga a quella fase d'espansione demografica che a partire dall'undicesimo secolo condusse alla conquista di nuove terre coltivabili, impiantandovi massicciamente il castagno. In quel periodo nelle terre bonificate nacquero le Villenove, e appunto la contrada di Villanova è nel cuore dei castagneti di San Zeno. Non è un caso dunque che appena passata la metà del Cinquecento, il celebre Francesco Calzolari, caposcuola della scoperta botanica dell'area baldense, annotasse la presenza di "antiche et frondute selve" di soli castagni. Castagnàri secolari, appunto. Abbandonati per lungo tempo, com'è accaduto in numerosi altri territori montani nel dopoguerra, da qualche anno i castagni di San Zeno di Montagna hanno suscitato nuovo interesse, al punto che nella località baldense è nata un'associazione dei castanicoltori: i produttori - molti giovanissimi - selezionano e vendono marroni con un apposito marchio. Per il marrone tipico di San Zeno di Montagna, dolcissimo ed un tempo utilizzato anche per la produzione di confetture e di marron glacée, è anche in itinere la richiesta di conferimento del marchio di tutela dell'Unione europea. La tradizione gastronomica baldense vanta anche alcune gradevolissime ricette a base di castagne: la più interessante, riscoperta con successo da alcuni ristoranti di San Zeno di Montagna, è senza dubbio quella del minestrone di marroni, rustica e saporita variante montanara della classica zuppa di fagioli veneta, splendida in autunno accompagnata dal vino novello.
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Il miele
Il Monte Baldo è noto da secoli come l'hortus Europae, il giardino botanico d'Europa. Nel paradiso floreali del "botanico monte" le api hanno il loro bel da fare a correre di fiore in fiore a trasportar polline. E quel laborioso peregrinare allieta il buongustaio, che sa che da queste parti può trovarci dell'ottimo miele. In effetti l'apicoltura, praticata magari da molti quasi solo a livello hobbistico, è di casa fra la riviera gardesana e i rilievi baldensi. Tra il Baldo e il Garda procacciarsi un buon vasetto di miele, insomma, non è per niente difficile. In terra gardesano-baldense si producono soprattutto il miele d'acacia, trasparente, liquido, profumato e dolcissimo, ottimo per la prima colazione spalmato sul pane imburrato, e poi il millefiori scuro, tipico delle zone collinari e boscose, e ovviamente il miele di castagno, più cupo di tonalità, leggermente amarognolo, splendido per accompagnare i formaggi stagionati. La tradizione considera giustamente il miele come una sorta di medicinale. Quando arrivano le magagne invernali e la gola comincia a dolorare, allora si fa sciogliere un cucchiaio di miele in una tazza di latte bollente: bevuto alla sera dà sollievo e concilia il sonno. C'è chi poi, oltre al miele, aggiunge al latte anche un bicchierino di grappa, ma è meglio andarci cauti, soprattutto se si assumono farmaci. Va be' la tradizione, ma con giudizio.
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Le pesche
Polpa gialla o polpa bianca? Chi ama le pesche in terra veronese ha davvero l'imbarazzo della scelta. Chi privilegia le prime, perfette anche per le torte e per le macedonie, chi invece ama maggiormente le seconde, più asprigne. E c'è poi chi alle une e alle altre preferisce le nettarine, le pesche noci dalla buccia liscia. La peschicoltura fra il Garda e Verona raggiunge vertici qualitativi notevolissimi. Fra Bussolengo e Pescantina e poi giù verso Sona, Sommacampagna e Valeggio sul Mincio, i pescheti s'alternano alle vigne. In primavera la fioritura è uno spettacolo. C'è chi sostiene che le antenate della pesca moderna qui siano di casa sin dall'epoca romana, ma è difficile dimostrarlo. Sta di fatto che l'estensione dei ter-reni a pesco è consistente: nella provincia scaligera siamo attorno ai tremila ettari. Nei ristoranti e nelle trattorie di Valeggio, poi, un buon pranzo all'insegna della tradizione non può non chiudersi con una bella pesca sciroppata: gialla, ovviamente. Chi vuol farsele in casa deve sceglierle non ancora del tutto mature, pelarle, ta-gliarle a metà, togliere il nocciolo e poi metterle in un vaso coperte con lo sciroppo di zucchero. Dopo averlo chiuso ermeticamente, il vaso vien messo a bollire sott'acqua. Poi lo si ripone in dispensa al buio almeno per un mesetto. Quando lo si apre torna in tavola il profumo dell'estate.
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I sanvigilìni
A Garda (ma ormai anche in altre località della riviera) non è raro che a fine pasto vi siano serviti, assieme al caffè o ai liquori, i sanvigilìni. Sono dolcetti di pasta frolla con l'uvetta. C'è chi è pronto a giurarvi che siano un dolce tradizionale. Sono invece il classico esempio d'una preparazione moderna che in tempi relativamente brevi (pochi decenni) s'è affermata e radicata in un ambito territoriale ristretto, sino a farla considerare parte integrante del patrimonio locale. Il nome del biscotto tradisce l'origine: è stato creato a punta San Vigilio, nella leggendaria Locanda affacciata sul porticciolo, gestita sino a tutti gli anni Sessanta da Leonard Walsh, un eccentrico personaggio britannico cui il turismo benacense deve indubbiamente molto. I sanvigilìni li ha fatti impastare lui dopo la seconda guerra mondiale, quando giunse a San Vigilio per un breve soggiorno Winston Churchill, ufficialmente intento a rilassarsi dipingendo, in realtà, secondo taluni, alla caccia del carteggio segreto intrattenuto con Mussolini. Che la narrazione corrisponda a verità è tutto da dimostrare. Sta di fatto che per anni i sanvigilìni sono rimasti avvolti nel mistero: non si riusciva a conoscerne la ricetta. L'unico indizio è che somigliavano a certi burrosi pasticcini inglesi da tè. Poi qualcosa trapelò. E adesso trovano posto fisso nei ristoranti e nelle pasticcerie di Garda.
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Il tartufo nero del Monte Baldo
"I tartufi?" replicano molti con faccia stupita quando gli dici che fra il Garda e il Baldo ci sono questi preziosi funghi ipogei. Già, anche i tartufi sono fra il ben di Dio di quest'isola felice. Qui c'è soprattutto il tartufo nero: il tuber aestivum, volgarmente detto scorzone. Ma c'è anche qualche po' di melanosporum, il nero pregiato. Ed altre varietà ancora. Secondo la tradizione, arricchiscono risotti e tagliatelle. Il tartufo gardesano è noto da secoli a gastronomi e naturalisti. A fine Cinquecento il Grattarolo asseriva che i montanari dell'area gardesana "trovano tartuffi, e funghi di molte sorti delicatissimi". Di tartufi delle colline mantovane prossime al Garda si serviva Bartolomeo Stefani, cuoco alla corte dei Gonzaga nella seconda metà del Seicento: "Ne' tempi freddi - scriveva - si gode la tartuffola delle pianure, che si può conservare in oglio per i tempi caldi, ne' quali ancora se ne può havere di fresca, estratta da monti, e colli". Sul finire dell'Ottocento il Solitro parlava degli "odorosi ed eccitanti tartufi" gardesani, destinati a essere "delizia delle mense signorili". Oggi tra Baldo e Garda, i cercatori autorizzati sono ancora qualche centinaio.
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Il tartufo della Valtenesi
La Valtenesi, splendida area della costa bresciana del Garda, vanta una considerevole produzione di tartufi. In zona è presente, pur in piccolissimi quantitativi, anche il tuber magnatum, ossia il cosiddetto tartufo bianco di Alba. Abbastanza frequente il tuber melanosporum, conosciuto anche come tartufo nero pregiato o tartufo nero di Norcia. Numerose le altre varietà di tartufo nero. Nel 1897 il Solitro scriveva che nella zona non mancano «odorosi ed eccitanti tartufi bianchi e neri, delizia delle mense signorili».
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Il tartufo dell'Alto Mantovano
Le colline dell'Alto Mantovano, quasi a ridosso del Garda, sono storico luogo di produzione di piccole quantità di tartufi neri. Bartolomeo Stefani, cuoco alla corte dei Gonzaga, nel 1662 scriveva così: «Ne' tempi freddi si gode la Tartuffola delle pianure, che si può conservare in oglio per i tempi caldi, ne' quali ancora se ne può havere di fresca, estratta da monti, e colli, & specie se ne ritrova vicino alla Volta, e Capriana, Terre del Serenissimo di Mantova»
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I tortellini di Valeggio
La sfoglia è tanto sottile che pare trasparente. I piccoli tortellini di Valeggio sul Mincio sono uno dei migliori prodotti della gastronomia veronese. In verità, Morello Pecchioli insiste che si dovrebbero chiamare agnolini: fate voi. Sulla loro nascita ci sono interpretazioni controverse. Alberto Zucchetta, orafo-gastronomo, ci ha creato sopra una fiaba: la tragica storia d'una passione contrastata fra un valoroso capitano dei Visconti, Malco, e una ninfa del fiume, Silvia. Un po' come la leggenda del pozzo dell'amore a Cavaion Veronese o il mito di Giulietta e Romeo: nel Veronese spopolano le storie strappalacrime. A memoria dello sventurato soldato, inghiottito dal Mincio, sarebbe rimasto sulla riva il fazzoletto di seta ed oro annodato - il nodo d'amore - donatogli da Silvia. Le donne del luogo avrebbero poi preso a preparare una sfoglia di pasta fine come seta, tagliata e annodata come quel foulard. La narrazione in tono agrodolce è invenzione moderna, così come relativamente recente (un secolo o giù di lì) è l'origine del tortellino valeggiano. Che tuttavia s'è imposto in maniera strepitosa, assumendo connotazioni tali da differenziarlo dalle paste ripiene della tradizione lombarda ed emiliana: comprensibilmente imponente il pellegrinaggio di ghiottoni alle mense valeggiane.
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L'olio del Garda orientale
L'olio extravergine d'oliva della riva veneta del lago di Garda, caratterizzato da un fruttato molto leggero, si fregia della dop Garda Orientale. All'olio Garda dop è dedicata un'intera sezione del nostro sito: clicca qui.
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L'olio del Garda bresciano
La dop dell'olio extravergine d'oliva del Garda prevede tre sottomenzioni geografica: il termine bresciano identifica la produzione di 27 comuni della provincia di Brescia. All'olio Garda dop è dedicata un'intera sezione del nostro sito: clicca qui.
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L'olio del Garda trentino
L'olio extravergine prodotto nel tratto settentrionale del Garda si fregia della sottomenzione Garda Trentino dop. All'olio Garda dop è dedicata un'intera sezione del nostro sito: clicca qui.
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La marrronata di San Zeno
La marronata, la confettura di marroni, è nata sulla riviera veneta del lago di Garda utilizzando i marroni del Baldo. Ad inventare la marronata furono Felice Vivaldi e il figlio Vincenzo. Era il 1933. "La marronata - raccontava il cavalier Vincenzo Vivaldi - ha avuto un'origine un po' fortuita. Io e mio padre Felice leggemmo su un vecchio libro una ricetta popolare che ci incuriosì e subito ci mettemmo ad elaborarla, lavorandoci sopra, sbucciando castagne e facendo prove su prove. Poi il prodotto finalmente ci soddisfece: era riuscito bene". La produzione dei Vivaldi è continuata sin verso il 1970. Con il 2002 a San Zeno di Montagna la marronata è tornata in vita per merito di un giovane castanicoltore locale: Simone Campagnari.
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Il broccoletto di Custoza
A Custoza, frazione di Sommacampagna celebre per il vino Bianco di Custoza e per le battaglie risorgimentali che vi si combatterono, vi è una limitata ma eccellente produzione del broccoletto, un piccolo broccolo che cresce soltanto sulle colline argillose che circondano il paese, monte Belvedere, Pico Verde, monte Croce, le Moscatele. Da alcuni anni , all’inizio di gennaio, in paese si svolge la festa del broccoletto di Custoza, che si propone di far riscoprire il sempre più ricercato prodotto tipico. Il piatto caratteristico è molto semplice : “broccoletti, ovi duri e salame”.
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L'acqua di cedro
L'acqua di cedro pare sia un'invenzione settecentesca di un farmacista di Salò, sulla riva lombarda del Garda. È una bevanda alcolica a lungo considerata una sorta di medicinale: la si otteneva distillando vino bianco in cui erano stati posti a macerare scorza e polpa di cedro.
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Le trote del Sarca
Un tempo il fiume Sarca, nel tratto più vicino al Garda trentino, era area privilegiata di pesca alla trota, per la quale vantavano diritti esclusivi i conti d'Arco. In zona esiste anche tradizione nel settore della troticoltura: fu nel 1880 che a Torbole nacque la Società di Pescicoltura Artigianale per iniziativa del parroco don Canevari.
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Il broccolo di Torbole
Prodotto in piccolissimi quantitativi nell'area di Nago, Torbole, Santa Massenza e Vezzano, il broccolo di Torbole è l'ideale accompagnamento delle tipica cucina invernale trentina. La maturazione inizia verso i primi di novembre, per terminare ad aprile inoltrato. Importato, pare, dal Veronese intorno alla metà del Settecento, il broccolo trovò nelle campagne di Torbole e di Santa Massenza un habitat ideale.
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Il pan de molche

In area trentina vengono chiamate molche le bucce delle olive dopo la spremitura. Vengono utilizzate per insaporire un tipico pane, reperibile soprattutto nell'area del Garda trentino.
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Il montebaldo
Il Monte Baldo è un formaggio a pasta semidura prodotto con latte vaccino parzialmente scremato nella zona di Mori, Brentonico, Ala, Avio, Nago e Torbole. La pasta ha colore paglierino intenso nel periodo estivo, paglierino chiaro nel periodo invernale, con occhiatura omogenea a occhio di pernice. La crosta è liscia o leggermente ruvida, la forma cilindrica del diametro di 33-38 centimetri e un'altezza di 8-10 centimetri. Matura da almeno 7 mesi sino a un massimo di 4 anni.
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Il montebaldo primo fiore
Sul Monte Baldo trentino, nella zona di Brentonico, è possibile trovare il Monte Baldo primo fiore, un formaggio vaccino a pasta semidura realizzato con latte parzialmente scremato proveniente dal bestiame al pascolo in malga. Si tratta di un prodotto saporito, profumato, utilizzato sia da pasto che da grattugia. La pasta ha colore paglierino intenso, con occhiatura omogenea. La forma è cilindrica. Matura da 7 mesi a 4 anni.
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La formaggella di Tremosine in olio extravergine
La formaggella sott'olio di Tremosine viene prodotta nell'omonima località dell'entroterra bresciano del Garda dal caseificio Alpe del Garda, nel cuore del Parco Alto Garda. Il formaggio (giovane, a pasta morbida, occhiata, dal sapore fragrante e dal profumo delicato, prodotto con latte vaccino parzialmente scremato) viene tagliato a cubetti e conservato in vasetti immerso in olio extravergine d'oliva locale.
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La formaggella di Tremosine
Prodotta dal caseificio Alpe del Garda, la formaggella di Tremosine, località sulle montagna del Garda bresciano, è un formaggio a pasta morbida, occhiata, prodotta con latte di vacca proveniente dall'Altipiano di Tremosine, all'interno del Parco Alto Garda Bresciano.
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Il formaggio Garda Tremosine
Il Garda Tremosine è un formaggio di latte di vacca parzialmente scremato. Viene prodotto dal caseificio Alpe del Garda, fondato nel 1980 a Tremosine, nel Parco Alto Garda Bresciano. La stagionatura non è mai inferiore ai sei mesi. Ha pasta di colore paglierino, con occhiatura quasi assente. Il sapore è leggermente marcato, e cresce col periodo di affinamento.
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I limoni del Garda
Sul Garda fiorivano i limoni. Secondo la tradizione, la coltivazione degli agrumi venne introdotta sul lago di Garda dai frati francescani nel XIII secolo. Diffusasi soprattutto sulla riva lombarda, l'agrumicoltura ebbe impulso anche sul tratto più a nord della sponda veneta a partire dal Settecento. I limoni, all'epoca esportati in tutt'Europa, erano coltivati in monumentali serre, oggi quasi tutte abbandonate. È peraltro ancora perfettamente funzionante la "limonara" del castello scaligero di Torri del Benaco, che costituisce parte integrante del locale Museo. A Tignale, la Comunità montana Alto Garda Bresciano ha recuperato e reso visitabile una limonaia ottocentesca. Gli agrumi gardesani non sono reperibili sul mercato.
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La carne salàda
La carne salàda viene proposta quasi immancabilmente nei menu delle trattorie del Garda trentino. La si trova facilmente anche nelle macellerie e nelle salumerie della zona. La si gusta cruda in carpaccio, oppure scottata alla piastra, accompagnata da fagioli e verdure sott'olio. Per confezionarla artigianalmente occorre togliere le parti grasse e filamentose e nervi alla carne (in genere si usa coscia di manzo), tagliarla a pezzi grossi, sfregarla con sale grosso e zucchero e riporla in un contenitore con sale e aromi (uno strato in basso, uno in alto); vi si versa sopra del vino e la si lascia insaporire per una trentina di giorni coperta con un peso.
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Il lavarello affumicato
Con il 2001, grazie al trasferimento nella nuova sede di via San Bernardo, presso l'edificio che in passato ospitò il macello comunale di Garda, la Cooperativa fra pescatori di Garda ha iniziato la produzione di filetti di pesce di lago affumicati e conservati sotto vuoto. Particolarmente pregiati i filetti affumicati di coregone-lavarello.
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Il salame di Pozzolengo
A Pozzolengo, località bresciana al confine con le province di Verona e di Mantova (fa parte della zona di produzione del vino Lugana), esiste buona tradizione di norcineria. Il tipico salame locale a base di carne di maiale ha ottenuto dal comune la denominazione d'origine comunale (de.co.). Ad occuparsi della lavorazione sono in genere piccoli produttori locali.
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Gli altri prodotti tipici del Veronese

La grappa veneta
La tradizione della distillazione della grappa appartiene a tutti gli effetti alla tradizione veneta: già nel Seicento nasceva a Venezia un'università degli acquavitai. Del resto, il Veneto è da sempre una regione fortemente vocata alla viticoltura e quindi esiste ampia disponibilità di vinacce da distillare. Le zone di maggior produzione sono quelle del Piave e di Verona. Particolarmente pregiata è la grappa di Amarone, prodotta nel Veronese.
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Il mandorlato di Cologna Veneta
Gli ingredienti sono solo quattro: mandorle, miele, zucchero e albume d'uovo. Se ne ottiene un prodotto dolcissimo, il mandorlato di Cologna Veneta, un'originale, tipicissima interpretazione locale di quella tradizione dei torroni che è comune a molte regioni d'Italia. Candido, durissimo, croccante, straordinariamente dolce, il mandorlato colognese viene confezionato in scatole di metallo o in vasi di vetro, ma anche in barrette incartate. È considerato soprattutto un dolce natalizio. Pare che ad idearne la ricetta sia stato, verso la metà dell'Ottocento, un farmacista, il dottor Antonio Finco. Un altro farmacista, Italo Marani, insieme con un collaboratore, Rocco Garzotto, ne avrebbe poi applicato la formula su più vasta scala. Oggi le ditte produttrici sono una decina.
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Il monte veronese
Il monte veronese è un formaggio vaccino a pasta semicotta tutelato dal marchio dop. Lo si può realizzare in tutto il tratto settentrionale della provincia di Verona, ma il cuore della produzione è sui Monti Lessini, dove la tradizione casearia sarebbe stata introdotta nel Duecento da gruppi di cimbri, coloni tedeschi provenienti dall'altopiano di Asiago. Il disciplinare prevede due varietà, che si diversificano per la tipologia di latte utilizzato e per la durata della stagionatura: il monte veronese a latte intero, pronto in trenta giorni, e il monte veronese d'allevo, fatto con latte parzialmente scremato e stagionato da un minimo di novanta giorni a un massimo di sei mesi. I buongustai distinguono poi fra monte giovane, mezzano e stagionato.
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L'olio delle colline venete
La zona di produzione olearia più celebre del Veneto è certamente la riviera del Garda, ma sono numerose altre le località della regione che vantano antica tradizione e buon olio. L'Unione europea ha riconosciuto, dopo quella gardesana, anche la dop veneto, individuando alcune sottozone: la Valpolicella (ossia la fascia collinare a nord di Verona), i Colli Euganei e Berici, fra Padova e Vicenza, e il Monte Grappa, nel Vicentino.
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Il pandoro
Il pandoro è il dolce natalizio di Verona, ma oggi è conosciutissimo in tutt'Italia. Sulla sua origine si fanno le ipotesi più disparate: chi lo crede derivazione della brioche, il dessert della corte francese, chi lo vuole proveniente dalla casa reale asburgica, chi lo fa risalire a un leggendario dolce conico coperto da foglie d'oro zecchino servito nei pranzi della Serenissima. Molto probabilmente si tratta invece di un'elaborazione ottocentesca di uno dei più tradizionali dolci veronesi: il nadalìn, una grossa focaccia a forma di stella. Il primo documento certo sulla storia di questa ghiottoneria risale al 1895, quando il Regno d'Italia concede a Domenico Melegatti, pasticcere di Verona, l'esclusiva triennale per la produzione di un dolce speciale denominato, appunto, pandoro.
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Il radicchio rosso di Cologna Veneta
Il Veneto è la terra del radicchio rosso. Durante la coltivazione, il radicchio subisce un processo di trasformazione, del tutto naturale, chiamato imbiancamento: le foglie si sviluppano in altezza, mostrando una nervatura centrale bianchissima con lembi fogliari di colore rosso carminio. Il radicchio rosso di Verona, selezionato negli anni Cinquanta da quello di Treviso e coltivato oggi soprattutto nell'area di Cologna Veneta, ha la forma di un grosso bocciolo: le foglie, tondeggianti e compatte, hanno colore rosso vinoso alternato da coste bianche.
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La soppressa
Se c'è da scegliere un prodotto simbolo della convivialità della terra veneta, è la soppressa. Pane e soppressa, polenta e soppressa: è questo il cardine delle merende fra amici, delle colazioni sull'erba, accompagnate da abbondanti bevute di vino. La soppressa è il salame veneto per antonomasia. Viene ottenuta macinando a grana medio-grossa le carni pregiate del suino, che vengono condite con sale, pepe ed aglio e quindi insaccate nel budello. Il salame viene lavato in acqua calda, legato con lo spago e posto ad asciugare per qualche giorno, prima di essere destinato alla stagionatura in cantina, dove rimane parecchi mesi coprendosi di una muffa. La forma è cilindrica: il diametro è di una quindicina di centimetri, per una lunghezza che va dai 30 ai 40-50 centimetri. Il peso va dal chilo e mezzo ai tre-quattro chili. Ogni zona del Veneto vanta una particolare soppressa: tra le più note ci sono quelle di Asiago, del Vicentino e della Valpolicella.
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Il vialone nano veronese
Il riso vialone nano veronese igp è una varietà nata nel 1937 nella Stazione sperimentale di Risicoltura di Vercelli per incrocio del nano col vialone. Introdotto nella Bassa Veronese negli anni immediatamente successivi alla guerra, vi ha trovato l'habitat ideale. L'area di produzione interessa più di venti comuni. L'emblema gastronomico locale è il risotto all'isolana, tipico di Isola della Scala: la ricetta contempla carne di maiale e di vitello, insaporita con le spezie. Il vialone nano veronese è del resto ottimo proprio per preparare i tipici risotti veronesi.
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L'asparago bianco di Arcole
Gli asparagi bianchi sono coltivati in varie aree del Veneto. Fra i più celebri vi sono gli asparagi bianchi di Arcole, località che fu teatro di una celebre battaglia napoleonica, esattamente come accadde Rivoli Veronese, altra zona di ottima asparagicoltura.
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Il marrone di San Mauro di Saline
San Mauro di Saline è una località della Lessinia orientale, a nord-est di Verona, conosciuta per l'otttima produzione di marroni pregiati. Opera in loco un'attiva associazione di castanicoltori..
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Il cavolo dell'Adige
Nella Bassa Veronese, e in particolare nell'area attorno a Castagnaro, esistono ottime produzioni di cavoli. Le varietà coltivate sono parecchie: il cavolfiore, il cavolo cappuccio verde o rosso, il cavolo verza, il cavolo broccolo. In loco si è costituito anche un Consorzio di tutela del cavolo dell'Adige. Il potenziale raggio d'azione del Consorzio abbraccia 43 Comuni di tre province, dislocati lungo l'asse dell'Adige, che vanno dall'Alto Rodigino, con Lendinara e Badia Polesine, sino alla periferia di Verona con San Giovanni Lupatoto, passando per Urbana, Masi ed Anguillara nella Bassa Padovana. Un vasto comprensorio, dunque, in cui, secondo stime attendibili, la superficie vocata a brassica (è questo il nome tecnico del cavolo) si aggira sui 1600 ettari, con un raccolto che sfiora i 550 mila quintali, vale a dire quasi tre quarti della produzione lorda regionale.

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Le mele di Zevio
Zevio, Belfiore e Ronco all'Adige, al confine tra l'Est e la Bassa Veronese, sono note come importanti centri di coltivazione della mela. Le varietà presenti in zona sono la Golden delicious, che copre all'incirca il 70 per cento della produzione melicola locale, la Granny Smith, la Dallago, la Royal Gala. Pare che l'avvio della tradizione locale nel campo della melicoltura risalga al 1929, anno di grande crisi economica: vi è infatti chi sostiene che sia stato allora che il parroco di Belfiore, don Bendinelli, e Piero Frigo fecero arrivare dall'America via nave circa mille piante di mele di nuovo innesto. Erano di due varietà: le mele Belfort e la Commercio. A partire dai primi anni ’30 la coltura della mela si sarebbe diffusa in tutto il paese e nei centri vicini, primi fra tutti Zevio e Ronco all'Adige.
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I bogoni di Badia Calavena
Badia Calavena è un comune della Lessinia noto per la sua produzione di bogoni, ossia lumache, chiocciole, attualmente allevate con ottimi risultati. Una enorme lumaca è raffigurata in una statua che accoglie il visitatore all'ingresso in paese. La prima domenica di dicembre si svolge a Badia la fiera dei bogoni.

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La carne veronese

Carne bovina degli allevatori veronesi: è questa la definizione che si trova sui banchi delle migliori macellerie della provincia scaligera. E in effetti il territorio veronese, oltre che per l'allevamento di vacche da latte, è noto anche per la sua produzione di bovini da carne, presenti negli allevamenti soprattutto nell'area della cosiddetta Bassa Veronese.
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Le fragole
Pare che la coltivazione della fragola si sia diffusa nel Veneto, e in particolare nel Veronese, a partire dal Settecento. Oggi la provincia scaligera fornisce da sola un decimo della produzione nazionale del settore. Circa il 90 per cento delle fragole veronesi sono coltivate in strutture protette, fornendo un doppio raccolto (autunnale e primaverile) nel medesimo fragoleto.

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Le sfogliatine di Villafranca
Soffici e friabili, di forma circolare, le sfogliatine di Villafranca Veronese sono realizzate con farina, burro, zucchero, sale e uova. L'ormai tradizionale dolce villafranchese venne inventato a fine Ottocento dal maestro pasticcere Giovanni Fantoni, ed ancora oggi esiste sul viale che porta al castello di Villafranca l’antico caffè che porta il suo nome. Le sfogliatine sono disponibili nelle pasticcerie della cittadina scaligera, anche confezionate nelle tipiche scatole metalliche.
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L'offella d'oro
L'offella d'oro è il delizioso dolce natalizio della pasticceria Perbellini di Bovolone. La sua creazione si deve a Giobatta Perbellini, che, nel 1891 modificò la ricetta classica del nadalìn, antico dolce veronese, arricchendola di burro e rendendola molto più soffice. La produzione inizia ad ottobre e si protrae sino a primavera. I dolci sono confezionati con un incarto originale, eseguito a mano.
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La patata del Guà
In territorio veronese, al confine con le province di Padova e Vicenza e Verona, c'è un piccolo comune con poco più di duemila abitanti, Roveredo di Guà, che deve la sua notorietà a una patata, la cui produzione si concentra nei mesi di luglio e agosto. Coltivata in terreni alluvionali, argillosi, profondi e di colore rosso, appartenenti al bacino attraversato dal fiume Guà, la tipica patata della zona ha una buccia dalla colorazione giallo oro: da ciò deriva la complessa definizione di "patata dorata dei terreni rossi del Guà", inserita nell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali. Le varietà coltivate sono la Primura, quella più diffusa, Agata, Vivaldi, Cicero, Monalisa, Liseta e Alba. L'area di produzione comprende, oltre a Roveredo, i comuni veronesi di Cologna Veneta, Pressana e Zimella, quello padovano di Montagnana e quelli vicentini di Lonigo, Asigliano, Orgiano, Noventa Vicentina, Pojana Maggiore e Alonte.
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Il radicchio rosso di Verona
Con 20 mila tonnellate di prodotto su 2400 ettari coltivati, il radicchio rosso di Verona è il secondo come quantità fra i radicchi veneti. In testa c'è Venezia, con 32 mila tonnellate su 2.400 ettari di radicchio di Chioggia. Treviso, la provincia che dà il nome al più conosciuto tra i radicchi del Veneto, è quella che di radicchi produce di gran lunga la minore quantità, con 3.700 tonnellate su 820 ettari. Dopo Venezia e Verona, vi sono Rovigo (18 mila tonnellate su 1100 ettari) e Padova (17 mila tonnellate su 1.700).
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Il sedano di Verona
Il sedano di Verona, o sedano rapa, è caratterizzato da una grossa radice dalla buccia grinzosa e grigiastra che racchiude una polpa biancastra e saporita, croccante, dall'aroma caratteristico, spiccatissimo. Può arrivare a pesare un chilo. In cucina, si scartano le foglie e si utilizza proprio la grossa radice.
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Il tartufo della Lessinia
Boscochiesanuova, Erbezzo, Roverè, Velo Veronese: sono alcune delle località della Lessinia, la catena montuosa a nord di Verona, dove si raccoglie il tartufo nero. Lo scorzone estivo e invernale e il pregiatissimo Tuber Melanosporum si trovano anche nelle aree più basse del rilievo collinare-montuoso, quelle conosciute per la produzione del celebre vino Valpolicella.
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La ricotta della Lessinia
In Lessinia, nella zona di produzione del formaggio Monte Veronese, si trovano anche eccellenti ricotte vaccine, fresche o affumicate. La ricotta è tra l'altro l'ingrediente principe di uno dei piatti più caratteristici dei monti Lessini: gli gnocchi sbatùi (sbattuti). Ricetta tipica dei malghesi, gli gnocchi di montagna vengono preparati soltanto con farina, sale e latte. Si cuociono in acqua e si condiscono poi direttamente nel piatto con burro fuso e ricotta affumicata grattugiata.
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La ciliegia mora
Tra le molte vocazioni agricole delle colline a nord di Verona c'è anche quella per la ciliegia. La varietà simbolo della zona è la ciliegia mora, detta anche durone. Grossa, sferoidale, di colore rosso brillante, con polpa soda e croccante, possiede un eccellente equilibrio tra succosità, dolcezza e acidità. Celebre è in particolare la mora di Cazzano, una delle qualità più apprezzata in tutto il mondo. Il Consorzio ortofrutticolo delle Colline Veronesi raccoglie circa mille soci produttori, suddivisi in quattro cooperative (Cerasicola di Negrar, Agricola Lessinia Occidentale, Cerro e Val Mezzane). Oltre alla mora (di Verona e dalla punta) si coltivano la Moreau, varietà precocissima, e poi l'adriana, la celeste, la giorgia. Feste delle ciliegie si svolgono in giugno a Cazzano di Tramigna, a Montecchia di Crosara, a San Giovanni Ilarione, a Brognoligo (frazione di Monteforte d'Alpone) e a Gargagnago (frazione di Sant'Ambrogio di Valpolicella). Un'usanza locale è quella di porre le ciliegie "sotto spirito", e cioè nella grappa con dello zucchero: vengono consumate d'inverno.
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I piselli di Colognola
Uno dei prodotti più interessanti del Soavese sono i piselli di Colognola ai Colli, della varietà verdone nano. Tra i piatti tipici della zona ci sono le lasagnette coi bisi (è il termine dialettale che identifica i piselli) e i risi e bisi (risotto coi piselli). Il terzo fine settimana di maggio a Colognola ai Colli si tiene la sagra dei piselli.
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Il prosciutto veneto Berico-Euganeo
Il prosciutto veneto Berico-Euganeo dop, viene prodotto da una decina di azienda, di cui due veronesi. L'area di produzione delineata dal disciplinare è a a cavallo fra le province di Verona, Padova e Vicenza. Il Consorzio di tutela ha sede a Montagnana.

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Gli altri prodotti tipici del Bresciano

Il grana padano

Il grana padano è un famosissimo formaggio a pasta dura, ideale sia da grattugia che da tavola. Il nome fa riferimento alla consistenza granulosa che ne caratterizza la pasta, soprattutto col protrarsi della stagionatura, e alla zona di provenienza, che comprende quasi tutta la pianura padana. L'area di produzione si estende infatti in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Trentino. Il consorzio di tutela ha sede in Lombardia, a Desenzano del Garda, nella frazione di San Martino della Battaglia: costituito nel 1954, riunisce produttori, stagionatori e commercianti. Tutelato dal marchio dop europeo, è un formaggio di latte di vacca, semigrasso, a pasta cotta, a lenta maturazione (è previsto che la stagionatura si protragga da un minimo di 9 mesi a un massimo di 24). Viene prodotto col latte bovino proveniente da due mungiture giornaliere.
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Il gorgonzola
Gorgonzola è un comune della provincia di Milano: era qui che anticamente si usava concentrare le mandrie di bestiame al ritorno dall'alpeggio estivo. Col latte delle vacche stanche (in dialetto stracche) per la lunga transumanza, si faceva un formaggio particolare, uno stracchino che venne identificato col nome della cittadina. Oggi il gorgonzola, tutelato dal marchio dop, viene prodotto non solo nel Milanese, ma nelle province lombarde di Bergamo, Brescia, Como, Cremona e Pavia, in quelle piemontesi di Cuneo, Novara e Vercelli e nel contiguo comune di Casale Monferrato, in provincia di Alessandria. La stessa sede del consorzio di tutela del gorgonzola è in Piemonte, a Novara.
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La grappa lombarda
La Lombardia, terra di storica e ampiamente diversificata tradizione enoica, vanta anche ottime produzioni di grappa, che traggono origine dalle vinacce delle numerose tipologie di vitigno coltivate nelle aree vinicole della regione. Interessanti le produziuni del Bresciano, e in particolare per l'area franciacortina.
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L'olio dei laghi lombardi
La dop laghi lombardi è attribuita agli oli nati sulle rive del lago d'Iseo e del lago di Como, per le cui produzioni olearie sono previste rispettivamente le menzioni geografiche aggiuntive sebino (interessa alcuni comuni delle province di Brescia e Bergamo) e lario (per Como e Lecco). Nel caso dell'extravergine del Sebino, concorrono alla produzione le olive delle varietà leccino (almeno per il 40 per cento) frantoio, casaliva, pendolino e sbresa. L'olio che se ne trae ha un fruttato medio-leggero, con leggera sensazione di amaro e di piccante.
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Il quartirolo
Il quartirolo lombardo, tutelato dal marchio dop, è un formaggio molle di latte vaccino intero o parzialmente scremato. Ha la forma di un parallelepipedo quadrangolare: i lati sono attorno alla ventina di centimetri. La crosta è bianca con tendenza rosata nelle forme più giovani, mentre varia verso tonalità grigie, verdognolo o rossastre nel caso di più lunghi affinamenti. Il periodo di maturazione è comunque in genere abbastanza breve. Può essere prodotto nell'intero territorio delle province di Brescia, Bergamo, Como, Cremona, Milano, Pavia e Varese. Il nome ricorda l'antica usanza di produrlo col latte delle vacche nutrite con l'erba del quarto taglio autunnale: l'erba quartirola, appunto.
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Il taleggio
Le origini del taleggio, un celebre formaggio vaccino molle, a breve stagionatura (oggi è riconosciuto come prodotto dop), sono antichissime: a testimoniarlo sono testi vecchi di almeno otto secoli. La zona d'origine è la Val Taleggio, in provincia di Bergamo, ma la produzione si è progressivamente estesa a macchia d'olio nella pianura padana. Numerosi caseifici lo confezionano in Lombardia (nelle province di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Pavia), ma anche in Piemonte (nel Novarese) e nel Veneto (nel Trevigiano).
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Il bagòss
Bagolino, in Val Caffaro, in provincia di Brescia, è nota per un particolare, saporitissimo formaggio: il bagòss, ottenuto da latte crudo vaccino parzialmente scremato. Durante l'affinamento è prevista la salatura a secco due volte la settimana per tre-quattro mesi. La crosta viene unta con olio di lino crudo. La pasta è granulosa e caratterizzata da occhiatura: il colore è giallo paglierino.
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Il provolone Valpadana
Tutelato dal marchio dop, il provolone Valpadana è un formaggio di latte vaccino intero a pasta filata. Lo si può produrre in Lombardia, ma anche nel Trentino, in Emilia Romagna e nel Veneto. Stagionatura e forma sono variabili: può presentarsi a forma di salame, di melone, di fiaschetto, di tronco di cono, di pera.
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La robiola bresciana
Dal latte dei bovini al pascolo sulle montagne della provincia di Brescia si ottiene la robiola bresciana (una formaggella fuori sale), da gustare leggermente cosparsa d'olio d'oliva. Il formaggio è meglio conosciuto con l'appellativo commerciale di brescianella e presenta una leggera fioritura di muffa bianca naturale su una pasta morbida e burrosa.
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Lo stracchino bresciano
Lo stracchino bresciano, ancora oggi prodotto da qualche caseificio cooperativo, è un formaggio tenero che si rifà alla tradizione dell'alpeggio sui monti. Un tempo veniva tradizionalmente mangiato insieme con le castagne secche (bilìne) nel giorno del Sabato Santo.
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Le pesche di Collebeato
A Collebeato, nel Bresciano, si svolge in luglio un'importante sagra delle pesche. La pesca di Collebeato, localmente detta persèch de Cobiàt, fu fino agli anni '50 la coltivazione principale del paese: si arrivò a produrne fino a 10 mila quintali, un terzo dell'intera produzione provinciale (i quantitativi sono oggi meno significativi). Il periodo di maggior splendore della coltivazione fu attorno agli anni '20 e '30, quando le pesche locali ottennero numerosi riconoscimenti nazionali.
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Il peschello di Collebeato
Il peschello è un liquore a base di succo di pesche di Collebeato. È tutelato dalla de.co. (denominazione comunale).
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La castagna bresciana
La provincia di Brescia vanta una notevole tradizione castanicola. Il territorio provinciale conta più di 400 boschi di castagno da frutto su una superficie complessiva di circa 1.200 ettari. La produzione è stimabile intorno ai mille quintali annui di marroni. Nel 1999 si è costituita l'Associazione provinciale castanicoltori bresciani (Asprocab), con sede a Sarezzo. Sono tre i comparti produttivi della castanicoltura bresciana: il prodotto fresco (comprende le varietà più pregiate, quali i marroni, le agostane, le rossere, le biline), gli esiccati (comprende le varietà di castagne destinate all'essicazione), e le farine (ottenute con l'essicazione e la molitura, sono oggi utilizzate nel settore dolciario).
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La castagna di Valle Camonica
In Val Camonica la coltivazione del castagno ha rivestito una grande importanza economica e sociale almeno fino agli anni sessanta, quando è cominciato, come in numerose altre aree montane, un progressivo abbandono della coltura. Per rivalorizzare le produzioni locali, a Paspardo si è costituito il Consorzio della castagna di Vallecamonica. I castagneti degli aderenti al consorzio sono ubicati in gran parte in una delle più affascinanti aree protette della regione: la riserva naturale delle incisioni rupestri. Il consorzio ha tra i propri obiettivi , oltre alla raccolta e all'acquisto delle castagne, anche la loro trasformazione e la vendita dei prodotti derivati (farina, castagne secche, dolciumi e altri prodotti a base di castagne).
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Il formaggio di Tombea
Tombea è il nome di una montagna dell'Alta Valvestino, ai confini con la provincia di Trento, ma anche di un alpeggio compreso nel territorio comunale di Magasa e di un formaggio vaccino a pasta dura. Lo si produce da maggio a settembre, nelle malghe dei comuni di Magasa e Capovalle, in particolare sull'altopiano di Rest. La materia prima è il latte crudo di vacche di razza Bruno Alpina, sottoposto a procedimenti analoghi a quelli usati per il Bagoss, compresa l'abitudine di colorare la pasta con zafferano e di ungere le forme in stagionatura con olio. Lo si può trovare alla Sagra del formaggio che si tiene a settembre a Magasa.
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Il Ciokogard
Praline di cioccolato finissimo aromatizzate con infudo di cedro e limone: sono i Ciokogard, invenzione della pasticceria Vassalli di Salò. da Vassalli sono imperdibili anche i filetti di scorza d'arancia e di limone caramellati e ricoperti di cioccolato e, a Natale, gli alberelli di cioccolato e frutta secca.

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L'olio denocciolato
Sul Garda bresciano opera uno dei pionieri dell'olio denocciolato: Gianfranco Comincioli, ottimo produttore anche in campo vinicolo. La sua azienda agricola aderisce al progetto "L'olio secondo Veronelli", che prevede il rispetto di un disciplinare rigoroso: "Questo documento - incomincia il disciplinare scritto dal grande Luigi Veronelli - si rivolge a tutti gli olivicoltori italiani che vogliono abbracciare una filosofia della produzione olearia in linea con la volontà, tutta veronelliana, di adottare un sistema di produzione che, essenzialmente, si basi sulla raccolta e sull'estrazione per cultivar della sola polpa delle olive". Comincioli ottiene dalle olive dei suoi oliveti, coltivati a Puegnago del Garda, due oli monocultivar (casaliva e leccino) tratti da olive denocciolate raccolte molto precocemente e frante entro cinque ore dalla raccolta.
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Il salame di Montisola
Montisola è l'isola, imponente, che sorge nel mezzo del lago d'Iseo. Nei borghi dell'isola (la più grande fra quelle lacustri d'Europa) è da sempre praticata la pesca. L'alimentazione popolare della zona, tuttavia, era contraddistinta sia dall'uso del pesce che da quello del maiale. In particolare, il salame di Montisola, anche leggrmente affumicato, è considerto fra i migliori salumi bresciani.
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Lo storione di Calvisano
A Calvisano, in provincia di Brescia, si alleva lo storione. Nonostante evochi oggi generalmente atmosfere esotiche, questo pesce è da sempre parte dell'ittiofauna dei grandi fiumi italiani (Po, Ticino, Livenza). Lo alleva l'Agroittica Lombarda, che riportandolo in Italia ha di fatto rigenerato una tradizione locale. L'azienda è nata nel 1978 per allevare e commercializzare l'anguilla. All'inizio degli anni '80, tuttavia, a fronte di problemi di reperibilità del novellame, l'Agroittica ha intrapreso ricerche per individuare specie alternative all'anguilla che si potessero allevare nello stesso ambiente. Gli studi culminarono nell'accordo con l'Università di Davis per l'importazione di larve di white sturgeon, lo storione bianco, un pesce dalle carni bianchissime. L'Agroittica ha poi sviluppato una tecnica di riproduzione dei propri storioni.
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Il caviale di Calvisano
Dal 1992 l'Agroittica Lombarda, azienda bresciana specializzata nell'allevamento dello storione, ha iniziato a estrarre e commercializzare, solo dai propri storioni, il caviale (il nome commerciale è Calvisius).
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Il biscotto bresciano
Semplice, rustico, friabile, il biscotto bresciano viene realizzato con farina, latte, zucchero, burro, latte in polvere, marsala, bicarbonato d'ammonio, malto, tuorli d'uovo, sale, vaniglia. Viene prodotto dalle pasticcerie socie del Consorzio Pasticceri dell'Associazione Artigiani di Brescia.
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Le patate di Monno
Monno, piccolo paese dell'Alta Valle Camonica, situato a 1066 metri di altitudine, è noto per la sua piccola, ma interessante produzione di patate (nel dialetto locale sono dette "patape"). La particolare qualità della patata di Monno rispetto a quelle coltivata nel resto dell'Alta Valle pare derivi dal fatto che i terreni inclinati della zona fanno sì che l'acqua non ristagni. I campi, inoltre, non sono esposti alle correnti d'aria provenienti dal Passo del Tonale. La concimazione è naturale (si usa letame bovino). Sembra che le prime notizie certe sull'arrivo della patata in Valle Camonica risalgano al 1816, quando in zona si seguì l'esempio della Valtellina, che aveva superato la carestia del 1815-18 proprio grazie alla coltivazione della patata.
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Il pane di segale della Valle Camonica
Il pane tradizionale dell'Alta Valle Camonica è ottenuto da un impasto di farina di segale e di frumento. La segale era considerato un tempo il principale cereale della zona per la sua capacità di crescere su terreni acidi e poveri di elementi nutritivi. Il pane di segale e frumento è tra gli ingredienti della panàda, la tipica zuppa montanara locale, realizzata anche con lardo, burro e croste di formaggio.
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La spongàda
La spongàda (focaccia) di Breno, in Alta Valle Camonica, è un dolce tradizionale del periodo pasquale, ottenuto con pasta lievitata in due tempi, mescolata a uova, latte, burro, zucchero e vaniglia. Viene cotta in forno. A cottura ultimata viene ricoperta con granelli di zucchero.
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La salsiccia di castrato di Breno
A Breno, in Alta Valle Camonica, da oltre un secolo viene prodotta la salsiccia di castrato, ideata, pare da Pietro Rizzieri. Dal 1922 i fratelli Pedersoli ne hanno iniziato la produzione in buoni quantitativi, diffondendola nell'intera valle. Per realizzare la salsiccia, la carne di castrato viene sgrassata, tritata, condita con una miscela di pepe, spezie, aglio e brodo di carne ottenuto bollendo a fuoco lento tutte le ossa del castrato. Insaccata e confezionata, la salsiccia va cotta in acqua bollente non salata in una pentola senza coperchio per circa 15 minuti.
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Lo strinù
Lo strinù dell'Alta Valle Camonica è una salamella da mangiare cotta alla piastra, tagliata in due e rosolta da ambo le parti. Viene confezionata per tre quarti con carne suina e per il resto con pancetta e viene condita con sale, pepe macinato, aglio, cannella, noce moscata, chiodi di garofano e vino.
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La capra bionda dell'Adamello
La capra bionda è una razza autoctona dell'Adamello e della Val Camonica. Viene allevata soprattutto come animale da carne, anche il latte è apprezzato per la lavorazione casearia. La carne si conserva sotto forma di insaccati e a pezzi interi.
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La berna
In Alta Valle Camonica (in particolare nella Val di Corteno, tra Edolo e il passo dell'Aprica), con la carne di capra bionda si usa realizzare la berna. Si tratta di carne tagliata a striscioline ed essiccata,.

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Il silter
Il silter è un formaggio di malga, a lunga maturazione (è da grattugia dopo un anno di affinamento), della Media e Bassa Valle Camonica (il nome deriva dal termine dialettale che identifica il fabbricato adibito alla conservazione del latte). Viene ottenuto da latte intero, parzialmente scremato per affioramento, delle vacche di razza bruno alpina. Ha crosta gialla e dura, pasta più chiarha con occhiatura leggera. Dopo 12 mesi di stagionatura è un formaggio ottimo anche da grattugia.
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Il formài de tàra
Il formài de tàra è una variante estrema dei formaggi stagionati della Valle Camonica. Maturato per tempi molto lunghi, si altera progressivamente (e per questo non può essere commercializzato ufficialmente) sotto l'azione di acari e muffe, divenendo molle e piccante e assumendo colorazioni marroni-nerastre e talvolta violacee.
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La polenta di Castegnato
Castegnato è una cittadina a pochi chilometri da Brescia, terra di frontiera tra la Franciacorta e la Bassa. Il comune vanta un piccolo record: è stato il primo a varare la De.Co., la denominazione comunale, per alcuni suoi prodotti tipici. Fra questi, vi è la l'antica polenta bresciana della varietà belgrano bresciano, da molti in provincia chiamata anche polenta di Castegnato.
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Il pane di Castegnato
Il pane naturale di Castegnato, che si fregia della De.Co., la denominazione comunale, viene panificato con farina di frumento coltivato nel territorio agricolo del paese e viene fatto lievitare solo con lievito madre.

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Il càsolet dell'Adamello
Il càsolet è un formaggio pasta semidura dall'inconfondibile forma triangolare, dal profumo di latticino fresco e dal tipico gusto delicato. La crosta è sottile, leggermente rugosa, di colore paglierino e con tendenza alla fioritura. La pasta, di colore bianco crema, ha piccole occhiature sparse. Viene prodotto con latte parzialmente scremato nell'area del massiccio dell'Adamello, dal comprensorio lombardo del Sebino e della Vacamonica sino al Passo del Tonale e poi nell'alta Val di Sole in provincia di Trento.
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Il rosolio di Cazzago San Martino
Il classico liquore a base di infuso di petali di rose a Cazzago San Martino è riconosciuto come prodotto de.co. (a denominazione comunale).
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Il farro di San Paolo
Si dice che i campi di Pedergnaga, Oriano, Cremezzano e Trignano, borghi ora riuniti nel Comune di San Paolo, facessero un tempo parte del «Pagus farraticanus», l'area di produzione del farro, la cui coltivazione è stata recentemente riscoperta proprio a San Paolo grazie all’iniziativa di un gruppo culturale locale, che prima è riuscito a procurarsi la semente da una famiglia di contadini dell’Appennino toscano, e poi, con la collaborazione di alcuni agricoltori della Bassa, ne ha riproposto in via sperimentale la coltivazione, ottenendo risultati lusinghieri in termini di resa e di qualità del prodotto. IL farro di San Paolo è tutelato dalla de.co. (denominazione comunale).
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Le mele di Leno
Da più di mezzo secolo a Leno esiste un grosso frutteto con oltre 20.000 piante di mele, pere e pesche, coltivato dalla famiglia Malleier, originaria della zona di Merano. Si tratta di una specie di oasi sudtiroleese nella bassa pianura bresciana. Le mele di Leno sono tutelate dalal de.co. (denominazione comunale).
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Il meleno
Il meleno è una confettura di mele a basso dosaggio di zucchero, chiamata impropriamente mousse per la sua cremosità. Viene prodotta Leno con la mela verde coltivata localmente. Ha il marchio de.co. (denominazione comunale).
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Gli altri prodotti tipici del Mantovano

La mostarda mantovana

La mostarda è il tipico accompagnamento dei bolliti misti della tradizione padana. In senso lato, la si può definire un condimento piccante costituito da frutta candita immersa in uno sciroppo di zucchero e insaporita da senape bianca. In Lombardia, tuttavia, si distinguono diverse tipologie di mostarda. Molto interessante è la mostarda mantovana, a base di mele cotogne o di mele campanine tagliate a fettine. La frutta, sbucciata e tagliata a fettine, viene lasciata riposare per 24 ore coperta di zucchero, poi si scola il liquido, lo si fa bollire, lo si versa sulle mele e si lascia riposare per altre 24 ore; quest'operazione va ripetuta tre volte, mentre il quarto giorno si fanno bollire assieme a lungo frutta e sciroppo, aggiungendo alcune gocce di senape liquida e lasciando poi riposare per qualche ora prima di inserire la mostrada in vasetti a chiusura ermetica. La mostarda mantovana accompagna i bolliti, ma costituisce anche uno degli ingredienti dei classici tortelli di zucca.
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Il chisöl
Il chisöl è una schiacciata morbida e grassa: a Mantova la si mangia a tutte le ore, come merenda. La ricetta prevede che agli usuali ingredienti del pane si aggiunga strutto in proporzione del 30 per cento della farina. L'impasto viene steso su una piastra e cotto in forno. Perfetto per accompagnare i salumi, talvolta il chisöl viene arricchito coi ciccioli di maiale.
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Il salame mantovano
Al taglio, il tipico salame mantovano, oggetto d'un presidio di Slow Food, si presenta d'un intenso color rosso fragola. La pasta è soda e morbida: la carne è tagliata a grana grossa. L'aroma dell'aglio è onnipresente (a volte, tuttavia, nell'impasto, invece che aglio tritato, si aggiunge vino aromatizzato con l'aglio).
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La sbrisolona
Impossibile fare una gita a Mantova senza assaggiare la sbrisolona, uno dei simboli gastronomici della città. Alta appena un paio di centimetri, è fatta di farina bianca e gialla, mandorle tritate, zucchero, strutto e tuorli d'uova, con l'aggiunta d'un po' di scorza grattugiata di limone e di vaniglia. Ha consistenza piuttosto dura, ma premendola al centro col pugno si sbriciola facilmente.
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La schiacciatina
La schiacciatina mantovana è un popolare snack rompidigiuno: insomma, un sostituto del panino imbottito. Era usata un tempo dai contadini che la consumavano al posto del pane durante i lavori in campagna. Si tratta di una focaccetta quadrata ottenuta impastando farina di grano tenero, acqua, sale e strutto. Quando l'impasto ha raggiunto la consistenza ottimale si lascia riposare e poi si taglia in pezzi quadrangolari di pochi millimetri di spessore e si cuoce per breve tempo. Viene in genere venduta in sacchetti. La ricetta risale al Rinascimento, anche se a quel tempo si realizzava in forme diverse e si cuoceva sotto la cenere.
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I tortelli di zucca
I tortelli di zucca sono tra i piatti di punta della tradizione gastronomica mantovana. La farcia viene realizzata con zucca cotta al forno, amaretti, mostarda e formaggio. Si trovano usualmente in vendita nei negozi di gastronomia. Chi invece preferisse gustarli al ristorante, ha solo l'imbarazzo della scelta: sono proposti da quasi tutte le trattorie mantovane.
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La pera tipica mantovana
La pera mantovana, tutelata dal marchio europeo igp, è ottenuta dalle varietà William, Max Red Bartlett, Conference, Decana Comizio, Abate Fetel e Kaiser. Le prime due presentano un pelle liscia, di colore giallo-rosato e a volte striato; la terza è verde-giallastra con rugginosità diffusa; la quarta è liscia, di colore verde chiaro-giallastro e rosa con rugginosità sparsa; la quinta ha epicarpo verde chiaro-giallastro e rugginosità intorno al peduncolo ed alla cavita calicina; l'ultima è ruvida e rugginosa. L'area di produzione comprende il territorio dell'Oltrepò Mantovano e del Viadanese.
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La cipolla di Sermide
In provincia di Mantova, la coltivazione della cipolla occupa un ruolo significativo nell'ambito delle produzioni ortofrutticole. La coltivazione riguarda in particolare i territori adiacenti al Po, soprattutto nella zona compresa tra i comuni di Carbonara di Po, Sermide e Felonica.
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La caciotta mantovana
Caciotte da consumare giovani: le produce a Bagnolo San Vito il caseificio L'albero del Latte. Oltre alla caciotta "sololatte", se ne trovano anche varietà aromatizzate con pepe, con rucola o con erba cipollina.
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Il pane mantovano
I pani tradizionali mantovani appartengono alla tradizione padana dei pani a pasta dura: nell'impasto viene mantenuto un basso tasso di umidità. Il baule mantovano viene prodotto formando con 'impasto (farina di grano tenero, acqua, lievito madre, sale), dopo la lievitazione, dei panini di circa 2 etti, tondi, con tagli e rigature centrali che fanno fuoriuscire una cresta: dopo un'ora di riposo si cuoce in forno. Variante del baule è la ricciolina (secca e croccante), arricchita con olio e strutto: viene realizzata a mano, arrotolando su se stessi, fino a formare un fiocco, due filoncini di pasta (la forma è simile a quella della coppietta ferrarese).
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La torta di tagliatelle
La torta di tagliatelle è uno dei dolci più noti del Mantovano. Secca e friabile, è a base di mandorle, burro e tagliatelle (o meglio: tagliolini), ottenute realizzando una sfoglia sottile impastando farina bianca, uova, liquore all'anice e zucchero. Comune anche alla Bassa emiliana, è conosciuta col nome dialettale di turta tajadlina. La si trova abbastanza comunemente nelle pasticcerie di Mantova.
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Il bussolano
Il busolan o bussolano è una ciambella morbida (ma può avere anche la forma di "esse") ottenuta con un impasto di farina di frumento, lievito, uova, burro, zucchero, vaniglia e altri aromi. Pesa in genere dai 6 agli 8 etti. Ha una crosta friabile di colore dorato, mentre profumo e sapore sono tipicamente burrosi. Non è difficile trovare il bussolano nelle pasticcerie mantovane.
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L'anello di Monaco
L'anello di Monaco è una saporita, ricca, dolce ciambella ricoperta di glassa, ripiena di mandorle, nocciole e liquore. Richiama in qualche modo il panettone. Pur portando un'intitolazione "esterofila", non ha nulla a che vedere con la pasticceria tedesca, ma è invece un dessert tipicamente mantovano, reperibile nelle migliori pasticcerie della città.
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La torta Elvezia
La torta Elvezia (o anche, più propriamente, Helvetia) è uno dei vanti della pasticceria mantovana. Venne creata pasticceri svizzeri grigioni (pare si trattasse della famiglia Putscher), che avevano aperto negozi a Mantova alla fine del Settecento. La torta si rifà comunque ad alcuni elementi classici della pasticceria mantovana.
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Gli agnolini
Gli agnolini sono la minestra principe della cucina mantovana, destinati ai riti gastronomici delle festività. Sono certamente parenti dei tortellini emiliani, ma da questi si differenziano per il ripieno, costituito da polpa di manzo, salamella, lonza di maiale, petto di pollo, fegatini di pollo, aglio, formaggio grana, pan grattato, uova, noce moscata, sale e pepe. Si cuociono e si servono nel brodo (è il classico sorbir d'agnoli), oppure anche realizzando il rustico bevr'in vin, aggiungendo al brodo, direttamente nel piatto o nella scodella, un bicchiere di lambrusco mantovano.
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Le greppole
Le greppole sono ciccioli di maiale aromatizzati. Durante la lavorazione del maiale, i residui (ossia ritagli di carne, cartilagine, grasso sottocutaneo) vengono riscaldati a vapore in vasche di rame con strutto fuso. Vengono quindi pressati, conditi con sale e altri aromi oppure con zucchero, e spezzettati a mano, sistemandoli infine in stampi a mo' di torta. Saporitissimi, si consumano come stuzzichini.
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La salamella mantovana
La salamella mantovana è una tipica salsiccia fresca di carni suine, in genere caratterizzata da un notevole sentore d'aglio. L'impasto è costituito da magro di spalla, grasso morbido di rifilatura di pancetta e prosciutto. Lunga circa 15 centimetri, con diametro attorno ai 4 centimetri, pesa dai 150 ai 200 grammi. Si vende freschissima e si consuma cotta ai ferri o in tegame.
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Il cotechino mantovano
Il cotechino mantovano si ricava dal muscolo dei quarti anteriori del maiale, dalla gola e dalle cotiche (le tre parti contribuiscono per un terzo ciascuna all'impasto). Il tutto viene insaporito con sale, pepe, chiodi di garofano, cannella e noce moscata.
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Il melone di Viadana
Pare che il territorio mantovano, e in particolare la zona attorno a Viadana, siano interessati dalla coltivazione del melone sin dalla fine del Quattrocento. Nel Mantovano, il melone viene coltivato sui fertili terreni della piana alluvionale del Po. A Viadana ha sede il concosrzio del melone tipico di Viadana.
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Il melone di Sermide
La zona del Sermidese è la prima, nell'arco dell'anno, a fornire meloni al mercato. A giugno si tiene a Sermide una Fiera nazionale del melone.
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Il melone di Gazoldo e Rodigo
Nella zona di Gazoldo e Rodigo si coltiva il melone della Postumia, l'ultimo, in ordine di tempo nell'arco dell'estate, ad uscire dal mercato, dopo il melone di Sermide e quello di Viadana.
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Il vialone nano mantovano
Nel mantovano il riso è coltivato sin dal Cinquecento, ma la più celebre e la più ampiamente diffusa tra le varietà di riso della provincia, il vialone nano, ha origine ben più recente. Nel 1901 i fratelli De Vecchi di Vialone, in provincia di Pavia, selezionarono il vialone nero, varietà diffusasi rapidamente nel Veronese, nel Rovigoto e quindi, appunto, nel Mantovano. Nel 1925 la Stazione sperimentale per la cerealicoltura di Vercelli incrociò il vialone con il nano, ottenendo un nuovo riso che manteneva le caratteristiche organolettiche del vialone, ma che si presentava più piccolo. Il vialone nano divenne gradualmente tipico del Mantovano.
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Gli altri prodotti tipici del Trentino

Il burro trentino
La produzione di burro appartiene a pieno titolo alla tradizione trentina. Fino alla fine degli anni Ottanta lo si lavorava presso i singoli caseifici cooperativi della provincia, dove la panna, ottenuta per affioramento, veniva zangolata: il prodotto finale era confezionato manualmente presso ciascun centro di produzione. Col 1992, a seguito dell'introduzione di nuove normative sulla produzione, la panna dei vari caseifici ha incominciato ad essere raccolta giornalmente per l'invio ad uno stabilimento centralizzato a Trento: quello della Trentingrana - Concast. È qui che ora si produce e si confeziona il burro trentino, confezionato in varie pezzature: dalle miniporzioni da 10 grammi destinate al settore alberghiero ai formati da due etti e mezzo e da mezzo chilo, tipici del consumo familiare, finendo coi pani dal peso di un chilo, utilizzati prevalentemente da pasticcerie e ristoranti.
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Il grana trentino
Il formaggio grana trentino, o meglio il Trentingrana, com'è chiamato oggi, rientra nella dop del grana padano, all'interno della quale ne è stata però riconosciuta la specificità, al punto dall'individuare un apposito marchietto che caratterizza le forme prodotte nella provincia. Viene confezionato in forme da 35 chili, che i vari caseifici della provincia fanno stagionare presso il magazzino del Centro operativo Trentingrana, a Taio.
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La grappa del Trentino
Il Trentino è una grande area vinicola: logico che nella provincia via sia pure una notevole tradizione in fatto di grappa, disponendo di una simile massa di vinacce di qualità da distillare. In terra trentina, in effetti, l'arte della distillazione raggiunge livelli considerevoli sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo. Le tecniche tradizionali sono state gradualmente affiancate da sistemi di lavorazione più moderni: è così che si ottiene un prodotto solido, ma al tempo stesso accattivante e moderno. E accanto alla produzione di grappa da vinacce ha fatto passi da gigante la distillazione della frutta: uva, albicocca e mela in particolare.
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Le mele della Val di Non
È il marchio Melinda a caratterizzare le mele prodotte nella Val di Non, nel Trentino. Fu alla fine degli anni Ottanta che i 5.200 soci di 16 cooperative delle Valli di Non e di Sole, per tutelare la loro produzione, formarono il consorzio Melinda, che ha sede a Cles. Il primo bollino riportava l'immagine di un'ape. Il logo definitivo venne poi disegnato da un'agenzia inglese, la Minale & Tattersfield. Quanto agli standard qualitativi, i soci del consorzio Melinda sono firmatari di un regolamento che indica le linee guida per la produzione. In zona, la tradizione frutticola è antica: risale al 1564 la regola della villa di Dardine con le prime normative sulla coltivazione. Oggi la superficie coltivata dai soci del consorzio si estende su 6.700 ettari. La produzione è rappresentata per quasi l'80 per cento dalla golden delicious, per il 10 per cento dalla renetta del Canada, per l'8-9 per cento dalla red delicious e per quote marginali da morgenduft, janagold, gala.
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Il puzzone di Moena
Un tempo in Val di Fassa lo chiamavano semplicemente Nostrano: è stato dagli anni Settanta che si è cominciato a identificarlo come puzzone per via di quel suo particolare, penetrante, tipicissimo aroma. Il puzzone di Moena, detto anche localmente spretz tzaorì in lingua ladina, è uno dei più interessanti prodotti caseari italiani, tra i pochissimi, tra l'altro, a poter essere classificati nella tipologia dei formaggi a crosta lavata. Durante la fase della stagionatura, che viene effettuata in ambienti molto umidi per almeno tre mesi (ma può prolungarsi fino ai 6 mesi e oltre), il formaggio viene infatti bagnato una o due volte la settimana con uno straccio imbevuto di acqua salata tiepida. Le forme, del peso di circa nove chili, hanno una crosta sottile e morbida, che con la lavatura si ricopre d'una patina untuosa di color nocciola che tende al rossastro. La pasta è morbida, di colore paglierino più o meno accentuato. Il puzzone prodotto col latte intero estivo delle vacche portate al pascolo nelle malghe di montagna è inserito nell'elenco dei presidi di Slow Food.
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Le susine di Dro
Il paesaggio di Dro, nella valle del Sarca, poco a nord del lago di Garda, è caratterizzato dall'imponente presenza delle cosiddette marocche, un gigantesco ammasso di macigni disseminati in questa zona dall'azione dei ghiacciai. Oltre che per questa sua curiosa caratteristica geologica, la località è notissima anche per una particolare produzione agricola tradizionale: quella delle susine. Il frutto, di forma elissoidale, ha un bel colore blu porpora, talvolta impreziosito da accattivanti sfumature argentee. La polpa è soda, consistente, pastosa, dolce e zuccherina.
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Le verdure della Val di Gresta
La Val di Gresta, nel Trentino, è una sorta di grande orto, votato alla produzione biologica o integrata. Esposta a meridione, la zona si avvale del benefico influsso del lago di Garda, distante solo pochi chilometri in linea d'aria. L'orticoltura qui è pratica antica: ne danno testimonianza i tanti muretti a secco che interrompono i versanti per delimitare i campi coltivati, sottratti alla montagna. Gli orti, a volte di piccola dimensione, sono disseminati fra i 250 e i 1400 metri d'altitudine. Fino agli anni Cinquanta si coltivavano soprattutto cavoli cappucci (per farci i crauti) e patate. Poi la produzione venne ampliata e diversificata e soprattutto le carote acquisirono particolare rilievo economico.
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Il vezzena
Una scaglia di formaggio vezzena, grasso, stagionato, piccante, è la fine pasto ideale di ogni pasto popolare che si rispetti in terra trentina (ma anche nel vicino territorio veronese, dov'era considerato il non plus ultra dopo una mangiata di polenta e baccalà). Era amatissimo peraltro anche in ambiti altolocati, se è vero che l'imperatore Francesco Giuseppe lo voleva in tavola. Le forme maturano mediamente almeno sei mesi, ma la stagionatura può arrivare fino ai due anni. Durante i primi novanta giorni sono sottoposte a una laboriosa lavorazione, che prevede di rivoltarle frequentemente (l'operazione è faticosa: ogni pezza pesa attorno ai dieci chili), ungendole con olio di cocco (il procedimento viene effettuato almeno una volta la settimana) e spazzolandole. Ottimo sia da pasto che da grattugia, lo si ricava da due parti di latte intero e una di latte parzialmente scremato. Ha crosta sottile paglierina che tende al bruno col procedere della stagionatura. La pasta è soda, anch'essa paglierina, intensa di sapore, col piccante che cresce sensibilmente con la stagionatura.
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I crauti della Val di Gresta
In Val di Gresta continua la tradizione della produzione dei crauti, ottenuti dai cavoli cappucci coltivati in zona. Un tempo erano esportati in Austria, dove costituivano merce di scambio con il sale delle miniere di salgemma di Salisburgo, fondamentale per la loro realizzazione.
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L'elisir Novasalus
L'elisir Novasalus (traducendo: l'elisir della nuova salute) è lo storico digestivo dell'Erboristeria Cappelletti di Aldeno, nel Trentino. Ad idearne la ricetta fu Giuseppe Cappelletti, nato nella seconda metà dell'Ottocento, che riuscì a combinare le antiche pratiche montanare dei decotti, degli infusi e dei macerati di piante officinali per ottenere questo liquore, considerato in zona un toccasana dopo un'abbondante mangiata.
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I marroni del Trentino
La tradizione castanicola trentina è notevole. Ottimi marroni si trovano nelle aree prossime al Garda: in particolare vantano una certa notorietà i marroni di Drena e di Castione.
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I probusti
In area tedesca ci sono i würstel, in Trentino si usano invece i probusti: di fatto, si tratta degli stessi salsicciotti di carne di maiale (oppure di manzo) tritata, salata, speziata e insaccata in budello naturale, cotto al forno e affumicato. Lo si gusta bollito o alla piastra, magari accompagnato con la senape o con i crauti.
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Lo zelten
Ogni regione ha il suo dolce natalizio: nell'Alto Adige e nel Trentino c'è lo zelten, un antico pane alla frutta. La pasta, che può essere bianca (nel Trentino) o nera (in Sudtirolo), è arricchita da fichi, mandorle, pinoli, canditi, uva passa, frutta secca.
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La torta di patate di Sporminore
La torta di patate della Val di Non è una torta salata di preparazione molto semplice. Occorre pelare a mano le patate bianche locali e poi grattugiarle crude con la grattugia a fori grossi. A questo punto si uniscono con farina e sale e si cuociono in una padella di rame, o in mancanza in una teglia antiaderente, con un filo d'olio. Se ne ricavano dei tortini salati croccanti alti un centimetro circa, da abbinare con speck, carne salà, faglioli borlotti, cipolle e verze. A Sporminore opera una Confraternita della torta di patate.
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La noce del Bleggio
Coltivata nella ristretta zona di Bleggio Inferiore, Bleggio Superiore, Fiavè, Lomaso e Stenico, la noce del Bleggio ha dimensioni medio-piccole e forma allungata, quasi rettangolare, con apice e base arrotondata. Il guscio è sottile e di facile rottura. Il gheriglio ha colore chiaro. La raccolta inizia nella seconda metà di settembre e viene eseguita a mano. Terminata la raccolta, si esegue un lavaggio delle noci con acqua corrente per passare poi all'essicazione naturale su graticci sistemati nelle soffitte ben aerate delle case contadine.
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Il fontàl
Il fontàl è un formaggio a pasta cruda, a latte intero, prodotto col latte proveniente da varie località del Trentino. Ha pasta compatta, morbida, di colore bianco o paglierino chiaro, occhiatura rada, tondeggiante, medio-grande, crosta liscia, elastica e sottile, forma cilindrica del diametro che può variare dai 34 ai 40 centimetri per un'altezza di 9-12 centimetri. Il peso della forma è variabile da 10 a 12 chili. In genere, è pronto per il consumo dopo 30 giorni. Il termine fontal è entrato in uso nel 1955 e deriva dalla contrazione dei due nomi Fontina ed Emmental. La produzione è iniziata in Val di Non presso una società produttrice di burro.
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La tosèla
Disponibile praticamente in tutto il territorio trentino (l'area di produzione comprende la Valle di Primiero, di dove pare sia originaria, la Bassa Val Sugana, la Val di Tesino, la zona del Massiccio del Lagorai, fino a Pinè) sconfinando poi in terra veneta (l'Altopiano di Asiago e parte del Bellunese), la tosèla è un formaggio vaccino a pasta fresca, cruda, compatta, molle, di colore bianco o paglierino chiaro. La forma è cilindrica o a parallelepipedo. Il peso varia da 1 a 5 chili. Solitamente, la ristorazione trentina la propone cotta, a fette alte circa un centimetro, che vengono rosolate a fuoco lento per 10-15 minuti nel burro (con un pizzico di sale) in padelle a fondo grosso coperte. La fettà di tosèla di serve quando ha assunto un color bruno dorato.
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Le ciuighe
Tipiche delle Giudicarie Esteriori, le ciuighe sono dei caratteristici e rari insaccati freschi di carni miste suine e bovine, alle quali vengono aggiunte le rape. Da consumarsi preferibilmente cotte, affettate, da sole o accompagnate ai crauti e alla polenta, le ciughe vengono prodotte dall'autunno fino a tutto marzo.
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La mortandèla
Tipica della Valsugana, la mortandèla è una specie di polpetta di carne suina piuttosto grassa, con una piccola percentuale di sottogola o guanciale e lingua di suino, fegato di suino fresco, sale, pepe, spezie miste e vino rosso o bianco in misura variabile. La carne viene macinata insieme al fegato. Si aggiungono poi spezie e vino, amalgamando il tutto a mano. Dopo aver ben lavato il retino di suino, lo si stende su un tagliere, si appoggiano le polpette di impasto a mo' di scacchiera, si taglia il retino a fazzoletti e vi si incartano le polpette chiudendo bene il tutto. Appena confezionate, le mortandèle vengono risposte su vassoi di legno, precedentemente cosparsi di farina gialla di media grossezza, per la conservazione in cella frigorifera.
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Lo speck trentino
Lo speck non è soltanto un prodotto altoatesino: un po' in tutta la provincia di Trento è infatti possibile trovarne buone produzioni, tratte dalla caratteristica rifilatura della coscia posteriore di maiale aromatizzata con sale, pepe e ginepro e quindi affumicata.
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Il miele trentino
Come ogni zona montana, anche il Trentino vanta ottime produzioni di miele. Le principali tipologie della zona sono quelle del miele millefiori, di acacia, di castagno, di rododendro, di tarassaco, di sottobosco e di melata di abete.
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I canèderli
Caratteristico piatto della tradizione trentina, i canèderli sono delle specie di gnocchi ottenuti impastando pane raffermo, latte, lucaniche, pancetta, prezzemolo, aglio, grana trentino, uova, sale, pepe, noce moscata e altri ingredienti. Sono facilmente reperibili presso numerosi negozi di gastronomia.
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Gli strangolapreti
Gli stragolapreti sono caratteristici gnocchi verdi trentini, ottenuti impastando pane raffermo, latte, spinaci (oppure coste), uova, grana trentino, farina bianca, cipolla, sale, pepe, noce moscata. Vengono cotti in acqua calda salata. Sono normalmente reperibili nei negozi di gastronomia.
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La lucanica
Prodotta un po' in tutto il Trentino, la lucanica è un insaccato a base di carne magra di maiale e di lardo in percentuale variabile. La carne, disossata, triturata a grana medio-grossa e impastata con l'aggiunta di sale, pepe macinato, aglio e altre spezie, viene insaccata in budelli naturali, legati ogni 10-15 centimetri fino a formare file lunghe un metro. Viene generalmente usata fresca.
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Gli spongadì
È ancora consuetudine nelle case e nei forni del Trentino preparare gli spongadì a forma di chiocciola, consumati tradizionalmente a Pasqua. L'impasto è di farina, latte, zucchero, burro, uova e scorza di limone. La pasta è compatta, simile alla pasta frolla.
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L'asparago di Zambana
L'asparago bianco di Zambana è tra le varietà più pregiate del comparto orticolo trentino. Le sue caratteristiche di delicatezza, tenerezza e assenza di fibra derivano dalle particolari condizioni del terreno e del clima e dalle tecniche di coltivazione.
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L'asparago trentino
L'asparagicoltura è diffusa nella provincia, oltre che a Zambana, nelle bassa Valdadige e Vallagarina, nell'Alto Garda e in Valsugana. Le prime notizie circa la coltivazione dell'asparago in Trentino risalgono ai primi anni dell'Ottocento. Lo sviluppo maggiore si ebbe intorno agli anni '60. Nella provincia opera l'associazione As.TA. (Asparagicoltori Trentini Associati).
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La carota della Val di Gresta
Tra le verdure della Val di Gresta, una delle più note è la carota, caratterizzata da una considerevole croccantezza, da un colore marcato e da un buon contenuto zuccherino e di b-carotene. Oggi viene coltivata quasi esclusiavmente secondo sistemi di produzione biologica. Le prime esperienze produttive risalgono a poco prima della seconda guerra mondiale, ma la vera diffusione colturale si è sviluppata negli anni Sessanta e Settanta. La carota costituisce in Val di Gresta anche la materia prima di un gradevole dolce: la torta di carote, facilmente reperibile in bar e ristoranti durante i fine settimana del mese di ottobre, quando in zona si svolge la festa delle verdure.
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La polenta di Storo
Il mais nostrano di Storo, da cui si trae un'eccellente farina da polenta, appartiene alla varietà Marani. Viene coltivato prevalentemente secondo i metodi dell'agricoltura biologica e macinato secondo metodi tradizionali.
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Il dolomiti
Il dolomiti è un formaggio vaccino a pasta cruda, tenero e dolce, a latte intero. È pronto per il consumo da pasto dopo 15 giorni. Viene prodotto da ormai vari decenni nei caseifici sociali diffusi nelle vallate alpine. La tecnologia produttiva è stata diffusa negli anni Trenta dagli allievi casari della scuola dell'Istituto Tecnico Agrario di S. Michele all'Adige.
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La spressa
La spressa è un formaggio tipico degli alpeggi, fragrante e leggermente amarognolo. Viene prodotta nelle Giudicarie e in Val Rendena. Il nome deriva probabilmente da stress, che significa massa spremuta: il latte subisce infatti numerosi processi di scrematura.
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