Valdadige: la Terra dei Forti

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I vini della Terra dei Forti
L'area di produzione veronese della doc Valdadige comprende Brentino Belluno, Dolcè e Rivoli Veronese, che, insieme con la località trentina di Avio costituiscono la sottozona Terra dei Forti, così chiamata per la presenza di numerose fortificazioni militari austriache ed italiane. Accanto alle tipologie del bianco e il rosso, dello Chardonnay, del Pinot bianco, del Pinot grigio e della Schiava, la sottozona prevede le specializzazioni per i vitigni Enantio, Cabernet franc, Cabernet sauvignon e Sauvignon.
Bentornato Foja Tonda!
L'articolo di Franco Ziliani apparso su Wine Report in cui si narra la "rinascita" del Foja Tonda, antico vitigno della Valdadige.

Quando il fiume trasforma i vigneti
Le «considerazioni storico-geografiche» di Giorgio Lucchini sulla Valdadige
Foja Tonda
di Franco Ziliani
Il mondo del vino è proprio bello perché è vario. C’è chi pensa che per far apparire più “importante” il proprio rosso sia indispensabile addizionarlo di Cabernet o di Merlot, c’è chi pensa che i problemi commerciali e d’immagine si risolvano ricorrendo ai servigi del top winemaker del momento, c’è chi stende tappetini rossi all’influente wine writer guidaiolo e c’è invece chi, più modestamente, leggendo i tuoi articoli, e trovando una certa consonanza con quello che scrivi, ti invita a visitare la sua azienda, se ti va, se hai tempo, per raccontarti e farti partecipe di un suo sogno.
Il mio incontro con Albino Armani, produttore attivo in quella porzione della Valdadige che appare quasi come una terra di nessuno “condannata” ad essere punto finale del Trentino e avvio di quel Veneto che guarda alla Valpolicella, è proprio nato così, dalla simpatica “spudoratezza” di un uomo, prima che di un vignaiolo, che prima di presentarti i suoi vini, le buone cose, in bianco e in rosso, che produce nella sua cantina di Dolcé, ha voluto, quasi sfogandosi, raccontarti l’utopia di riuscire a rendere quella “terra dei forti” (caratterizzata dalle fortificazioni che austriaci e italiani eressero a presidio della valle tra il 1848 e la fine del secolo) qualcosa di vivo e di avvertibile, un territorio dalle forti connotazioni non solo paesaggistiche, architettoniche e naturalistiche, ma un vero, riconoscibile terroir.
Per fare questo, per riuscire in questo tentativo di dare unità e visibilità ad una zona, la bassa Valdadige, che ha comunque un fascino non indifferente sia che si scenda da Rovereto sia che la si prenda da Affi senza imboccare l’autostrada del Brennero, Armani, quasi come un missionario, non ha risparmiato energie.
E’ riuscito a conglobare attorno ad un progetto un gruppo di produttori tra cui spiccano, in territorio trentino, Letrari, Cascina Ballarin, la Cantina Sociale di Avio, la Cadalora, Maso Roveri, in terra veronese, le Fraghe, ha fatto approvare la creazione della sottozona Terra dei Forti all’interno dell’ampia, troppo ampia e indistinta Doc Valdadige e, soprattutto, vincendo scetticismi, esitazioni, ironie, ha avuto la forza, in quel mare di Pinot grigio che anch’egli contribuisce a produrre e ad inviare nel mondo, di creare un’oasi, uno spazio al di là del mercato e delle mode che i signori della chiocciola, se fossero davvero attenti alla salvaguardia delle più autentiche tradizioni di una zona e non venissero distratti da altri interessi, avrebbero dovuto mettere sotto tutela e ufficialmente adottare.
Armani, difatti, in un mondo del vino che va verso la standardizzazione ed il testardo e commercialmente orientato basarsi su poche varietà (lo Chardonnay, il Sauvignon, il Cabernet ed il Merlot su cui lui stesso lavora, peraltro con ottimi, convincentissimi risultati, soprattutto nel Sauvignon Vigneto Campo Napoleone e nel rosso Corvara dove un 30% di Corvina serve a dare carattere), persegue la lucida follia di salvare dalla sparizione un vitigno che ufficialmente non c’è e non dovrebbe esistere, almeno secondo i repertori ufficiali che sanciscono quali varietà possano presenti in un dato territorio, autorizzate e raccomandate, e quali invece no.
Con un’operazione che con felice definizione l’amico Angelo Peretti ha chiamato di “archeologia del gusto”, Armani da alcuni anni va recuperando e riproponendo all’attenzione un vitigno, il cosiddetto foja tonda, di cui analisi ampelografiche e del DNA sanciscono la differenza, sia dall’Enanzio, presente nell’area di Avio, che dal vitigno toscano Foglia Tonda, e che studi approfonditi quinquennali effettuati presso l'Istituto Agrario di S.Michele all'Adige da ricercatori quali Stefanini e Tommasi hanno stabilito essere “una varietà del tutto a se stante, appartenente solo al territorio della Vallagarina meridionale e residente in quest'area da "sempre", addirittura, all’epoca dell'ultima glaciazione”. Una varietà imparentata con le vecchie viti “lambrusche” o “labrusche” che ci riportano ai primordi della viticoltura, alla vitis silvestris, alle vecchie viti prefillosseriche su piede franco.
Testardo come un mulo, capace di dare vita a convegni scientifici atti a richiamare l’attenzione su questo unicum viticolo, Armani, proprio di recente, assieme a Paolo Castelletti ha fatto partire la richiesta di reiscrizione della "nuova" varietà denominata Casetta, con i sinonimi di Foia Tonda o Maranela. Conoscendolo e apprezzando la sua tenacia siamo convinti che ce la potrà fare e arrivare al riconoscimento da parte del ministero della varietà in modo ufficiale forse già entro la vendemmia prossima o forse entro l'estate.
Non ci aspettiamo di certo che la riscoperta e la restituzione a piena dignità di questa varietà autoctona dalla buccia sottile che va trattata quasi come un Pinot nero e quindi con ogni delicatezza, possa cambiare il destino viticolo di quest’area ormai segnata dal dominio del Pinot grigio, ma considerati alcuni veri e propri “miracoli” già messi a segno, ovvero l’essere riusciti a coinvolgere in un progetto comune i sindaci del territorio che comprende Rivoli veronese, Brentino, Dolcé e Avio e a trovare un filo rosso tra Trentino e Alto Veneto nel nome del sud della Vallagarina, ci fa bene sperare.
Per chi vuole conoscere cosa possa essere oggi, nel pieno di un’era di merlotizzazione imperante, il profumo ed il sapore ed il fascino unico, quasi indescrivibile e arcano di un vino e di un vitigno che ufficialmente non esistono e che vengono da lontano e che danno la misura dell’antica tradizione vinicola di questa zona, il vino c’è e Albino Armani lo produce con l’amore, le cure instancabili, la passione mai doma, la fede e la sana follia che, forse, non riserverebbe nemmeno ad un grande cru di Borgogna o di Bordeaux, se la sorte lo portasse improvvisamente a diventare proprietario di un Montrachet o di un Clos.
Il vino, una Igt Vallagarina rosso, si chiama, e non poteva chiamarsi altrimenti, Foja tonda, e prima che arrivi definitivamente l’estate vi consigliamo di venirlo a provare direttamente in loco, in qualche trattoria caratteristica dove le influenze trentine si sposano con quelle veronesi in una cucina semplice e saporosa dove i formaggi come il Monte Veronese Dop d’allevo, gli asparagi, le lumache, la lucanica, le carni alla brace, la selvaggina, la magnifica polenta con farina di Storo, dettano legge.
Proviamo a descrivere dunque questo vino, convinti che solo l’assaggio diretto potrà rendervi il piacere di scoprire un prodotto uguale solo a se stesso, pieno di carattere, “zergo” lo definisce bene Veronelli intendendo sottolineare la sua “elegante rusticità”, apparentemente scontroso ma soprattutto schietto e orgoglioso d’essere unico ed inimitabile.
Colore rubino violaceo intenso, consistente, profondo, ma vivace, ricco di polpa, mostra subito al naso un carattere fruttoso / selvatico spiccato che ricorda la mora di rovo con un leggero accento speziato, la prugna matura ma non troppo, e soprattutto la fragola di bosco. Un vino, per dirla con un termine locale intraducibile, che “sa de freschin”, che ha mantenuto la vivezza, la naturalità, la terrosità dell’uva e del terreno su cui nasce, che è concentrato, ma soprattutto espressivo, un po’ ribelle e irriducibile ad una definizione. Così si conferma anche al gusto, con una bocca di bella consistenza, segnata da un frutto nitido e succoso, ancora vibrante, leggermente amaro sul fondo, piacevolmente tannico e molto sapido, dal carattere saldo, brusco, nervoso, saporito che sembra non concedersi interamente e preferisce farsi rincorrere come un folletto, mantenendo una certa lunghezza, persistenza e densità. Difficile, anzi impossibile, trovare un termine di paragone, anche se in qualcosa potrebbe ricordare un Marzemino, oppure un Refosco dal peduncolo rosso di quelli buoni, ma con una maggiore, prugnosa, terrosa, selvatica vivezza. In piemontese lo si potrebbe definire, ma dimenticatevi il vino, che non c’entra in alcun modo, un “arneis”, un tipo bizzarro, burbero, imprevedibile, scontroso, ma non cattivo. Sembrerebbe un limite, un elemento limitativo, ma se si ricorda che proprio le persone dotate di maggiore carattere e personalità hanno, inevitabilmente, un carattere non docile, che può pungere e forse incutere timore, ecco tracciato il migliore complimento per questo Foja tonda, orgoglioso e consapevole della propria unicità, ma pronto ad accogliere a braccia aperte l’amante di Bacco che sappia capirlo e diventargli amico, sorso dopo sorso.
Franco Ziliani - da "WineReport" 10 maggio 2001
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Considerazioni storico-geografiche sulla parte conclusiva della Valdadige (Ala, Avio - Chiusa Veneta e dintorni)

di Giorgio Lucchini
Il territorio compreso tra l'anfiteatro morenico di Rivoli Veronese e gli ultimi venti chilometri della Valdadige in lato Sud, fin dall'antichità fu di strategica importanza, perché interessato dalla via di transito tra il Nord Europa e la Padania. Consistentemente fortificato e difeso da castelli e da forti accolse due importantissime vie di comunicazione: l'Adige, navigabile dal mare fino a Bronzolo, borgo a sud di Bolzano, e la strada che percorreva il fondovalle: Claudia Augusta in epoca romana, via Imperiale nel basso Medio Evo, strada d' Alemagna nel sei-settecento., strada Postale Vecchia in epoche più vicine a noi. Partendo dai tempi più lontani e procedendo in ordine diacronico, le prime forme di difesa militare di cui restano tracce certe o di tipo archeologico o di tipo documentario o di entrambi, furono costruite sul monte Rocca di Rivoli (La Rocca), sulle pendici del monte Pastello a Dolcè ( el Casteleto), in località Magnon del Comune di Brentino-Belluno (Castel Presina), sul Montarion di Ossenigo ( Castello ) e nel territorio di Avio (Castello).

Le opere murarie consistevano in castelli, alcuni imponenti, altri meno e in torri di guardia; tutti edifici comunque posti sia a difesa di interessi territoriali ben precisi sia in funzione di controllo delle vie di comunicazione, già citate.
Vediamo brevemente quelli più vividi e significativi. Il fortilizio più importante, quello di Avio, costruito, molto probabilmente su un preesistente presidio romano tra i secoli XI e XIII, fu la principale dimora dei Castelbarco, la famiglia che ideò il progetto di controllo della valle e delle vie di comunicazione che la attraversavano.
Un caratteristico luogo fortificato era il Casteleto del paese di Dolcè, capoluogo comunale sulla sponda sinistra del fiume. Posto a 400 metri s.l.m., sopra l'abitato del paese, da recenti indagini sembra sia stato edificato agli inizi del secolo XI come luogo di rifugio per la popolazione locale in caso di pericolo e come custodia e deposito di granaglie nei momenti di difficoltà.
Non rimangono tracce murarie del castello d'Ossenigo, per altro ricordato nel materiale d'archivio perché tra il 1209 e il 1210 fu spettatore di alcune vicende politiche riguardanti il conflitto tra papato ed impero che coinvolsero il Marchese Azzo VI d'Este, la famiglia veronese dei Conti di San Bonifacio e l'imperatore Ottone IV.
Un caso del tutto particolare è quello della Presina. Gli storici locali lo hanno definito castello, non sapendo come altrimenti inquadrare una cavità naturale ampia, nella quale mano umana ha creato una serie di nicchie regolari utilizzate per sostenere un'imponente struttura lignea disposta a piani successivi. Recenti ricerche hanno ipotizzato però che non di un vero e proprio castello si sia trattato, ma piuttosto di un eremo frequentato tra i secoli XII e XIV.
La Rocca di Rivoli ha lasciato imponenti resti e tracce d'archivio consistenti e importanti. Elemento nodale di controllo militare della via dell'Adige, la fortificazione fu assediata e distrutta da Federico Barbarossa nella seconda metà del secolo XII.
Tra la fine del medioevo e l'inizio dell'età moderna, svolsero un basilare ruolo di sorveglianza e di dogana fluviale i due castelli della Chiusa e della Corvara o Crovara. Posti a pochi chilometri di distanza l'uno dall'altro sulle sponde contrapposte del fiume atesino, i due fortilizi agirono di concerto nel controllo delle imbarcazioni che scendevano o risalivano la corrente dell'Adige.
Conclusasi l'esperienza della dominazione veneta, la terra di fondovalle fu configurata in modo diverso per quel che riguarda la dislocazione di baluardi e di forti.
L'Austriaco Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona, dopo la sabauda campagna militare del 1848, su suggerimento tratto dalle riflessioni del maresciallo Radetzki, diede corso alla progettazione ed all'esecuzione delle costruzioni, ben quattro, che dominano e arginano l'imbocco Sud della valle dell'Adige, valle che, come già sostenuto, ha sempre costituito la più naturale, tradizionale e comoda via di penetrazione e di transito per i popoli nordici e per i loro eserciti. Dopo il 1866, le edificazioni passarono in mano italiana e furono inserite, non senza un opportuno lavoro d'adattamento ed ammodernamento, nel sistema difensivo denominato Linea delle Alpi.
E' convinzione che l'aspetto storico di un territorio, sia intimamente legato a quello geografico; ebbene, il vero elemento pregnante e qualificante della zona è stato ed è il fiume. L' Adige infatti, fin dai tempi più lontani ha impartito una specie di ritmo quasi musicale, a tutta la collocazione degli insediamenti umani e alla distribuzione dei suoli agrari che si alternano lungo il tratto vallivo.
Sono stati i meandri, creati e modellati dalla corrente del corso d'acqua, ad imbastire una specie di assioma, per cui ad ogni curva del fiume corrispondono due unità: un ben definito spazio agrario e un nucleo insediativo ad esso afferente; detto in altri termini: i vari cambi di direzione del corso d'acqua , limitati dalle pendici dei Lessini ad oriente e del Monte Baldo ad occidente, creano una sorta di micro-spazi al centro dei quali vi è un paese. La campagna circostante nel passato (oggi non più per le mutate condizioni economiche), era sufficiente per alimentare l'economia, basata esclusivamente sull'agricoltura di sussistenza, di ciascun insediamento antropico stesso. Ancora oggi è verificabile tale strutturazione geografica, anche se sta rapidamente scomparendo l'intelaiatura primaria, per cui ad ansa piccola corrispondeva paese piccolo, ad ansa grande faceva capo paese grande. Due esempi per chiarire adeguatamente il concetto: Avio è chiuso da un'ampia curva del fiume, ed il nucleo abitativo fu nel passato di una certa consistenza; analogamente, ma in forma esattamente contraria, Ceraino, dotato di un'ansa piccola, era ed è rimasto un borgo minuscolo.
Anche l'aspetto religioso, fu condizionato da tale alternanza: ogni paese corrisponde ad una parrocchia; la parrocchia è rappresentata da una chiesa, ed ogni chiesa effigia un elemento visibile del paesaggio.
In conclusione queste considerazioni vorrebbero porre l'attenzione sull'ordine con il quale si è articolato il territorio vallivo: insediamenti, campanili, campagne, fiume, anse, pendici dei monti differenziano gli elementi geografici e rendono la Valdadige una zona vivida, del tutto estranea all'idea di borgo diffuso, sinonimo dell'indeterminato, del vago e del geograficamente confuso, oggi assai comune in molte parti della nostra Regione..
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