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a cura di Mary Nicotra e Elena Vaccarino


 

01 ottobre 2003

LA LOTTA DI HAWA ADEN MOHAMED PER L'EMANCIPAZIONE E L'ISTRUZIONE DELLA DONNE IN SOMALIA di Elena Vaccarino

INTERVISTA AD HAWA ADEN MOHAMED DIRETTORE DEL CENTRO GECPD DI GALKAYO SOMALIA (PUNTLAND)
di Amalia Pavesi

 

Hawa Aden nasce a Baidoa in Somalia e a 10 anni non si era ancora mai seduta in un banco di scuola 

 


perché i lavori domestici la impegnavano tutto il giorno e per la sua famiglia e la sua comunità l'educazione e l'istruzione a una bambina non erano considerate importanti. 

Hawa comunque si rifà del tempo perduto e con l'aiuto economico di suo fratello riesce ad andare a scuola e a seguire gli studi fino alla laurea.
Da questo momento Hawa si dedica all'insegnamento e a molto altro ancora in favore delle donne.

Nell'agosto del 1999 fonda un nuovo Centro d'Istruzione Femminile per la Pace e lo Sviluppo (GECPD - Galkayo Educational Center for Peace and Development) a Galkayo nel Puntland in Somalia. Questo centro è l'ultimo di una serie che Hawa Aden fonda in favore di donne, ragazze e bambini. Per Hawa l'istruzione è un diritto fondamentale ed è tutta una vita che combatte per dare alle donne del suo paese questa opportunità costantemente negata. Negli anni '70 fonda ed organizza 42 centri d'educazione alla vita famigliare (Family Live Education Center) in 36 distretti, con 600 maestri/maestre e con più di 2000 studentesse tra donne e ragazze.
Ma ad Hawa questo non basta, infatti negli anni 80' lavora alacremente in favore di donne e bambini rifugiati, creando 16 centri di nutrizione in 6 regioni al Nord, al Sud, e nell'Ovest della Somalia.

Ma torniamo al Centro d'Istruzione Femminile per la Pace e lo Sviluppo(GECPD - Galkayo Educational Center for Peace and Development), ancora oggi esistente e molto attivo, che ha come obiettivi fondamentali quelli di proteggere il benessere fisico, psichico e sociale delle donne, rafforzando la capacità di cercare, difendere e promuovere il loro accesso a: l'educazione di base e servizi sanitari; l'aumento delle risorse economiche; la partecipazione all'attività politica; nonché promuovere la pace e la riconciliazione tra le comunità somale. Le attività del centro sono molteplici dall'alfabetizzazione (dove 3000 sono le donne e le ragazze che ne hanno preso parte) ai corsi di scuola regolari, all'educazione alla pace, all'educazione sanitaria tra cui un lavoro lento, ma incisivo contro le mutilazioni genitali femminili.

Nella tradizione somala i ragazzi sono favoriti rispetto alle ragazze nel ricevere cibo, nell'educazione, nella cura della salute e nel prendere decisioni in famiglia. La presenza delle ragazze è considerata temporanea perché loro sono destinate al matrimonio e quindi ai compiti della vita familiare in un'altra famiglia (quella del futuro marito). Il figlio maschio, invece, viene preparato a prendere il posto del padre nelle responsabilità familiari.
In molte famiglie, la priorità per le bambine è di stare in casa per i lavori domestici mentre i bambini si allenano in giochi da cui emergono le loro giovani rivalità.

Il Centro ha definito la scuola primaria come una parte importante del programma per le ragazze. Attualmente esse sono 200, di età compresa tra gli 8 e i 18 anni. Sono tutte ragazze che erano state escluse dalla scuola durante la guerra civile.
Assieme all'educazione primaria, alla lotta contro le Mutilazioni Genitali Femminili, all'educazione igienico-sanitaria, ai diritti delle donne, all'educazione civica e alla pace, nel loro programma di studi è incluso un percorso per raggiungere la consapevolezza dei propri diritti civili e sociali.

Nel programma è anche inclusa l'educazione alla pace e alla risoluzione dei conflitti tra i ragazzi. Infatti il Centro ha scoperto che, a causa della guerra civile e dei traumatici effetti su ragazzi e ragazze, spesso i ragazzi si comportano in maniera violenta e ostile con i loro coetanei nel vicinato e a scuola. Al Centro è spiegato come risolvere le loro differenze pacificamente e senza il ricorso alla violenza e all'orgoglio del Clan.
Nel Centro di Hawa Haden le attività vanno ben al di là del mero insegnamento scolastico come già si è accennato. Molto importante è anche il lavoro che si svolge per incidere anche politicamente nella società somala contribuendo allo sviluppo di diverse strutture comunitarie e lavorando con loro come: gruppo femminile per la rivendicazione dei diritti della donna; Gruppi di attività economiche delle donne; studio della Costituzione del Puntland e formazione delle donne a una possibile partecipazione al governo; gruppi giovanili che collaborano con il Centro nelle aree degli adolescenti: educazione, sport, lotta alla violenza contro le donne, pace; gruppi professionali, quali medici, maestre, infermiere, avvocati, politici e altri che fungono da istruttori nei corsi, dibatti e nelle dimostrazioni pratiche; dibattiti e supporto alla lotta contro la MGF.

Tutto questo preziosissimo lavoro che viene fatto dal Centro di Hawa Aden è il frutto di continue lotte per la sua esistenza, i fondamentalisti chiamano il centro "la scuola del diavolo", le ragazze che la frequentano spesso vengono aggredite per strada e bande di giovani assoldati da chi non vuole questa scuola, la assaltano distruggendo materiali ed altro. La stessa Hawa Aden è minacciata costantemente, ma lei non si arrende e pare che tutto questo la fortifichi ancora di più e la spinga ad ulteriori sfide per difendere i diritti delle donne e della loro emancipazione.

Elena Vaccarino


INTERVISTA AD HAWA ADEN DIRETTORE DEL CENTRO GECPD DI GALKAYO SOMALIA (PUNTLAND)

Parlaci un po' della tua vita da bambina.
Sono nata a Baidoa in una comunità conservatrice dedita prevalentemente all'agricoltura, dove l'educazione delle donne non è considerata importante. A 10 anni, non ero ancora andata a scuola perché ero sempre impegnata dai lavori domestici in casa. Mia madre è morta quando ero ancora in tenera età, anche una delle mie sorelle maggiori morì durante un'operazione di infibulazione quando aveva 7 anni. La sua morte mi lasciò dentro un sentimento di rifiuto e di profonda ripugnanza verso l'incivile pratica dell'infibulazione, anche se io stessa vi sono stata sottoposta contro la volontà di mio padre e a sua insaputa.

La tua vita scolastica?
La mia educazione scolastica non è stata regolare né sistematica, perché non avevo la possibilità di frequentare una scuola con continuità a causa del pesante carico di lavori domestici che avevo sulle spalle. D'altra parte né le famiglie né la comunità vedevano di buon occhio l'istruzione femminile. Per fortuna mio fratello maggiore si assunse la responsabilità di farmi studiare.
Dopo le elementari sono stata consigliata di frequentare la cosiddetta "Scuola Domestica" per donne. Le mogli di quella che era l'élite militare e politica di allora frequentavano questa scuola per imparare a cucinare all'occidentale, ed erano in competizione tra loro per preparare i piatti più gustosi e rinomati per gli ospiti più importanti. Saper cucinare, cucire, fare a maglia e ricamare serviva loro per trovare un buon marito. Per me è stata un'esperienza utile per la vita.
Dopo la Scuola Domestica mi sono iscritta all'Istituto Magistrale: dopo di quello, sempre con l'aiuto finanziario di mio fratello e con due borse di studio offertemi dall'India, mi sono iscritta a due università indiane per studiare Scienza Alimentare e Sviluppo dei Bambini (Udaipur Agricolture University e Agra University) dove ho studiato per 8 anni e conseguito la mia laurea (MSC).
Ho proseguito con un corso pratico di insegnamento per gli adulti nel centro studi per lo sviluppo (Center of Development Studies) all'università del Sussex in Inghilterra e poi ho seguito un corso di Educazione Sanitaria per le Comunità negli USA, all'università di San Diego.

Quali sono i maggiori interessi nella tua vita professionale?
Dopo gli studi mi sono dedicata all'insegnamento.
Come prima esperienza ho insegnato Economia Domestica (Home Economics) all'Istituto di Formazione per Insegnanti (Lafole Teacher Training College) a Lafole.
Ero molto scontenta del basso livello dell'Insegnamento Femminile e per l'alto numero di ragazze che lasciavano gli studi, nonché per la mancanza di qualsiasi programma per quelle che non avevano avuto la possibilità di frequentare la scuola elementare.
Insoddisfatta di tutto questo, chiesi al Ministero della Pubblica Istruzione di concedermi l'opportunità di realizzare, nelle strutture stesse del Ministero, un programma che ho chiamato Educazione alla Vita Famigliare (Family Life Education): il progetto prevedeva un programma di "Seconda Opportunità" per le ragazze che non hanno frequentato le elementari, 1'alfabetizzazione delle donne adulte, addestramento tecnico, educazione sanitaria (compreso l'MGF, corso contro la pratica della mutilazione genitale femminile), oltre a corsi di Produzione di Reddito, di parità di diritti per le donne, corsi di formazione per l'insegnamento non-formale. Tutto questo con l'aiuto delle organizzazioni internazionali (UNICEF, UNESCO, USAID, DANIDA).

In meno di 10 anni, a partire dal 1974, ho dato vita a 42 centri d'educazione alla vita famigliare (Family Live Education Center) in 36 distretti, con 600 maestri/maestre e con più di 2000 studentesse tra donne e ragazze.
Negli anni '80, anche per l'afflusso di moltissimi rifugiati di origine somala, ho lavorato senza posa per la causa delle donne e dei bambini rifugiati, creando 16 centri di nutrizione in 6 regioni al Nord, al Sud, e nell'Ovest della Somalia: per 500 donne e ragazze e 120 maestre.
Il Centro di Mogadiscio della Family Live, che poi divenne Istituto per l'Addestramento Donne d'Educazione non formale (Women's Training Institute for non-formal Education), ebbe molta attenzione e molti aiuti internazionali perché il programma era molto innovativo e molto vicino alle necessità della Comunità. Abbiamo preparato molte donne come maestre, dirigenti di comunità e sovrintendenti.
Per la prima volta le donne ebbero una visibilità nel settore educativo del ministero; il sostegno al movimento dei diritti della donne e la protesta contro 1'MGF (mutilazione genitale femminile) divennero problemi di pubblico interesse.
In questo processo sono riuscita a mandare molte maestre all'estero con borse di studio e molte altre ebbero la possibilità di partecipare a conferenze regionali e internazionali per venire a conoscenza di cosa si fa nel settore femminile nel resto del mondo.

Quali difficoltà hai incontrato nella tua missione?
Molte, e non facili da superare, e le delusioni più amare sono arrivate da dove meno me lo aspettavo, e cioè proprio dal Ministero della Pubblica istruzione.
Le cose sono andate così.
Durante il precedente governo somalo le attività del nostro Centro per le donne erano riuscite a diventare molto grandi e visibili, ed il Centro stesso era più fornito e attrezzato rispetto ad altri settori del Ministero. Avevamo molte automobili, equipaggiamenti moderni, materiale didattico di prim'ordine: il tutto fornitoci da generosi sostenitori internazionali che condividevano i nostri programmi e le nostre idee di difesa e di emancipazione femminile.
Sia al Centro (quartier generale) di Family Life a Mogadiscio sia in quelli periferici nelle aree rurali, le maestre e le altre collaboratrici godevano di incentivi e sussidi molto superiori a quelli di altro personale del Ministero e di tutti gli altri maestri. Questo perché il nostro programma per le donne era diventato popolare e attirava più aiuti, sia finanziari che di altro genere, dalle organizzazioni internazionali.
Molti burocrati del ministero erano perciò invidiosi e vedevano male la nostra causa. 
Per loro noi eravamo un gruppo di donne che facevano intrusione nel loro campo e che si appropriavano, secondo loro, di risorse che altrimenti si sarebbero potute destinare ad altri settori.
Quando fu nominato, il nuovo ministro cominciò subito col portar via alcune auto e altre dotazioni del Centro, revocò quindi il nostro status operativo indipendente. In pratica il Centro non aveva più la possibilità di lavorare liberamente e io fui trasferita al Ministero per lavorare lì.
Il nuovo Ministro, per mascherare i suoi intenti, mise in piedi un "ufficio" di una sola stanza con 3 sedie che chiamò Nuovo Dipartimento Donne, "Department of Women Directorate".
Allora ho capito che i miei obiettivi e quelli del nuovo ministro non coincidevano più e ho deciso di dare immediatamente le dimissioni dal servizio governativo e di continuare per la mia strada, cioè quella di dare alle donne una piattaforma indipendente per la risoluzione dei loro problemi.

Come si è sviluppata la tua carriera personale da indipendente?
Ho cominciato subito, nel 1987, a stabilire il primo NGO (Organizzazione Non-Governativa Indipendente) che ho chiamato "Affari Donne Somale" (Somali Women Concem). Gli obiettivi e i programmi di questa nuova organizzazione erano prevalentemente basate sull'istruzione delle donne e delle ragazze, sui diritti delle donne, sulla lotta contro l'infibulazione, sull'indipendenza economica delle donne.
La nostra attenzione era rivolta soprattutto alle donne che non avevano l'istruzione dopo le scuole secondarie. In collaborazione con il "Programma di Alleviamento della Povertà della Banca Mondiale (Mondial Bank's Poverty Allevation Program) nel 1998 ho realizzato a Mogadiscio un'attività produttiva di prodotti di vestiario commerciale che utilizzava come materia prima una stoffa prodotta in loco: in parte con un filato di quella regione, chiamato "banadiri" e in parte con una fibra sintetica.
Questo progetto era destinato a interessare le ragazze che non andavano più alle scuole secondarie e divenne subito molto popolare tra di loro perché il ricavato di tutto quello che cucivano e vendevano andava direttamente a loro. Speravo di estendere il programma in altre regioni ma la guerra civile ha distrutto questa speranza.

Che cosa hai fatto dopo lo scoppio della guerra civile in Somalia?
Allo scoppio della guerra sono dovuta scappare in Kenya e dì lì, nel 1992, in Canada, dove ho fatto parte di un'associazione di Toronto denominata "Women,s health in women's hands" (La salute delle donne in mano alle donne).
Ero coordinatrice del programma MGF per aiutare le donne somale rifugiate in Canada a capire il problema della mutilazione femminile, della cultura che lo genera, del trauma che ne segue e delle altre implicazioni sanitarie. Avevo ulteriormente sviluppato il programma dal punto di vista dei diritti delle donne e avevo fatto dei workshop per i provveditori e per la comunità: non solo quella somala ma anche sudanese, etiopica ed altre.
Come riconoscimento del mio lavoro ero stata una delle 10 donne ad aver ottenuto 1' "Ontario Women's Directorate Award on Women" nel 1995.
E in effetti avevo affrontato molte difficoltà per contribuire a diffondere l'idea che l'MGF è prima di tutto una questione di salute e un problema di violazione dei diritti delle donne.

Sappiamo che sei ritornata in Somalia. Cos'è successo?
Nel 1996 sono ritornata in Somalia con la speranza e la determinazione di portare un miglioramento nella vita di donne e bambini. Per cominciare ho dato vita a un centro di educazione per donne e ragazze a Kismayo, a Sud di Mogadiscio, dove la popolazione è costituita per 1'80% da rifugiati provenienti da altre regioni.
Un gruppo di donne somale in Canada, The Refugee Emergency Relief di Toronto, DR Barbara Fulford filantropa ed attivista femminile, il Global Found per le Donne, l'UNICEM e NOVIB mi hanno aiutata finanziariamente per realizzare il Centro per l'Istruzione delle ragazze e per l'addestramento professionale delle donne adulte: Girls educazional Center and Skill Training for Adult Women. Più di 450 ragazze e 800 donne hanno beneficiato di questo progetto fino al 1999, quando la città è stata presa e occupata da una milizia armata che aveva distrutto tutto dopo aver saccheggiato il nostro Centro e portato via attrezzature ed equipaggiamenti per un valore stimato di 80.000 dollari USA.
Io, per fortuna, sono stata salvata, soccorsa e poi fatta evacuare a Nairobi con l'aereo dei "Medici senza frontiere" belgi.
E' stata un'esperienza dolorosa e devastante.

Come hai fondato il GECPD e chi ti ha aiutata?
L'idea di starmene seduta a Nairobi senza far niente per me era scioccante, ma non avevo del tutto perso la speranza di fare ancora qualcosa di utile. Le donne che avevano sostenuto i miei progetti in Canada, 11 Paesi europei, e la comunità del Puntland nella diaspora avevano provveduto a un finanziamento iniziale per dare vita a Galkayo, nel nord-est della Somalia, a un nuovo centro di istruzione per donne.
Nell'agosto del 1999 avevo fondato il nuovo Centro d'Istruzione Femminile per la Pace e lo Sviluppo: (GECPD - Galkayo Educational Center for Peace and Development).
Molte organizzazioni come Refugee Emergency Found canadese, la Commissione Internazionale nord-est Milano, il Coordinamento Solidarietà Bonate Sotto, Novib, Diakonia, Global Found, Equalty Now, e molti altri amici e donatori avevano contribuito ad aiutarci.
La UNHCR ha dato un aiuto alla realizzazione del GECPD, che oggi è un Centro completo per donne e ragazze.
Ero molto orgogliosa del fatto che i miei sostenitori canadesi e Refugee Emergency Relief of Canada nel 2001 avevano proposto il mio nome per il premio "Women of Courage" organizzato dalla "Women' s Refugee and Children Commission" di New York.
Questo riconoscimento da parte delle donne americane aveva tenuto alto il mio morale e rivitalizzato le mie energie per raggiungere nuovi obiettivi di emancipazione e libertà per le donne Somale.

Puoi farci alcuni esempi delle maggiori difficoltà che hai incontrato e incontri tuttora?
Eccole. I fondamentalisti religiosi avevano attaccato i nostri programmi dicendo che erano "un progetto del diavolo" per deviare donne e ragazze dai loro ruoli tradizionali, inculcando loro idee sbagliate importate da altri paesi, come i diritti umani delle donne, la parità dei sessi, l'eliminazione del MGF (infibulazione), e portando degli stranieri nelle loro case.
I religiosi, nei loro sermoni, chiamavano il Centro "Scuola del diavolo".
Il Centro è continuamente attaccato da bande di ragazzi assoldati da chi non accetta la nostra attività. Personalmente io sono perseguitata dalla polizia, che spara nei nostri raduni pubblici per i diritti.
Le studentesse vengono aggredite per la strada e ci sono stati molti casi di abusi e violenze.
I conservatori ci accusano di diffondere idee e valori stranieri contrari alle tradizioni e ai ruoli delle donne somale.
A volte i burocrati locali mi chiedono soldi per proteggere il Centro e me personalmente. Queste minacce diventano sempre più frequenti anche perché non esiste un governo centrale per tutelare le persone e la proprietà..

Come vedi i risultati della tua missione? E perché lo fai?
A dispetto di tutte queste difficoltà che possono apparire insormontabili, io sono sempre più determinata ad affrontare le sfide, da qualsiasi parte provengano, per difendere i diritti delle donne.
Devo dire che non sento di aver ancora utilizzato del tutto le mie capacità per raggiungere il mio obiettivo finale, che è quello dell'emancipazione di donne e ragazze.
Voglio dare le stesse opportunità che ho avuto io a tutte le donne che non le hanno avute.
Io non so dove sarei oggi e che cosa avrei fatto della mia vita se non avessi avuto la possibilità di studiare e se qualcuno non mi avesse aiutato: a volte penso che sarei anch'io una delle tante donne analfabete che sopportano in silenzio ogni genere di ingiustizie e sono tenute in miseria e ignoranza.
Mi sento una di loro e capisco i loro problemi. Voglio ricambiare tutto quello che mi è stato dato e voglio che a beneficiarne siano migliaia di donne. Se ce l'ho fatta io, possono farcela anche loro.


 




 






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