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Ma quel giorno dovrà arrivare di Daniele Lo Monaco - Mar. 2000
Se sai che la squadra per la quale fai il tifo e in nome della quale hai immolato anche la tua storia professionale finalmente quest'anno è in grado di vincere qualcosa, non perché come pensano i profeti della ricetta facile è cambiato l'allenatore, ma perché ad un impianto già sperimentato per alti livelli ha innestato giocatori di assoluto valore; se poi la tua squadra effettivamente rende al meglio nella prima parte della stagione fino ad arrivare ai confini del sogno; se poi dal sogno più bello ti svegliano bruscamente una prima volta sotto Natale (sia mai passare le feste riposando sul morbido guanciale di un primo posto in classifica); se poi digerisci il panettone e ti rimetti presto in corsa e magari vai a giocarti il primato in casa della capolista, e la schianti, anche, nel primo tempo, ma non fai neanche in tempo a pregustarti il trionfale secondo tempo che prendi un gol assurdo (per una partita così importante) e poi vedi che la tua squadra si squaglia, in undici contro dieci; se pensi di abdicare per un attimo, cambiare mestiere e non tifare più, ma poi ti fai convincere dalla tua passione per il lavoro e quei colori, e ricominci a far calcoli su calcoli; se intanto c'è l'Uefa, e speri, e vai allo stadio a tifare, e vedi otto volte Montella-Totti-Delvecchio liberi davanti al portiere, ma il gol non arriva mai; se aspetti il ritorno "perché loro si dovranno sbilanciare e allora sì che si apriranno gli spazi" e invece non solo loro non si sbilanciano, ma tu continui a non segnare; se arriva il secondo tempo, e il cuore ricomincia a battere, e Kewell pare Birindelli per la maledetta traiettoria che riesce a trovare (lì: cross scivoloso, piede di Aldair, pallonetto perfetto e rete, con gloria a Inzaghi, chissà perché; qui scarto a sinistra su Tommasi, tiro secco diagonale da 25 metri, mano aperta di Antonioli, ma palla inspiegabilmente piegata sotto la traversa, interna naturalmente); se allora speri nel pareggio, "tanto comunque un gol andava segnato", e ci vai ancora vicino, ma in un modo o nell'altro la palla si ferma sempre sul muro invisibile che protegge Martyn; se vivi i quattro-minuti-quattro di recupero con la speranza che prima o poi anche tu potrai vivere un miracolo e invece non solo il miracolo non arriva, ma addirittura quei quattro minuti non li giochi perché i tuoi avversari ti provocano e prima Zago e poi Candela nella stessa azione si fanno notare dall'arbitro in atteggiamenti inconsulti e si beccano un rosso dopo l'altro; se quel maledetto triplice fischio arriva che ti sembra di non aver ancora cominciato a giocare e invece è tutto vero, sei ancora eliminato a marzo, un altro maledetto marzo di coppa. Se poi finita la partita ti aspettano le ultime cinque pagine della rivista, quelle dell'editoriale e del resoconto della coppa Uefa e ti viene da piangere; se pensi per un attimo di andartene a casa e dedicarti alle cose più belle della vita, una donna, un gatto, un prato, un libro; se vorresti scrivere di lasciar perdere tutto perché il corso della storia è questo e non lo cambi, come insegna la partita più bella mai giocata dalla Roma (quella allegata alla rivista in vhs, con lo Slavia Praga) in cui non sono bastati 23 tiri in porta di cui tre a buon fine e tutto a causa di un golletto incredibile rimediato dopo 115 minuti di gioco; se alla fine ti convinci, quasi, a mollare tutto. Ebbene è allora, è in questo esatto momento che devi cercare ancora nella sacca della passione: troverai lì l'ultimo brandello di cuore, naturalmente rossogiallo, che non smette di battere e non smetterà mai. Difendilo quel cuore: ti scalda in questi momenti gelidi, ti farà impazzire quando finalmente toccherà anche a noi esultare. E arriverà quel giorno. Giuro che arriverà.
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