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Attualità, cultura, eventi dal mondo delle donne
a cura di Mary Nicotra e Elena Vaccarino


 

15 dicembre 2003

LA LOTTA DELLE DONNE IN BRASILE di Valeria Giglioli 

 

Le donne brasiliane sono belle: sembrerà uno stereotipo, ma è vero.

 


La loro bellezza è frutto di quel fondersi di popoli ed etnie, europei, africani, indios, che i brasiliani chiamano mistura; purtroppo l'origine di tanto fascino affonda le sue radici nella violenza.
In Brasile lo stupro è stato adottato sistematicamente dai conquistatori europei come metodo di colonizzazione: il femminismo, inteso in senso ampio come di resistenza delle donne, esiste in Brasile dall'epoca dell'arrivo dei primi portoghesi.

Le prime grandi battaglie delle donne brasiliane si sono svolte nel Novecento e sono state quelle per l'educazione e per il voto. Nei primi decenni del xx secolo le ragazze iniziano a ricevere un'istruzione e all'inizio svolgono i propri studi in casa; nello stesso periodo cominciano a diffondersi pubblicazioni che hanno donne come autrici e destinatarie. 

Solo negli anni Settanta, però, le donne riescono ad accedere all'Università e oggi il loro numero è maggiore di quello dei maschi sia tra gli iscritti che tra i laureati. Nel 1932 invece, le donne votano per la prima volta in Brasile: questo avviene nello stato federale del Rio Grande do Norte, ma in poco tempo il diritto di voto sarà assicurato alle donne in tutto il paese.

La possibilità di votare, di esprimersi politicamente e di influenzare le scelte di governo aiuta le donne ad organizzarsi. Tra il 1950 e il 1960 compaiono le prime leghe femminili e negli anni Settanta si comincia a parlare di femminismo. Il movimento prende mossa dall'azione delle mogli degli intellettuali perseguitati e obbligati all'esilio nel periodo della dittatura: costrette a fuggire dal Brasile vengono in contatto con le idee che si diffondono in Europa e nell'America del Nord; i risultati della riflessione femminile innescata da questo confronto sono la demolizione progressiva dell'idea comunemente diffusa di ciò che una donna è o dovrebbe essere e la constatazione che nonostante tutto la politica non si occupa delle donne e che anche la democrazia non è sufficiente a trasformarle in soggetti di primo piano, attivi e protagonisti. 

A partire da questa consapevolezza il movimento si sviluppa in una pluralità di direzioni ed affronta un insieme vasto di problemi, tanto che oggi, in Brasile, si parla di feminismos, al plurale: ci sono tante organizzazioni che si occupano dei temi più sentiti nell'ambiente da cui provengono le donne che ne fanno parte; alcuni gruppi lavorano in ambito strettamente politico, altri in quello sindacale, altri ancora si battono per i diritti delle donne di colore e per quelli delle donne omosessuali. Ciascuna associazione ha finalità e attitudini diverse, ma esiste tra queste parti un dialogo costruttivo e il più importante degli obiettivi che i movimenti femministi si sono proposti di raggiungere è la formazione di una piattaforma femminista che formuli proposte politiche per le pari opportunità e la difesa dei diritti delle donne da proporre al governo.

Estelizabel ha 35 anni e lavora per Cunha, un collettivo femminista il cui nome significa "ragazza" in lingua guarani. L'ho incontrata a João Pessoa, la capitale della Paraìba, dove vive e svolge la sua attività. Ha gli occhi grandi e scuri, è sottile, slanciata e incredibilmente paziente. Io non parlo il portoghese, lei non conosce l'italiano, ma siamo riuscite a capirci senza troppi problemi, parlando lentamente e ripetendo un paio di volte i concetti più difficili. L'ho incontrata di sera, siamo andate a bere una birra in un chiosco del lungomare, era reduce da una giornata di lavoro con un gruppo di donne provenienti da fasce sociali disagiate, che fa capo alla chiesa del posto: l'incontro di quel giorno verteva sulle problematiche sessuali. 
Estelizabel mi ha spiegato che una delle questioni più importanti che le donne brasiliane hanno dovuto e ancora devono affrontare è quella della gestione della sessualità nei suoi aspetti più vari. In Brasile esiste una legge del 1940 secondo la quale l'interruzione di gravidanza è legale solo se la gestante rischia la vita portandola a termine o in caso di violenza sessuale. Negli anni Sessanta le donne brasiliane avevano in media otto figli ciascuna; negli anni Ottanta erano scesi a sei, ma il prezzo pagato era stato altissimo: la diminuzione era frutto di una massiccia campagna di sterilizzazione, in cui il 47% delle donne fertili in quel periodo era stata sottoposta. 

La risposta dei movimenti a questa situazione si è concretizzata nell'organizzazione di una campagna per la depenalizzazione dell'aborto (il 28 settembre si svolge una giornata di lotta in tutta l'America Latina e nel Caribe, per un totale di 22 paesi) e nello sviluppo di un programma di assistenza integrale alla salute delle donne (movimento sanitarista). 
Quest'ultimo progetto ha facilitato l'accesso ai contraccettivi e migliorato l'assistenza durante la gravidanza e il parto, ha dato vita ad una campagna di prevenzione del cancro al seno e all'utero e ha favorito la creazione di un comitato di vigilanza sulla mortalità materna e di consigli municipali e federali per la salute. Tutto questo è stato il frutto di un lavoro politico, ma anche delle attività autonome delle donne. 

Cunha si occupa da molto tempo di questi problemi: da un' idea di Estelizabel, nata per un seminario sulla comunicazione all'Università, si è sviluppato il programma Ninguém engravida sozinha (letteralmente: nessuna resta incinta da sola). La campagna, che mirava ad una maggiore responsabilizzazione sociale (in particolar modo maschile) rispetto alla gravidanza, ha ottenuto grande spazio nei media, grazie anche alla partecipazione di personaggi dello spettacolo, che hanno prestato i loro volti per spot e manifesti; in più è servita ad attenuare la percezione generale che i movimenti per la tutela dei diritti delle donne avessero a cuore solo la depenalizzazione dell'aborto.

Vera è una bella signora di 57 anni, che ha sposato un italiano e vive nel Pernambuco. Ha un sorriso disarmante e i suoi occhi esprimono una determinazione che poche volte mi è successo di notare in una persona. Da anni lavora con Viala Mukaji (resistenza femminile) Sociedade das Muhleres Negras. Vera mi spiega che i problemi delle donne povere in Brasile sono gli stessi che ci sono in Europa, ma con l'aggiunta di discriminazioni molto più pesanti, della fame e della violenza. Queste donne non hanno alcuna possibilità di studiare, lavorano moltissimo (anche sedici ore al giorno), spesso per provvedere al compagno e all'intera famiglia; non hanno spazi propri, né, assolutamente, occasioni di divertirsi o rilassarsi e subiscono molto spesso abusi fra le mura di casa.

Il tasso della violenza domestica è altissimo: uno degli obiettivi principali di Viala Mukaji è quello di modificare i costumi sociali, che sembrano considerare trascurabile questo fenomeno, e di cambiare la condizione di "invisibilità" in cui vivono molte donne, migliorando la percezione femminile del sé. Si tratta di fatto di proteggere la vita delle donne: nel Pernambuco da gennaio a settembre di quest'anno ne sono state uccise 120; molto spesso i colpevoli vengono assolti, grazie all'assistenza di avvocati ben pagati o all'interessamento di amici nella polizia, o riescono a fuggire all'estero. 

Vera sostiene che la vita delle donne che appartengono a classi sociali svantaggiate è un elemento irrilevante per il governo locale. Le aspettative di vita, le condizioni di lavoro e i salari delle donne di colore sono le peggiori del Brasile, in conseguenza della loro assoluta mancanza di peso all'interno della collettività; negli annunci di lavoro viene spesso specificato che è richiesta boa aparencia, ovvero che la candidata deve essere bianca. Lo scopo che i movimenti femminili si sono posti, riguardo a questo tipo di problematica, è riuscire a muoversi collettivamente per un maggiore inserimento delle donne di ogni fascia sociale nella cittadinanza e nella società; inoltre, in seguito alla nascita di una Convenzione Interamericana che ha come obiettivo la prevenzione, la punizione e lo sradicamento della violenza contro le donne, è stata avviata una campagna per ottenere l'inasprimento delle pene nel caso di omicidi la cui vittima sia di sesso femminile.

La situazione delle donne che non hanno problemi economici è diversa, ma ugualmente complessa.
Come ho già detto, la maggioranza degli iscritti all'Università e dei laureati è costituita da donne. Le donne investono più degli uomini nell'istruzione, che non è prerogativa esclusiva di quelle che non hanno problemi economici: molte ragazze studiano e contemporaneamente lavorano per poter continuare a studiare. 

Ho avuto occasione di entrare in contatto con la realtà universitaria brasiliana alla UFPB, l'Università della Paraìba, e ho potuto constatare che la presenza femminile è effettivamente massiccia: mi ha colpito molto il modo in cui le ragazze si vestono, per frequentare le lezioni; arrivano in aula inappuntabili, sui tacchi alti e con certi abiti eleganti che in Europa sarebbero considerati fuori luogo. Tutto questo si colloca nell'ambito di una delle ossessioni più diffuse tra le donne brasiliane senza problemi economici: la cura del corpo. 

In generale il corpo femminile è molto strumentalizzato e le donne si assoggettano a canoni estetici severi e irrealizzabili: già a Rio avevo notato la presenza di una quantità sconcertante di cliniche per la chirurgia plastica, studi dentistici e palestre; l'ideale di bellezza femminile è infatti un misto, impossibile in natura, tra la donna gostosa, (ovvero piena di curve, con il seno florido e il sedere sporgente) e quella magra ed efebica delle riviste internazionali. 

Raffaella (una ragazza italiana che vive a João Pessoa da qualche mese e che, oltre a lavorare per la Commissione Diritti Umani della UFPB, si occupa dei meninhos da rua) mi ha fatto notare che in ogni bagno pubblico c'è sempre anche la doccia: le ragazze arrivano al lavoro o all'Università con una borsa e si fanno il bagno a metà mattina, all'ora di pranzo e nell'intervallo pomeridiano, ogni volta lavandosi i capelli e ogni volta cambiandosi completamente d'abito. Anche le bambine di cui Raffaella si occupa in un centro di volontariato per l'infanzia si comportano in qualche modo così: non hanno sapone, alternano magliette bucate, ma si lavano e si cambiano almeno tre volte al giorno. Negli ultimi otto anni il consumo di shampoo è triplicato e i flaconi di Garnier o l'Oréal stanno diventando una sorta di status symbol: non è un caso che uno dei modi più diffusi di salutarsi sia "lasciati dare un'annusata", che, nell'intenzione, è l'equivalente del nostro "fatti guardare". 

Mi sembra notevole l'osservazione che Estelizabel ha fatto in conclusione della nostra chiacchierata: generalmente in Brasile le donne povere hanno problemi di salute fisica e di sopravvivenza, mentre quelle benestanti devono affrontare un forte disagio psicologico rispetto al proprio corpo e all'espressione della femminilità. Questo non toglie che le donne brasiliane che ho avuto modo di conoscere mi siano sembrate molto forti, oltre che assolutamente determinate a conquistare per sé e per il proprio genere spazi, diritti e opportunità, e a farlo senza cedere alla tentazione di uniformarsi a modelli maschili vincenti, come, al contrario, è avvenuto spesso in Europa e negli Stati Uniti. 

Gino è un ex sacerdote, che vive da quasi vent'anni a Salvador da Bahia; ha sposato una bahiana, Marisa, che ha grandi occhi scuri e un'andatura ipnotizzante, nonostante i suoi quasi 50 anni. Abitano e lavorano assieme in una favela e mi hanno raccontato molto della loro attività con gli abitanti di questi sobborghi poverissimi. A cena hanno scelto insieme un piatto e se lo sono diviso. Gino sostiene che le donne europee e nordamericane, che si chiudono nei loro abiti rigidi e "marciano, invece di camminare", non possono reggere il confronto con la vitalità esuberante e la grazia del passo leggero e danzante delle donne brasiliane. 

Valeria Giglioli


 


 




 






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