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Storia della Cartapesta | Il Restauro del Cristo di Confortino | Appendice |
Liberamente Tratto da "Il Cristo in Cartapesta" Tesi di Laurea di Gabriella Brigante
Relatore: Prof. W. Lambertini Correlatore Prof. A. Panzetta
Accademia di Belle Arti Bologna Indice
Il Restauro del Cristo
I Luoghi
Appendice
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La Cartapesta Leccese: origini e sviluppi
Grande rinomanza ha avuto ed ha tuttora l'artigianato della cartapesta salentina o leccese. Nessuno sa con precisione quando e chi iniziò a produrla per realizzare i primi manufatti. L'opera più antica giunta sino a noi, datata 1782 e firmata Pietro Surgente (1742-1827), detto “mesciu Pietru te li Cristi “ ( nomignolo affibbiatogli proprio per la sua attività), è un S. Lorenzo esposto a Lizzanello nell'antica chiesa intitolata al Santo.
In realtà, il problema non è quello di individuare quando e da chi furono portati a Lecce i primi oggetti o le prime statue in cartapesta, quanto delimitare i tempi e i modi della costituzione di una tecnica autonoma capace di produrre localmente e in modo continuo oggetti del genere. Si può ipotizzare che la cartapesta sia stata impiegata per la realizzazione degli “archi” eretti in onore della consorte di Ferrante Gonzaga, quando nel 1549 arrivò a Lecce, oppure nell'allestimento delle strutture effimere innalzate durante le innumerevoli feste e ricorrenze che scandivano con incredibile frequenza il tempo nella Lecce barocca. Ma, anche in questi casi non si ha ancora una “tecnica” autonoma. Possiamo tuttavia affermare che a livello di domanda sociale c'erano invece tutte le condizioni affinché una “tecnica” del genere si sviluppasse: tra le fine del XVI° e per tutto il XVII° secolo, infatti, la città diventa il centro del Mezzogiorno più ricco di insediamenti religiosi (naturalmente dopo Napoli). È immaginabile dunque l'esasperato aumento della richiesta del sacro non soltanto a livello di protezione psicologica ma anche e soprattutto nelle sue rappresentazioni visibili. . Questa situazione, ossia la “dipendenza artistica” da Napoli, l'assenza e la scarsità di oggetti in cartapesta, l'ancora più ovvia assenza di una relativa “tecnica”e di buona parte di tutte quelle tecniche che permettevano la realizzazione degli oggetti di arte minore in cera, stucco o gesso, vetro, avorio, corallo, ecc., sembra mutare a partire dal Settecento, anche se per tutto questo secolo la richiesta di statue lignee napoletane si mantenne sempre consistente.Anche a causa dell' “Interdetto” che dal 1711 al 1719 colpì l'intera diocesi leccese, il fenomeno dell'edilizia sacra si era notevolmente contratto, per cui la folla di maestranze composta da scultori e scalpellini cercava di articolare come meglio poteva la propria offerta professionale; non è un caso che per la prima volta ( siamo all'inizio del Settecento) Cesare Penna, “insignis sculptor” sia impiegato a realizzare opere di stucco. E' noto infatti che questi muore nel 1704 proprio mentre attendeva agli stucchi della volta della parrocchiale di Salve dopo, probabilmente, aver stuccato quelle delle navate minori della cattedrale di Lecce. Lo stesso Pietro Surgente veniva comunemente indicato sia come stuccatore che come statuario. D' altra parte, concettualmente e per alcuni aspetti pratici, la tecnica della cartapesta e dello stucco si somigliano: in entrambi i casi su un supporto informe, più strati di carta o di stucco sono impiegati per raggiungere progressivamente l'immagine voluta, sia essa una statua o un motivo decorativo.
L'esempio più clamoroso di questa affinità esecutiva e di risultati è la decorazione interna(1780 ca.) della chiesa leccese della Natività della Vergine, dove gli stucchi delle cornici, dei capitelli e dei festoni non si distinguono dalle statue in cartapesta poggiate sull'architrave, verniciate di bianco come se si trattassero di statue in gesso.
La straordinaria versatilità delle statue in cartapesta di prestarsi ad imitare materiali più nobili (argento, marmo, bronzo) sarà una delle cause del loro successo. Ma negli ultimi decenni del Settecento il fenomeno della cartapesta si era ormai consolidato grazie sia ai decisivi interventi dei primi decenni del secolo sia alla fama raggiunta finalmente dai mastri cartapistari napoletani che nella capitale, nello stesso periodo, realizzavano statue, macchine per feste, capitelli, trofei ”ad uso di stucco”, carri per il carnevale ecc. A Lecce, nel medesimo periodo, non pochi scultori e scalpellini si erano riciclati nella tecnica dello stucco, diventando, in tal modo, in fieri, cartapestai a tutti gli effetti.
Erroneamente si è a lungo pensato che il successo della cartapesta derivi dal suo basso costo; certo esso non poteva raggiungere quello delle statue lignee o marmoree dei più apprezzati artefici napoletani ,ma il costo della carta era, in quel tempo, particolarmente elevato. Questo successo deriva piuttosto da altri fattori: innanzitutto,all'origine, dall'essere un prodotto “alla moda”, versatile, di rapida esecuzione e, soprattutto, leggero. Quest'ultima caratteristica è alla base di una poco conosciuta realizzazione, molto importante, invece, per lo sviluppo della cartapesta leccese: il controsoffitto della chiesa di S.Chiara.
Il recente restauro ha documentato per la prima volta come questo vasto controsoffitto (300 mq) sia stato eseguito nel 1738, interamente in cartapesta e dipinto imitando il legno. Esso è costituito da uno strato di cartapesta, ottenuta dalla macerazione della carta e poi da fogli di carta di vario genere sovrapposti e legati tra loro con colla d'amido. La scoperta è importante, perché permette di poter finalmente parlare dell'esistenza di un autonoma e sviluppata tecnica leccese della cartapesta non limitata esclusivamente alla statuaria. La cronologia dell'opera permette di assegnarla al Manieri, poiché proprio per le sue caratteristiche, i suoi contenuti tecnici e la sua versatilità, egli era in grado di realizzare quei prodotti dell' “universo effimero”. Come complesso di elementi prefabbricati e montati “in situ”, il contosoffitto di S. Chiara ricorda da vicino un procedimento tipico del barocco leccese: l'uso, cioè, di elementi scultorei lapidei realizzati preventivamente nelle botteghe e, successivamente, “montati” nei cantieri. Per ritornare, invece, nel campo dell'effimero, carta, legno, spago e amido (come collante) sono elementi che compaiono nel già ricordato epistolario del Manieri; elementi che sicuramente furono utilizzati nel”carro trionfale”, che nel 1739 accompagnò per le vie di Lecce la nuova statua di S. Oronzo da issare sulla colonna della piazza a lui intitolata, e il cui “modello di creta cotta”, era stato fornito appunto dal Manieri. A lui toccò anche il compito di periziare, insieme con Serafino Elmo, l'arredo di palazzo Condò, dove c'era, tra l'altro, una “macchina di carta dell'Assunta con altri santi abbasso”. Non è, dunque,casuale, che, a partire dalla metà del secolo, negli inventari emergano sempre più spesso opere in cartapesta in sostituzione di quelle in legno. La diffusione della cartapesta, inoltre, si svolge parallelamente a quella di altri oggetti “alla moda”, in particolare delle “cineserie”, oggetti che, a partire dalla metà del secolo XVIII°, saranno alla base del decollo del rococò salentino. A metà del Settecento, perciò, la tecnica della cartapesta si era imposta e, ben prima di Pietro Surgente ,considerato il primo cartapestaio documentato, si era formata una generazione di artefici, che aveva già diffuso in provincia la cartapesta leccese ormai completamente autonoma dal modello napoletano. Che i cartapestai successivi continuassero ad orbitare comunque nel campo dell'effimero e dell' architettura, è testimoniato proprio dal Surgente, il quale , in una dichiarazione del 1782, coeva alla statua di S. Lorenzo, sopra citata, si definisce “stucchiatore dimorante in Lecce”. Nel corso del restauro di una Madonna delle Grazie sono state rinvenute due lettere datate 1799 con le quali tal G. Mazzeo di Ugento , nel confermare e sollecitare al Surgente la fattura di una statua dell' Addolorata, prometteva allo stesso ulteriori incarichi.
Un soggetto come quello dell' Addolorata rievoca immediatamente lo sviluppo di nuove forme di ritualità religiosa apparsa nella seconda metà del '700, quasi sempre legate alle Confraternite, che, nelle cerimonie processionali della Settimana Santa, raggiungevano forme di complessità mai viste, specialmente in ordine all'esibizione dei Misteri della Passione.
Gli sviluppi successivi della cartapesta ottocentesca potrebbero essere agevolmente seguiti attraverso le biografie dei suoi protagonisti, pervenuti ,nella seconda metà del secolo, ad una fama che, spesso, varcò i confini nazionali. Come ad esempio, Antonio Maccagnani (1809-1892) e Achille De Lucrezi (1827-1913). Ma non si creda che gli aspetti problematici siano esauriti. Scorre, in tutta la vicenda tardottocentesca della cartapesta, un senso di continua sottovalutazione. Infatti, mentre fuori provincia questa “industria” risultava essere la produzione leccese più acclamata, riscuotendo in tutte le “Esposizioni” nazionali e internazionali medaglie d'oro, d'argento, di bronzo e diplomi d'onore, localmente si guarda ad essa con una certa sufficienza se non ostilità, dimostrando di non saperne valutare le potenzialità economico-occupazionali. Ciò portò ad una compressione artificiosa del settore che, nell' assenza di un adeguato sostegno del settore pubblico, non riuscì quasi mai ad avere una solida base, per quanto per decenni fosse una delle principali risorse produttive di Lecce e senz'altro l'unica produzione locale presente sui mercati esteri. Per il moltiplicarsi delle missioni cattoliche sul finir del secolo diciannovesimo, che elevarono di molto il numero delle chiese, e per il successo delle statue di cartapesta, i cartapestai leccesi cominciarono a moltiplicarsi a vista d'occhio e con essi le loro “botteghe”, tanto che alla morte del De Lucrezi erano circa un centinaio gli artisti e gli artigiani che vi operavano.
Alcuni cartapestai modellavano ciascuno secondo una intuizione o un gusto personali, realizzando, in tal modo, produzioni uniche. Ma i più non riuscivano a spogliarsi “della impressione primitiva” e nelle loro statue era facile “scorgere sempre gli stessi colori, le stesse forme stereotipate, le stesse pieghe del manto della Madonna, i Cristi sempre con le palme delle mani aperte, alle volte ricoperti con la stessa vernice lucida, la barba elegantemente arricciata, i capelli diligentemente pettinati e cadenti in anella come in una spuma bionda su gli omeri” 5.
Molte delle nuove “botteghe”erano state messe su da Barbieri, ex modellatore di “pupi” in creta per il presepe , anche perché l'attività di cartapestaio in quell'epoca rendeva guadagni molto significativi. Ciò determinò il lento decadimento dell' “artigianato artistico” iniziale del Surgente, del Maccagnani, del De Lucrezi e del De Pascalis; e dette iniziò all' ultimo periodo della cartapesta leccese, che puo essere definito dell'”arte industriale”, durante il quale Guacci, Manzo, Carretta, combatterono tra loro la dura battaglia concorrenziale, per la divulgazione del proprio prodotto, battaglia che durò fino all'ottobre 1934 quando si concluse con un formale e temporaneo armistizio. In quel mese, infatti, essi furono solidali con i loro rappresentanti alla “Seconda Settimana di Arte Sacra per il Clero” (in Roma dal 7 al 14 ottobre ), durante la quale le loro statue furono oggetto di un'aspra polemica diffamatoria che ancora oggi le perseguita, malgrado la Commissione Pontificia per l'Arte Sacra non le abbia messe al bando. Fu una battaglia combattuta con cataloghi illustrati delle opere più riuscite e più note, inserzioni pubblicitarie, pezzi giornalistici di favore, esposizione dell'opera più recente nelle vetrine dei negozi cittadini6; doni al Papa a alle alte gerarchie della Chiesa e dello Stato, visite di illustri personaggi nella propria “bottega” ribattezzata “laboratorio” perché gremita d' apprendisti 7.
In questo periodo la statuaria sacra subì anche degli attacchi da parte di intellettuali che criticavano aspramente una produzione, a loro dire, “ priva di qualunque criterio artistico”.I critici tra cui Giovanni Papini(1881-1956) confondevano, però la cartapesta leccese con la tecnica del cartone romano, il cui spessore artistico-artigianale era di gran lunga inferiore. Nel 1932 la rivista “Arte Sacra” di Roma svolse un' inchiesta sulle condizioni dell'arte sacra. Papini rispose con una pubblicazione(1932) in cui esprimeva un parere estremamente negativo sulla cartapesta leccese e non solo: ”...Finché non avremo raso al suolo le manifatture che a Lecce ed altrove fabbricano le sacrileghe statuette di cartone romano, non avremo diritto di parlare di una rinascita dell'arte sacra italiana”8.
Enzo Rossi 9 , ,in una serie di articoli che raccontavano la storia della cartapesta leccese, così gli rispondeva:” ... Se Papini avesse visitato la “bottega” di uno statuario leccese (ci risulta che non lo abbia mai fatto), non avrebbe legato tutte le erbe ad un fascio...”. Infatti non avrebbe equivocato, scambiando la tecnica del cartone romano con la creativa tecnica della cartapesta.
Negli anni 1939-1940, con lo scoppio della II guerra mondiale, la crisi del settore divenne insostenibile e nel periodo immediatamente successivo numerosi laboratori cessarono la loro attività. A Lecce, negli ultimi anni, un po' come avvenne sul finire dell' '800, vi è stato un crescendo di inaugurazioni di nuove botteghe per la lavorazione e la vendita di manufatti in cartapesta Certo, sono pochissime quelle in cui si modellano statue sacre di una certa grandezza ed in cui si eseguono anche restauri. Nella maggior parte di esse, infatti,si producono natività, pastori per il presepe, altre raffigurazioni di piccole dimensioni ed oggetti di vario tipo :bambole, maschere, fiori ecc.,che permettono un guadagno più immediato. Nella provincia le raffigurazioni sacre di cartapesta sono diverse centinaia e rappresentano un patrimonio artistico-artigianale e culturale da salvaguardare e da recuperare.
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Ultimo Aggiornamento: 22/05/08.