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Storia della Cartapesta | Il Restauro del Cristo di Confortino | Appendice |
Liberamente Tratto da "Il Cristo in Cartapesta" Tesi di Laurea di Gabriella Brigante
Relatore: Prof. W. Lambertini Correlatore Prof. A. Panzetta
Accademia di Belle Arti Bologna Indice
Il Restauro del Cristo
I Luoghi
Appendice
Metodi di Pulitura
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L'ARTE DELLA CARTAPESTA A BOLOGNA E IN EMILIA ROMAGNA
L'oggetto di cartapesta, soprattutto quello di carattere devozionale e sacro, che è senza dubbio il preponderante di questa tecnica, ha una sua peculiarità che lo distingue dagli altri prodotti artistici di uguale soggetto, poiché possiede una sorta di impalpabile ambiguità tra sostanza ed apparenza, tra ricchezza espressiva e povertà materiale che lo fa apparire, non a torto, prodotto temporaneo, instabile e di fragile leggerezza. La natura stessa della cartapesta, difatti, è legata all'opera di poco costo, di rapida esecuzione e di non lunga durata: la maggiore fortuna di tale tecnica, come si sa, è dovuta alle realizzazioni di grandi e piccoli apparati celebrativi (religiosi e civili) a macchine sceniche ed allegoriche di immediata ed efficace eloquenza.
In tutta l'epoca barocca è un fiorire rigogliosissimo di lavori effimeri in materiale povero: chiese, palazzi, piazze, giardini, teatri vedono operare squadre di artisti: architetti, scenografi, scultori, pittori, che, con legno, cartone, paglia, stracci, stoppa, colla e gesso, creano ricche composizioni destinate, nell'arco di breve tempo, ad essere consumate. La Chiesa e la devozione pubblica chiedono, soprattutto in epoca post-tridentina, con sempre più frequenza opere scultoree, pregevoli artisticamente, espressive negli “effetti”, ma anche facilmente trasportabili dagli altari per essere portate in processione. Scultori di ogni calibro creano originali o prototipi di immagini in cartapesta per la richiesta devota pubblica e privata. In Emilia, statuari quali Angelo e Domenico Piò, Filippo Scandellari, Luigi Dardani o, a livello quasi industriale, i Graziani di Faenza, soddisfano numerosissime richieste con lavori di elevato valore plastico e intensa espressività.
Chiesa dei Servi, Pietà in cartapesta, (Autore ignoto) XVII sec. Bologna.
La statuaria chiesistica, avvalendosi anche di artisti e artigiani di più modesta statura, si arricchisce di opere singole, gruppi, alti e bassi rilievi fino a tutto l'Ottocento, grazie a centri specializzati di produzione in Lombardia, Veneto, Emilia, Romagna, Roma, Napoli e, con caratteri ormai autonomi, a Lecce. Il livello artistico di molta di questa produzione, anche se corale e a volte semi industriale, si presenta generalmente sostenuto e dignitoso, adeguandosi con facilità ai canoni artistici, espressivi e alle tematiche religiose del tempo.
Il materiale povero non diviene quindi sinonimo di prodotto modesto in senso figurativo come altri prodotti popolari plastici; la cartapesta fino dall'inizio, si afferma come tecnica che permette la rapida esecuzione di idee e di temi in forma molto “degna” e di grande efficacia iconografica a costi relativamente contenuti. Inoltre, soprattutto per gli oggetti di formato minore, per lo più destinati all'uso privato, l'artigianato artistico di questo settore favorisce la diffusione, a livello quasi popolare, di immagini realizzate da artisti di buona mano. Anche se in numero esiguo, ci sono pervenute targhe di soggetto religioso sei-settecentesche i cui schemi, modi e sensibilità sono riconducibili a iconografie classico-rinascimentali d'area toscana o settentrionale. Ciò sta a segnalare un lungo persistere di interesse per certe iconografie devote, favorite da un naturale attardarsi a un documentabile uso ripetitivo di calchi eseguiti su antiche opere. La fragilità della cartapesta, la evoluzione nella devozione e nell'uso delle immagini nel culto della chiesa, specie dopo il Concilio Vaticano II, il cambiamento rapido di sensibilità estetica e, non da ultima, la scarsa considerazione legata ad un materiale povero e degradabile, sono stati i motivi prevalenti della dispersione e dell' incuria per un patrimonio storico, artistico e religioso meritevole invece di ben maggiore attenzione e cura. Una ricerca di studio, per l'esame estetico delle opere, è opportuno iniziarla a Bologna e nel suo territorio, poiché le realizzazioni più significative è possibile visionarle in tale città, dove la cartapesta risulta adottata, come materia povera, duttile e leggera, alternativa alla scaiola stoffata o stoffa scaiola dagli artefici del “barocchetto” locale, per modellare, supportata da legno, terracotta e altri materiali, decorazioni varie e per realizzare statue ed apparati, sia sacri che profani, Molte delle statue modellate a Bologna per gli “apparati” dell'epoca barocca non sono sopravvissute, perché sono state considerate di poco pregio, essendo state modellate alla svelta, spesso in gruppo o con aiuti vari, perché predestinate a un uso effimero, come decoro e ornamento di banchetti e catafalchi e concepite per “apparare” e per “fingere” sontuosità e religiosità. Sopravvivono soltanto le stampe dell'epoca, che ce le illustrano e che ci consentono di esaminarle e giudicarle, visionandole presso la Biblioteca dell'Archiginnasio (Raccolta Gozzadini). Non mancano le relazioni scritte che descrivono tali “apparati”. Esemplare quella scritta per un Sepolcro in San Biagio del 1729.
Nel Foglio 52 si può leggere: Dell'anno 1745 li 5 aprile fu terminata la statua di M.V. Addolorata quale presentemente si venera nella nostra chiesa; fu fatta dal Sig. Angelo Piò bolognese, scultore il più gravo de' tempi presenti: Addì 1° maggio dell'anno suddetto fu collocata nella nicchia solita dell'altare alla medesima B.V.
Addolorata dedicato a perpetua di Lei adorazione e nell'anno 1746 fu portata in pubblica processione nella Domenica di Passione. Per la suddetta statua furono pagate al suddetto sig. Angelo Piò lire 300 e gli furono e gli furono date di più lire 7 per puro regalo. Quasi tutti i cartapestai hanno modellato anche statue in gesso o argilla, qualcuno le ha scolpite anche nel marmo.
Cartapesta emiliana: precedenti nel Rinascimento Il Vasari accredita a Iacopo della Quercia, all'età di appena 19 anni, la prima statua provvisoria, quando allestì con mezzi poveri una statua equestre per il condottiero Giovanni Azzo degli Ubaldini (venuto a morte all'improvviso nel corso della guerra contro Firenze, nel 1390), collocata nel duomo di Siena, a coronamento del catafalco. La devozione della Vergine si era diffusa negli strati popolari quando le icone, perdendo in ieraticità, misero in risalto la relazione umana tra madre e figlio; aumentò, così, la richiesta “privata” di immagini. Il santo vescovo di Firenze, fra' Giovanni Dominici (1357-1419) ne fu il solerte “testimonial”, raccomandando, nel trattato “Regole del governo di cura famigliare”, la diffusione di immagini nelle casa, affinché i fanciulli e le madri potessero vedere modelli da venerare e da imitare. Ciò alimentò sia la produzione dozzinale e a buon mercato dei “Madonnari”; sia, in parallelo, l' impegno di grandi maestri, quali Ghiberti e Luca della Robbia che, nelle loro botteghe; fecero esperimenti per riprodurre rilievi, con la terra e lo stucco, per un mercato medio-alto.
Le molte copie pervenute testimoniano la popolarità di tali opere “artigianali”, che furono prodotte successivamente anche da Desiderio da Settignano, dai fratelli Rossellino, dal Verrocchio, nella bottega di Neroccio de' Landi, in quella di Donatello e dei suoi seguaci, mentre i fratelli Rossellino, nella loro bottega a Firenze avevano prodotto bassorilievi su tavola, impiegando pasta di carta.
Alcuni di questi bassorilievi sono policromi, imitano il marmo o la pietra, per cui spesso furono catalogati come lapidei o di “stucco romano”, ingannando critici e conservatori di collezioni. Al perfetto mimetismo e ai pochi esemplari pervenuti si deve dal Rinascimento in poi, la scarsa bibliografia sulla cartapesta.
Anche per la facciata del Duomo di Firenze la cartapesta si usò per le parti importanti: le teste, le mani e i particolari minuti, come farà poi la statuaria devozionale. Il resto della statua si fabbricò modellando teli di juta o cotone, imbevuti in un bagno di colla forte bollente, su manichini di legno e paglia. Le pieghe e i drappeggi irrigidivano col freddo. I grandi fogli di carta per le statue effimere dei catafalchi arriveranno in epoca successiva, quando la tecnica cartaria ( le macchine “olandesi”) permetterà la produzione del grande formato e del nastro di carta praticamente continuo. La statua asciutta si pennellava con una tempera di gesso e biacca. Poi, levigata, la si lasciava bianca, sulla imitazione del “classico”, o la si dipingeva.
coprendo con essa cartapesta ben tenera e molle la superficie incavata della forma, poi comprimendola con una spugna delicata per trarne l'acqua, lasciando la cartapesta in grossezza di quattro fogli o più, secondo la proporzione della cosa da formarsi; come sia secca, si soppanna essa cartapesta con rottami di panno lino, i quali con l'aiuto di un pennello di setola s'appiccicano con pasta ( intendevano quella di farina di grano), mettendola a seccare al sole o al fuoco;poi si cava dalla forma, se ne tolgono con cesoie le superfluità, si commettono le parti con pasta e colla, per formare il tutto; poi se le dà sopra una mano di pece greca, che alla fiamma del fuoco si fa penetrar dentro alla cosa formata, per renderla soda;si pulisce, e poi come se fusse di legno d'altra materia, s'ingessa, si dipigne, s'indora, o altro si fa, che si voglia”. Successivamente, sono stati messi a punto processi di lavorazione personali, sperimentando misture, collanti e antiparassitari, rendendo l'opera finita idrorepellente e ignifuga, oltre che, con accorgimenti ingegnosi, resistente e indeformabile. La cartapesta si usava anche per le maschere carnevalesche e teatrali, che a Venezia si producevano anche di ceramica. I bolognesi Angelo Piò e Filippo Scandellari l'applicarono alla statuaria per le chiese, seguendo la tecnica che il Sansovino aveva impiegato nei bassorilievi: un sottile strato sullo stampo ( le forme sono suddivise in pochi segmenti) e le cavità rinforzate all'interno con tele incollate. Colui che dette inizio alla bottega faentina della cartapesta per fabbricare statue non effimere, ma realizzate per durare nei secoli, fu Ballanti-Graziani, in collaborazione con il figlio Giovan Battista. Dei Ballanti, nel collegio Emiliani, a Fognano, c'è un gruppo di Maria col Bambino fra due santi domenicani, modellato con spesse carte incollate, gessate, quindi, dipinte; è uno degli esemplari presenti in Romagna e, per gli atteggiamenti e per i profili che la caratterizzano, sembra essere di scuola bolognese.
1.1 Per durare nei secoli: La pece greca Il segreto della durevolezza di questi manufatti è un'antica resina, la pece greca, detta anche colofonia, perché a Colofone, nella Lidia, i Greci vi producevano la più rinomata. È il residuo solido della distillazione di varie resine : pino, larice, abete, pino mugo, ecc.., da cui si ricava anche l'essenza di trementina. Si presenta in masse color giallo ambrato, vetrose, fragili e ben macinabili.
1.2 La maniera del Vitené: Manichino di legno vestito di tela
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Ultimo Aggiornamento: 22/05/08.