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Quelle squadre che arrivano doping di Gianfranco Giubilo - Gen. 1999
Giocattoli proibiti, perché pericolosi per l'integrità e per la salute dei bambini. Non si tratta, naturalmente, del mucchio selvaggio di armi, stellari o convenzionali poco importa, notoriamente educative per chi si affaccia alla realtà della vita. E neanche dei simpatici e intelligenti videogames nei quali il fine, ideologicamente ineccepibile, è quello di indirizzare con perizia un virtuale veicolo per ridurre a un mucchietto di ossa esseri umani o bestiole innocenti: compresi, naturalmente, nel prezzo del giocattolo.
Il divieto, sancito da tanto di decreto ministeriale, riguarda invece le bolle di sapone, notoriamente micidiali. E la colpa, è chiaro, non può essere che di Zdenek Zeman: al quale una ben individuata parte d'Italia (o del Piemonte) addebita il subdolo intento di destabilizzare il calcio, inteso dal suo punto di vista come potere acquisito e non trasferibile. I dubbi espressi dal tecnico boemo sulla eventualità che si stesse giocando con carte truccate erano stati paragonati, in estate, appunto alle iridescenti e fragili palline dalla vita brevissima e commovente. E il paragone non era stato espresso dai soliti marpioni incazzati, bensì dall'Avvocato in persona, al quale magari i suoi delegati non l'avevano raccontata giusta.
Considerato dunque l'effetto devastante fatto registrare, logico che liquido saponato e cannucce venissero destinati al rogo, a salvaguardia dell'incolumità degli innocenti.
Del resto il signor Kraijenhof, olandese e consulente (o forse ex, non è chiaro) di una società piemontese (di calcio, non di farmaci) ha spiegato tutto con sicurezza. I sospetti sul doping, o sui farmaci prescritti in quantità industriale, erano il prodotto di un complotto comunista. Un po' sconcertato dalla rivelazione, Zeman troverà un motivo di conforto nell'accostamento a quella lista di nomi, artisti dei massimi livelli, ai quali il libro nero del maccartismo vietò, nell'America degli anni bui e della guerra fredda, la libertà di espressione e perfino di lavoro. Per fortuna, la realtà italiana è un po' diversa. E, nonostante la buona volontà profusa da Coni e Federcalcio per seppellire sotto tonnellate di sabbia una lunga catena di abusi e connivenze bastarde, ci sarà sempre un Guariniello poco disposto a collaborare, senza lasciarsi intimidire dalle pretese di chi a privilegi e trucchi non è disposto a rinunciare. Ma se realmente il mondo del calcio vuole che non soltanto si colpiscano responsabilità pregresse, ma che il futuro offra solide garanzie sulla salute degli atleti, allora è bene che il movimento trovi al suo interno la forza di ristabilire regole pulite.
Splendida la presa di posizione dell'Assocalciatori sull'esigenza dei controlli sul sangue, un po' meno convicente la lentezza di un'adesione al progetto adeguatamente e doverosamente formalizzata.
Mentre scrivo, e dubito che le ferie invernali con relativa sosta lascino margini a queste attività di secondo piano, la metà della società della massima serie deve ancora riempire i moduli di adesione al progetto. E siamo perfino di fronte all'iniziativa di un medico sociale che spiega, in una lettera aperta pubblicata dalla Gazzetta dello Sport, come il suo club non sia disponibile a questo tipo di controlli. Una lettera così ricca di dettagli scientifici da risultare comprensibile proprio come certe miracolose crescite a livello muscolare.
Se il mio amico Daniele, direttore di questa pubblicazione, vuole lanciare uno dei suoi simpatici concorsi tra i lettori, propongo un montepremi esaltante: una caramella per ogni partecipante che riesca a indovinare il nome di quella società.
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