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  Giubileo


 

di Gianfranco Giubilo - Apr. 2001

Scalda il cuore, questa dolce primavera. Il campionato osserva il "pit-stop", la Nazionale diverte e va avanti, anche la Roma va avanti e mi sembra, se la matematica può ancora assistere, al giorno d'oggi, che almeno un posto in Uefa se lo sia assicurato. Con i riflettori logicamente puntati sulle volate scudetto, sfuggono magari dettagli meritevoli, invece, di più approfondita riflessione. Dopo la scoperta del cavallo, seconda soltanto a quella dell'acqua calda, il presidente dell'Associazione Italiana Calciatori (e non Associazione Calciatori Italiani come un famoso ukase poteva far intendere) se ne è uscito con un'accusa sconvolgente: nel nostro calcio esiste un allarmante abuso di "integratori". Il fatto è che Sergio Campana certe affermazioni può consentirsele impunemente, visto che non allena alcuna squadra e probabilmente riserva le sue simpatie al Vicenza, che è forza secondaria del campionato. L'appello di Campana è perfino commovente nei toni e nelle espressioni: superficialità sui medicinali propinati ai giocatori, attenti ai medici talvolta birichini. C'è qualche piccola omissione, come quella relativa a certi preparatori atletici tanto bravi da trasformare un fringuello in un toro scatenato, ma non si può avere tutto. Il discorso, molto sensato nella sua brutalità, lo aveva fatto pari pari, un paio di anni fa Zeman: e per questo la sua Roma fu letteralmente massacrata dagli arbitri, interpreti di certi umori e di certi risentimenti sospetti. Invece di scopiazzare, Sergio Campana farebbe bene a meditare su se stesso e su quella follia, stupida e razzista, che indusse il nostro calcio alla distinzione di cittadini di Serie A o di Serie B, a secondo del Paese di provenienza. Con la conseguenza di scatenare una corsa al piccolo imbroglio, sempre che imbroglio si possa chiamare un indispensabile rimedio contro una regola assurda e anticostituzionale, dunque fuori legge per definizione. Sa l'incipiente stagione dei fiori regala altre piccole gemme. Con sincero divertimento, penso, i tifosi giallorossi avranno letto la notizia della disavventura sudamericana di Garcia Aranda, l'uomo del ripensamento a Liverpool (a dare ragione a un antico detto romano su chi cambia improvvisamente opinione). In Inghilterra, era stato salvato con qualche stento, dopo la partita, dalle ire dei tifosi della Roma, nel ristorante dell'albergo. In Uruguay, almeno ha dormito tranquillo, dopo aver seviziato i padroni di casa, ma all'aeroporto se l'è vista brutta: cinquecento persone inferocite, lancio di pietre, intervento della polizia per mettere in salvo l'arbitro spagnolo. Si pensava che dopo Liverpool gli sarebbe stata consigliata una serena pensione: la Fifa lo ha invece mandato ancora in giro a far danni. Che sperassero di levarselo di torno una volta per tutte, nel modo più radicale? Pietre per Garcia Aranda, vermiciattoli per Gianluca Pagliuca, a Parma. Bigattini, li chiamano, e il nome fa tenerezza: ma vedersene arrivare addosso qualche barattolo, con repellenti incursioni dei vivaci animaletti sotto la maglia e a contatto con la pelle, non deve essere stata un'esperienza gradevole. Almeno una volta, negli stadi, si intonava: vieni a pescare con noi, ci manca il verme. A Parma, i vermi non mancavano: e per il povero Pagliuca, era difficile ritenerli un'esca appetibile.



 


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