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Sacchi, suicidio di un maestro

di Gianfranco Giubilo - Mar. 1999


Un lungo addio. Questa volta, probabilmente, senza ritorno. Dal fragore degli stadi alle chiacchiere da bar di Fusignano, Arrigo Sacchi chiude una storia calcistica: che non è soltanto una storia personale, ma una parentesi filosofica vista con gli occhi dell'amore o con quelli dell'odio.
Mai, però, oltraggiata dal gelo dell'indifferenza. Via da Madrid, spento in tempi brevi l'entusiasmo che aveva accompagnato quest'ultima avventura. Purtroppo intrapresa, e i tanti estimatori di Arrigo non ne avevano gioito, a fianco di Jesus Gil y Gil, personaggio la cui arroganza e il cui disprezzo delle regole del vivere civili fanno apparire Luciano Gaucci un bonaccione lontanissimo da qualsiasi forma di intolleranza. Distacco meno brusco rispetto a quello dal Milan dei trionfi, della Nazionale delle contraddizioni, dal Milan Due della caduta in verticale: per un curioso capriccio del destino, partenza e arrivo nel segno degli stessi colori, il bianco e il blu dell'Espanyol di Barcellona. Milan eliminato dai quarti di Coppa Uefa nel 1987, le alchimie di Javier Clemente troppo complesse per una squadra ancora in fase di assemblaggio, il rischio di un rapido congedo, per il cammino trionfale verso il tricolore; oggi l'Atletico, quarta sconfitta di fila di fronte ai catalani di seconda schiera, la furia dei tifosi, la resa di fronte alla tensione, allo stress, a un disagio non più governabile.
Ha diviso il mondo in due, Arrigo, come ogni buon integralista negato al compromesso. Lascia, in chi ne ha seguito il cammino fin dalle prime apparizioni sui palcoscenici più prestigiosi, il ricordo di una grande lezione, di una traccia infine da molti seguita. Fino a restituire all'Italia del calcio, irrisa e vilipesa per il marchio di sgradevole opportunismo che anni di difese a oltranza le avevano impresso, credibilità e prestigio, anche agli occhi di osservatori tradizionalmente malevoli. Sembra ozioso ripercorrere qui le tappe dei trionfi: in Italia, in Europa, nel Mondo. E quelle delle occasioni perdute, prime fra tutte il campionato d'Europa del '96, un peccato di presunzione in linea con il personaggio, pagato in termini di sfortuna perfino irreale.
Mi sembra, giusto, invece, richiamare alla memoria dei più distratti o dei più prevenuti le immagini di un Santiago Bernabeu prima ammutolito e poi indotto a "orejas y ovacciones" dal gioco stellare del Milan. 0 magari la serata autunnale di Eindhoven, l'incredula Olanda madre di tutte le offensive calcistiche schiacciata dalla voglia di protagonismo di una squadra azzurra dal volto inedito. Raramente gratificato da giudizi sereni, crocifisso anche per un finale mondiale perduta ai rigori con una squadra mutilata e distrutta dal solleone, Arrigo lascia in ogni caso un'eredità da molti già raccolta, preziosa sul piano della filosofia del calcio, che è spesso filosofia di vita. Una lezione che il professore ha voluto recitare senza possibili varianti, fino all'autodistruzione. Nel segno, però, di una concorrenza che parla di onestà morale. Ci mancherà: sempre che gli ozi di Romagna, poi, restino davvero tali.

 


  1. Superlega, l'ultimo attentato

  2. Annegati in una bolla di sapone

  3. Quelle squadre che arrivano doping

  4. Dino Viola, il peso di una assenza

  5. Sacchi, suicidio di un maestro

  6. Sotto il vestito la stupidità

  7. La Roma meglio di Milan e Lazio

  8. Sensi, una scelta da rispettare

  9. Guardalinee nun t'allargà.

  10. Il (poco) piacere dell'onestà

  11. Niente di nuovo nel millennio vecchio

  12. Galliani e Fascetti, esempi luminosi

  13. La crisi non si risolve solo col talento

  14. Roma da titolo ma senza Emerson il problema sta nel mezzo

  15. Glerean, Zeman e Baggio quando il calcio è roba da schemi

  16. Dic.2000

  17. Gen.2001

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