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Roma da titolo ma senza Emerson il problema sta nel mezzo

di Gianfranco Giubilo - Set. 2000

Un'estate lunghissima, l'anomala data d'inizio del campionato dilata il tempo dei sogni e delle attese, lascia margini insolitamente ampi al momento delle illusioni: quando le grandi si sentono tutte il tricolore cucito addosso e le piccole tranquillamente salve, con qualche ammiccamento all'Europa. Il tifoso romanista ha puntualmente vissuto, negli ultimi anni, vacanze segnate da un entusiasmo che l'inoltrarsi della vicenda agonistica avrebbe illanguidito fino a svanire. Fenomeno crudamente accentuatosi nella stagione scorsa quando molti (troppi) avevano ritenuto che un'etichetta, 'vincente', potesse avere valore di investitura con solidi riscontri numerici: dimenticando che si può essere molto bravi e preparati, e Fabio Capello lo è, senza tuttavia sfuggire alle leggi fondamentali del calcio, sport che già chiede l'occhio fraterno della fortuna per emergere oltre la media. Preso atto di qualche mossa superficiale pagata con un piazzamento largamente al di sotto delle premesse, Franco Sensi non si è tirato indietro di fronte alle pesanti esigenze di un mercato lievitato in misura incredibile, ma neanche troppo sorprendente se ci si richiama a un passato ricco di cifre d'epoca impressionanti. Il senso di questa onerosa scelta politica che la Roma e il suo presidente hanno affrontato è duplice: volontà di costruire un organico realmente competitivo nei confronti dei club più illustri, ma soprattutto di una Lazio che si presenta al via con un tricolore sulle maglie e un organico stellare; il comprensibile intento di trasferire sulle spalle del tecnico, come è giusto, l'intera responsabilità per il comportamento di una squadra costruita per vincere. Del resto, per la prima volta negli ultimi anni, la Roma si vede unanimemente inserita ai vertici dei pronostici stagionali, virtualmente in linea con Lazio e Juventus, grandi protagoniste del campionato scorso, davanti alle milanesi e a un Parma forse meno decifrabile ma che sarebbe pericoloso sottovalutare. Purtroppo, prima ancora di schierarsi sui blocchi di partenza la Roma ha perduto, e non per poco tempo, il giocatore che avrebbe garantito, come i critici più attenti andavano ripetendo da un anno a questa parte, l'auspicato salto di qualità. Senza scomodare paragoni che per il tifo romanista sembrerebbero irriverenti, Emerson avrebbe potuto rivelarsi determinante, così come lo era stato Paulo Roberto Falcao, per una continuità di vertice da troppo tempo attesa. Non soltanto per qualità tecniche e sapienza tattica, ma per la straordinaria personalità, simbolo di leadership. Si dovrà attenderlo, con fede e pazienza, ma è innegabile che l'assenza di Emerson è pesantissima. La Roma vanta infatti un potenziale offensivo a nessuno secondo, con Batistuta, Delvecchio e Montella (a proposito, quel 18 scelto dall'arcangelo, il doppio di 9, non sarà stato una benevola lezione al ragazzino capriccioso?); ha infoltito e migliorato qualitativamente l'organico della difesa, settore nel quale dovrebbe ritagliarsi spazio Zebina, già grande protagonista nel disastrato Cagliari retrocesso in Serie B. Allarma, diciamolo francamente, il centrocampo, una volta venuto meno l'uomo che avrebbe dovuto radicalmente trasformarlo. Fiducia nei progressi del giovane Zanetti e nell'esperienza dei fedelissimi, qualche perplessità per il ruolo di Assuncao, non tattico ma psicologico, a meno che il giovane brasiliano non abbia guadagnato in misura impensabile in fatto di personalità. Poichè il centrocampo è destinato a condizionare, secondo logica, il rendimento degli altri reparti, la speranza è che Capello non debba affidarsi soltanto al genio di Francesco Totti. E che sappia, da navigato marpione della panchina, mascherare le inevitabili difficoltà dell'avvio affidandosi alle invenzioni del fuoriclasse. In attesa che la luce torni ad accendersi: e che i sogni dell'estate possano sopravvivere alle stagioni della più arcigna realtà.

 


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