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La Roma meglio di Milan e Lazio

di Gianfranco Giubilo - Giu. 1999

Basta poco, talvolta, magari una stringa che si allenta. Si appoggia a un muro, Zdenek Zeman, per allacciarsi la scarpa: e il palazzo viene giù.

L'immagine, suggestiva, è di Massimo Moratti: il senso del terremoto d'estate, il boemo che alza il volume di sussurri da anni fastiosamente in circolo nel mondo del calcio nazionale, dai salotti dorati dell'aristocrazia alle emblematiche baracchette dei campi di paese o di periferia. Guerra, o meglio crociata; contro l'imbroglio, le carte truccate, la filosofia della vittoria a ogni costo, e magari talvolta nel prezzo è compresa anche la vita umana. Una crociata destabilizzante, dunque a rischio: che però la società ha sposato senza riserve, a fianco del suo allenatore bersagliato da ingiurie, da minacce più o meno velate, da accuse deliranti, spesso figlie di lunghe code di paglia. Sul campo di battaglia, di fronte a un nemico terribile e attrezzato come un potere costituito su basi di complicità e ipocrisie, la Roma tornava dopo tanti anni.

Aveva aperto la strada Dino Viola, all'inizio degli Anni Ottanta. Orgoglioso e testardo, aveva voluto dimostrare come il Monopolio del Nord, in campo calcistico, potesse essere finalmente contrastato e perfino battuto. Un potere esercitato anche al livello federale, le battaglie di principio puntualmente risolte da decisioni vessatorie nei confronti dei club meno illustri, provinciali o cittadini che fossero. Non era stata una guerra ad armi pari, nonostante il presidente Viola avesse intelligentemente allargato il "fronte del no" a società che stavano acquistando, con il supporto di piazze potenzialmente prestigiose, Napoli su tutte, maggior peso nel panorama nazionale. Ne avrebbe portato sulla pelle segni dolorosi, il presidente del secondo scudetto rossogiallo - dai "centimetri" del gol di Turone, alla farsa del Lipopill, alla turpe vicenda del caso Vautrot, protagonisti un gatto e una volpe non abbastanza scaltri per agire senza inquietanti burattinai alle spalle. Infine, anche nel granitico fortino del potere qualche crepa si sarebbe aperta: non sufficiente a determinare una "par condicio" onesta ma sufficiente a garantire spazi a club tradizionalmente soffocati da poco limpide manovre repressive.
Ma i latifondisti del calcio non hanno tardato a riappropriarsi di privilegi e prevaricazioni, non appena gli alfieri della rivolta avevano dovuto affrontare flessioni sportive ed economiche. E tutto sembrava tornato nell'alveo di una maleodorante normalità, fino alla sortita di Zeman e alla più recente, dura presa di posizione di Sensi: quest'ultima magari velleitaria sul piano squisitamente giuridico, ma comunque utile per una comune presa di coscienza. Come ieri Viola, oggi Zeman, Sensi e la Roma stanno pagando un duro tributo al coraggio di aver sfidato le nuove coalizioni di potere.

In campo nazionale, ma perfino in Europa, la squadra è stata bersagliata da vessazioni e messaggi di tipo mafioso, con danni di incredibili proporzioni. Non si arrenderà, neanche di fronte a provocazioni reiterate, di fronte all'inerzia del Palazzo e dei vertici arbitrali: il primo abitato da fantasmi, i secondi presidiati da personaggi inaffidabili (ricordate la ignobile vicenda della finale mondiale Argentina-Olanda?). Leggo che Nizzola, dopo la farsa del match con l'Atletico Madrid, ha chiesto a Matarrese di difendere, in sede Uefa, la Roma fatta a pezzi da Van Der Ende, sicario, e da mandanti neanche troppo ignoti. Cantava Antonello Venditti: è una questione politica, 'na grande presa per il …

 


  1. Superlega, l'ultimo attentato

  2. Annegati in una bolla di sapone

  3. Quelle squadre che arrivano doping

  4. Dino Viola, il peso di una assenza

  5. Sacchi, suicidio di un maestro

  6. Sotto il vestito la stupidità

  7. La Roma meglio di Milan e Lazio

  8. Sensi, una scelta da rispettare

  9. Guardalinee nun t'allargà.

  10. Il (poco) piacere dell'onestà

  11. Niente di nuovo nel millennio vecchio

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  13. La crisi non si risolve solo col talento

  14. Roma da titolo ma senza Emerson il problema sta nel mezzo

  15. Glerean, Zeman e Baggio quando il calcio è roba da schemi

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