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Sotto il vestito la stupidità di Gianfranco Giubilo - Mag. 1999
E va bene, anche questo si doveva vedere, su un campo di calcio: il centravanti segna un gol, si sdraia bocconi sull’erba, abbassa prima i pantaloncini e poi gli slip. Un compagno gli salta addosso simulando (si spera) un appassionato amplesso. Poiché in Argentina non tutti si sono ancora bevuto il cervello i due giocatori, Martin Palermo e Juan Riquelme del Boca Juniors, sono stati denunciati e finiranno in Tribunale, però alla giustizia sportiva risponderà il solo Palermo, espulso per un successivo gesto osceno rivolto ai tifosi avversari. Se vi sembrano eccessi di chiara matrice latino-americana, non mutuabili in Paesi dai meno precari equilibri sociali, non sottovalutate l’italica capacità di recepire i più beceri suggerimenti provenienti da lontano: dai rotoli di carta igienica lanciati a "decorare" il verde dei campi ai festeggiamenti ideali da tifosi ai quali, come si dice a Roma, è "partita la brocca".
Da quando gli inglesi (o magari, qualche secolo prima, i fiorentini) inventarono e diffusero il più popolare sport del mondo, il gol ha rappresentato la festa per definizione, il momento magico dell’evento. Gioia espressa, in tempi remoti, con moderazione e spesso perfino con eleganza, il soffio di civiltà indotto da un sostanziale reciproco rispetto. Molto è cambiato, nel calcio e nel mondo: società, costumi, interpretazione dello sport, nessuno pretende un ritorno alle buone maniere che i nostri pazienti genitori tentavano di insegnarci, ma il senso della misura dovrebbe costituire una costante per chi fa parte di una società civile.
Il senso della festa ha cominciato a perdere identità e significato da quando al tradizionale abbraccio si sono sostituiti, secondo umori e livelli di creatività, i "trenini", le scivolate collettive, perfino la ripugnante "macarena" di Pasquale Luiso. E infine arrivò la "canotta": categoricamente personalizzata, scritti e disegni frutto di notti insonni di studio, la mia sì che è una scritta, il mio sì che è un messaggio forte, mai più "sotto il vestito niente". Le invenzioni, all’inizio, possono avere risvolti divertenti, sempre però a scapito di una spontaneità che personalmente apprezzo più di qualsiasi recita programmata a tavolino. Purtroppo, la "canotta" illustrata è diventata moda: e dunque con l’obbligo dell’adozione senza riflessioni e senza condizioni, proprio come gli scarponi di foggia militare che le belle ragazze esibiscono anche sotto il solleone, a rischio di danni irreparabili per le proprie estremità e per le altrui narici.
Altri, su queste stesse pagine, meglio di me sapranno chiarire origini storiche e le ripicche alla base di scritte esibite dopo un gol: in qualche caso, spiritose e non eccessive, in altri decisamente poco gradevoli. Le "purghe", meglio lasciarle stare, perché non evocano immagini simpatiche, se inducono a ricordare l’olio di ricino delle squadracce o le tragiche iniziative di Stalin. Anche perché la diffusione del fenomeno svaluta le iniziative affidate alle magliette, quelle da indossare sui colori sociali, che diffondono messaggi sociali nobili. Un’inflazione di scritte rischia di svilire il senso di questi messaggi diretti al cuore di tutti. Molto si è parlato, per talenti di età molto verde ma con personalità da leader, di raggiunta maturità. Ritengo che questo traguardo debba essere testimoniato anche con un’intelligente selezione, non soltanto di messaggi rivolti a una folla calda e tutt’altro che serena, ma anche di amici consiglieri.
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