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Galliani e Fascetti, esempi luminosi

di Gianfranco Giubilo - Mar. 2000

È stato un mese intensamente dialettico. I fatti, pur di rilievo (e non molto confortanti per le ambizioni della Roma) sovrastati dalle parole: a raffica, a tappeto, urtanti, striscianti, raramente illuminati da intelligenza e tempismo, quasi mai dal comune senso del pudore. Come nell'"uno contro tutti" di Maurizio Costanzo, una buona parola non la nega a nessuno Luciano Moggi, che senza scomporsi usa di volta in volta come pulpito la poltrona del presidente o la panchina dell'allenatore, impagabile factotum dai mille ruoli, sembra che nella Juve non esistano personaggi in grado di esprimere un' opinione decente (non che lo siano quelle del Direttore Generale, ma come sperare che Giraudo lo capisca?). Per ordine, dunque. Il ras juventino, chiaramente in imbarazzo quando sommessamente gli fanno notare che, statistiche alla mano, l'area di rigore Juventina è zona franca, tipo "free shop" aereoportuale, sentenzia: "Gli scudetti si vincono con il cuore, non con la lingua". Menzogna palese, e Lucianone lo sa bene: fondamentale è saperla usare, la lingua, sulle persone giuste e nei punti giusti. È stato sempre il modo migliore per consentire agli arrampicatori di propiziarsi favori e simpatie da parte di chi detiene il potere. Più divertente, in fondo, quel Galliani che discetta e non sai mai se è davvero lui oppure Teo Teocoli, un fenomeno la cui ironia non riesce però a superare quella, involontaria, dell'originale. I fatti: Galliani ha un garbato scambio di opinioni con Roberto Mancini, teatro lo spogliatoio di San Siro nell'intervallo di Milan-Lazio, la stampa inzuppa il pane, come è giusto che sia, e lui insorge: "Ho nostalgia di quando in campo ci si poteva dire di tutto. E finita la partita non restava nulla, quando non vi erano labiali da guardare e telecamere dovunque". E vabbé, devo delle scuse a Galliani per aver creato alcuni canali televisivi, per avere disseminato di cameramen campo, spogliatoi, immediate vicinanze delle panchine, per le moviole "rilette" per qualche ora. Non lo farò più. Non sapevo che la televisione, aborrita da Galliani, potesse provocare turbamenti così dolorosi.
C'è poco da scherzare, invece, su Fascetti e i suoi deliri. Deliri che, a sentire Pippo Baudo alla Domenica Sportiva, il pubblico non avrebbe dovuto mai conoscere, sarebbe bastato che in conferenza stampa i giornalisti avessero spiegato a Fascetti che qualche parolina era di troppo, acqua in bocca e tutti amici come prima. In fondo, è giusto che la pensi così chi si è fatto grande con l'Italia dei lustrini e delle banalità, chissenefrega di civiltà, cultura e altre baggianate (il bello è che un altro ospite, non meritevole di citazioni, abbia subito sottoscritto). Fascetti non soltanto ha usato espressioni razziste che avrebbero imbarazzato un incappucciato dell'Alabama, ma il giorno dopo ha anche preteso di avere ragione: non è stato capito, poverino, colpa di quei giornalisti velenosi. E meno male che la società si è subito mostrata solidale, senza vergogna (e dispiace ne sia rimasto coinvolto, per ruolo, una persona per bene come Carlo Regalia). Strano non gli sia giunta la solidarietà di Dino Zoff, così tenero con i razzistelli da stadio (so' regazzi!). In attesa che i vertici calcistici siano disposti a riesumare un minimo di dignità e colpiscano senza fare sconti, mi domando: ma Fascetti non è sempre stato nero, ma nero che più nero non si può?
Caro Direttore, ho finito, ti mando l'articolo a mio personale rischio, conscio delle gravi conseguenze che ne potrebbero derivare. Per un paio di articoli scritti, Paolo Casarin è stato radiato dalla Federcalcio, mentre restano saldi in sella i Pairetto e i Bergamo, che i Rolex d'oro si erano allacciati al polso senza fare una piega. Abbi pazienza Danie'. Non dispongo di Rolex. E neanche mi piacciono.

 


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