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  Giubileo


 

di Gianfranco Giubilo - Gen. 2001

Benvenuti, alfine, nel Terzo Millennio anche a coloro che se ne erano appropriati con un anno di anticipo e hanno festeggiato come se niente fosse, dimenticando le fesserie scritte, anche su organi di informazione del tutto qualificati, in fatto di scadenze. Autorizzato, dunque, un tuffo nel Millennio precedente, che ci ha lasciato salutando una Roma tritatutto ed una tifoseria cullata dalle nuvole nel suo sogno fantastico. Da un'epoca all'altra, i paragoni sono difficili, spesso improponibili, in ogni ramo dello scibile umano. Figuriamoci nello sport, che propone addirittura altri modelli del bipede pensante rispetto al passato; e al calcio, poi, che questi nuovi modelli indirizza lungo strade una volta appena accennate, magari a livello sperimentale. Però molti ugualmente si domandano se questa Roma sia realmente la più forte squadra che abbia vestito il rossogiallo, dai primi vagiti di settantatré anni fa fino ad oggi, un cammino illuminato da due tricolori, venato da molti rimpianti, offuscato da lunghi giorni bui. Partiamo da lontano, dal ricordo di un football di altri tempi, il primo scudetto: conquistato con una rosa comprendente un solo nazionale, il portiere Masetti (due presenze), più Amadei che in azzurro sarebbe approdato molto più tardi. Basti dire che nell'ultima partita giocata dalla Nazionale pochi giorni prima che la Roma divenisse ufficialmente campione d'Italia, la Juventus aveva tre giocatori, due ne avevano Bologna e Venezia, uno ciascuno Fiorentina, Inter, Lazio e Torino. Più attendibili, quindi, i riferimenti recenti: sia perché il calcio aveva già assunto una fisionomia simile a quello degli ultimi anni, anche sotto l'aspetto tattico; sia perché quei nomi e quelle immagini sono sempre vivissimi nelle memorie di tutti, e così i loro gesti tecnici ed atletici. I modelli da richiamare, e su questo non penso possa esservi disaccordo, sono due: la Roma che nel 1982/83 seppellì, insieme con le avversarie, i trucchetti di un Palazzo che non l'amava; e quella che tre anni dopo vide vanificare dallo scivolone contro il Lecce un prodigioso inseguimento nei confronti della Juventus. La Roma dello scudetto vantava nove nazionali: non pochi considerando il numero ridotto degli impegni internazionali dell'epoca non soltanto per l'Italia, ma anche per altri, il brasiliano Falcao e l'austriaco Prohaska. Quella Roma aveva un elevatissimo tasso tecnico, garantito da fuoriclasse in assoluto, Falcao e Bruno Conti, e da campioni di straordinario livello: da Di Bartolomei a Vierchowood, da Tancredi ad Ancelotti, al mitico bomber Pruzzo. Non aveva ritmi straordinari, è vero, ma a quelli a lei più graditi dovevano adeguarsi i rivali, incapaci di sottrarre ai romanisti il possesso di palla, che in termini percentuali farebbe impazzire le sofisticate statistiche di oggi. Dieci, otto azzurri più il polacco Boniek ed il brasiliano Cerezo, erano i nazionali della Roma di Eriksson: altra filosofia, altro passo, altra applicazione tattica, tasso tecnico complessivo forse leggermente inferiore dopo gli addii di Agostino, dell'immenso Falcao, dell'imbattibile Vierchowood. E pensare che in quella Roma, in omaggio ad una frenesia poi pazientemente addomesticata, aveva stentato a trovare posto un canarino come Brunetto nostro, che in Spagna aveva sbalordito e poi conquistato il mondo. Nonostante tutto, e nonostante i riferimenti non siano agevoli anche in relazione al diverso carico di impegni e dunque all'ampiezza delle rose, penso che la Roma di oggi possa definirsi la più completa. Sedici nazionali in organico, ancora due fuoriclasse in assoluto come Francesco Totti e l'arcangelo Gabriel, ma anche Emerson vale quel livello, pur non avendolo ancora potuto dimostrare. In più, però, una schiera di grandi campioni a garantire i ricambi che una stagione durissima richiede. Altrettanto si sono attrezzate le rivali, però mai negli ultimi quindici anni, credo, la Roma era stata così competitiva, primo passo per il ritorno al vertice. Ritorno possibile. E smettetela di grattarvi senza ritegno.



 


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  14. Roma da titolo ma senza Emerson il problema sta nel mezzo

  15. Glerean, Zeman e Baggio quando il calcio è roba da schemi

  16. Dic.2000

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