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Niente di nuovo nel millennio vecchio

di Gianfranco Giubilo - Gen. 2000

Dunque, siamo nel Duemila. Suggestione di una data che lascia pensare a rinnovamenti, strade nuove per un mondo nuovo. Invece, le solite fregature: a cominciare dalla solenne boiata del Terzo Millennio che la televisione (e passi, la cultura non appartiene che in minima parte al piccolo schermo), ma perfino giornali di livello qualitativo incontestabile, hanno fatto arrivare con un anno di anticipo, per la gioia dei gonzi che non sanno contare fino a due volte mille. E allora, millennio vecchio e vecchie regole: non quelle scritte che dovrebbero imporre rispetto, sempre che qualcuno se ne preoccupi, nel Paese di Tangentopoli e dei semafori bruciati; ma quelle subdole, immutabili secondo le quali, suggeriva George Orwell, "tutti gli animali sono uguali ma i maiali sono più uguali degli altri". In genere, il nostro campionato è così cortese da concentrare i suoi veleni nella coda, forse perché gli episodi sospetti, nella fase di avvio, vengono generosamente giudicati secondo il metro del "rodaggio", che induce a bonaria comprensione, se non all'assoluzione piena. Stavolta, invece, eccoci a farci del male fin dalle prime battute, probabilmente con lo stimolo di ossessivi interventi di un magistrato partito bene ma poi troppo incline a voler leggere attraverso il microscopio situazioni sulle quali il giudice del campo, a occhio nudo, deve emettere una sentenza in frazioni di secondo. Per restare al nostro orticello, al brevissimo primato della Roma, la sensazione che il giallorosso (scusate, rosso e giallo) risulti fastidioso per gli occhi arbitrali si accentua, anziché attenuarsi: proprio quando tutti affermavano che il congedo dello scomodo e onesto Zeman avrebbe posto fine allo sganciamento di siluri della stagione scorsa, puntuale bersaglio la fiancata dell'ammiraglia romanista. Bologna e Parma, due trasferte durissime consecutive alla vigilia della sosta, fase delicatissima della stagione (una costante, negli ultimi anni, hai visto mai che questo computer oltre che intelligente sia anche un po' figlio di buonadonna), due partite dirette da internazionali, i figli prediletti del potere. Due catastrofi: Collina distratto, si spera, Treossi da Inquisizione, due sconfitte a seguire. Ma neanche il neofita Rosetti, fino al momento del rigore e dell'espulsione di Neqrouz, si era guadagnato benemerenze: fuorigioco sballati, mani non viste, silenzio sul pugno di Andersson a Cristiano Zanetti. In Lega Franco Sensi ha alzato la voce, si dice sia stato anche ascoltato: anche perché non si comprende come al Palazzo, attento agli aspetti economici, possa dar fastidio uno scudetto a Roma, una sponda o l'altra, considerato lo straordinario bacino di utenza. I nostri arbitri non sono scarsi, basta guardare qualche partita all'estero per rendersene conto: ma è una considerazione che rende più sgradevoli i dubbi, dubbi che i responsabili dovrebbero dissipare in concreto, con interventi decisi e non a chiacchiere, per rendere più credibile una vicenda agonistica così ricca di personaggi illustri e così attraente sul piano dell'equilibrio. Ma che sto dicendo? Responsabile del settore arbitrale è il signor Gonella, proprio quello che senza arrossire nel 1978 aveva consegnato all'Argentina, seviziando l'Olanda, una Coppa del Mondo, tanto per compiacere i militari assassini schierati in tribuna d'onore. Vista così, non ci resta che piangere.
P.S. A proposito di giustizia sportiva, leggo con raccapriccio che il ricorso della Roma contro una multa per i soliti ignobili striscioni, era basato sull'asserzione che le croci celtiche non dovevano essere considerate simboli razzisti. Poi lo stesso legale che aveva formulato il ricorso, qualche giorno dopo ha affermato che "Faccetta Nera" era soltanto un'allegra canzoncina, lasciando anche intendere che gli etiopi dovevano essere grati all'Italia per l'aggressione al loro Paese. Presidente Sensi, per pietà: salviamo l'immagine della Roma, rigorosamente separandola dalle personali valutazioni di questo signore.

 


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