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Sensi, il primato della standing ovation

di Gianfranco Giubilo - Feb. 2002

Ne avevo viste tante, in questo mondo del calcio per il quale si palesano, da qualcosa come mezzo secolo, catastrofi imminenti che la comune passione riesce puntualmente ad allontanare. Uno stadio in piedi per un giocatore che ha rappresentato un simbolo, magari per un allenatore che ha regalato trionfi da troppo tempo attesi. Per un presidente, al massimo, inviti a mollare tutto e a lasciare la società in mani più affidabili o meno sparagnine. Franco Sensi fa storia, nella Roma, anche per questo: è il primo presidente di club a essersi guadagnato una standing ovation, un tifo compatto a rispondere all'invito di Carletto Zampa, a testimoniare un affetto che va oltre i sentimenti ma che indica, invece, convinta partecipazione alla crociata del patron rossogiallo per un calcio migliore. Un atteggiamento particolarmente meritevole, perché la battaglia in atto per la presidenza di Lega non è di quelle più popolari, di quelle che si possono vivere a fior di pelle senza approfondire i temi, tanti e complessi che la ispirano. Mentre scrivo sono vicine decisioni importanti che potrebbero rendere puramente accademico questo discorso, senza peraltro fargli perdere i suoi contatti fondamentali. Franco Sensi, che ha fin troppe attività da seguire passo passo, senza appesantire ulteriormente le sue giornate di lavoro con i carichi imposti dalla presidenza della Lega Professionistica, ha deciso di condurre una campagna forse impopolare secondo canoni che il calcio di élite ha troppo a lungo rispettato, senza risultati particolarmente apprezzabili. Ai potenti di sempre, riesce difficile comprendere i motivi che spingono la Roma, nella persona del suo signore e padrone, a farsi carico di interessi di club assai meno titolati, assai meno illustri, assai meno dotati in fatto di risorse e soprattutto di bacini di utenza. Sensi è un industriale di grande successo, si è garantito con il suo lavoro e la sua affidabilità una posizione di grandissimo prestigio, non penso sia spinto da puro idealismo, comunque da apprezzare. Le sue buone ragioni le avrà, non potendo posporre alle ragioni dei cosidetti piccoli club quelle della sua Roma.

Ma qui sarebbe troppo lungo, e a molti incomprensibile, la ricerca dei meccanismi, soprattutto quelli dei diritti televisivi, che ispirano l'operazione. Però non è neanche giusto, come ha affermato un dirigente lucido e degno di stima come Massimo Moratti, che Sensi non può permettersi di fare il Robin Hood dall'alto di una posizione di potere. Come dire che ognuno deve guardare gli interessi propri, e non quelli della collettività: il che non è né giusto, né generoso. Moratti è, con Galliani e Giraudo, il principale supporto alla candidatura di Stefano Tanzi, bravo ragazzo con poco gradevole prospettiva di uomo di paglia. La Lega va gestita professionalmente, si è sempre detto, qui si rischia di insistere sul dilettanstismo o sull'impiego a tempo perso. In questo caso, meglio di Robin Hood Franco Sensi di un Moratti, pur inattaccabile sotto il profilo umano, che nella gestione della sua società ha segnato un primato difficilmente avvicinabile: passare, attraverso qualche centinaio di miliardi, da una difesa con Panucci e Robert Carlos a una con Cirillo e Macellari. Questo non è ripianare, se si parla di debiti, questo è spianare. E se si tratta dei soldi di Moratti, pazienza. Se invece i soldi sono di tutti, allora sarà meglio stare molto, ma molto attenti.

 


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