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1/2: il sogno di un maestro
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Quando
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CALVIN
& HOBBES, OVVERO SEIENNI TIGRI E MUTANTI:
Mi sento quasi un traditore, a parlare di "Calvin & Hobbes". Un
traditore, perché ho sempre pensato che la delicatezza e la poesia
di questa strip siano tali da non poter essere che infangate da qualunque
tentativo di esaminarle. Cercherò' di rispettare il tocco di Watterson,
e che il grande PARV mi aiuti.
Anzitutto, le presentazioni: buongiorno, io sono Calvin. Io giro per
la casa col mantello urlando "zap, zot!", io scappo da scuola con uno scatto
felino, io mi faccio assalire dalla merenda ed assalgo quelle viscidone
delle ragazze. O almeno, lo facevo fino a pochi anni fa: e se ora mi contengo
non è perché non mi piaccia più' essere "Stupendorman",
ma solo perché' alcune convenzioni sociali, con l'età, hanno
iniziato ad imbrigliarmi. Ancora oggi non mi pettino, ma questa è
un'altra storia.
Ecco, per Calvin queste convenzioni non hanno alcuna importanza. Calvin
non e' il già stravisto "ragazzo ribelle", la simpatica canaglia,
il Bart Simpson. E' invece quasi un Tom Sawyer di buona famiglia, semplicemente
tetragono, e non ribelle, agli obblighi e al grigiore della vita dei comuni
mortali. Un'autentica forza della natura, come un po' tutti i bambini di
sei anni.
E' dotato d'incredibile fantasia, d'incredibile intelligenza, di due
genitori che, pur essendo sempre sull'orlo di un esaurimento, non possono
che volergli bene.
E cos'altro potrebbe servirgli? Dati questi presupposti, Calvin può'
tranquillamente vivere nel suo mondo. Mondo che poi non e' altro se non
quello reale, filtrato attraverso gli occhi di un seienne esaltato. La
maestra Vermoni esiste, ma e' di volta in volta una diversa creatura; Sancio,
il bulletto, e' un tirannosauro stupido e forte; e poi, tigri, mutanti,
alieni, macchine volanti.... Calvin non inventa: interpreta. E' un po'
un poeta, in fondo. Ed è così che si spiega, a mio avviso,
il mistero di Hobbes: tigre? Pelouche? Cos'è veramente? Mi scusino
i lettori che se lo chiedono, ammetto di averlo fatto anch'io, ma non so
come si possa essere così stupidi da porsi il problema.
Hobbes è Hobbes, e basta. E' un pelouche? Certo, addirittura
gli altri bambini lo capiscono. E' una tigre saggia? Certo, altrimenti
chi sarebbe a consigliare Calvin? E perché mai dovrebbe tornare
a casa tutto sporco, se non è stato Hobbes ad assalirlo? Quello
di Calvin è il mondo reale, quello dei suoi genitori anche: non
sono neppure mondi paralleli, sono proprio lo stesso mondo. Non ha senso
porsi domande su cosa sia vero e cosa no: bisogna operare una "sospensione
dell'incredulità" pressoché' totale, lasciar perdere ogni
idea ed ogni tentativo di capire e lasciarsi andare, trasportati da "sogni"
che forse neppure Neil Gaiman è riuscito a narrare così bene.
C'è una sequenza di strip che chiarisce abbastanza bene ciò
che voglio dire, ed è contenuta nel volume "La Vita, che Stress!"
(Comix edizioni, £ 35.000). La riassumo brevemente. Calvin deve scrivere
un racconto da consegnare alla maestra il giorno dopo, ed ovviamente non
ne ha nessuna voglia. Così, come se fosse la cosa più ovvia
del mondo, s'imbarca con Hobbes sulla macchina del tempo (per inciso, essa
sembra un semplice scatolone) e si reca due ore nel futuro, per prendere
il tema che il suo io di due ore dopo avrebbe nel frattempo scritto (!):
il quale, chiaro, non l'ha fatto. Dopo una discussione, decidono di recarsi
dal Calvin intermedio, colpevole di tutto, lasciando i due Hobbes lì.
In poche parole, nessun Calvin scrive il compito (leggetevi la storia,
che è molto più surreale ed esilarante), ma ci pensano i
due Hobbes. Il giorno dopo Calvin va a scuola senza avere idea di quello
che ci sia scritto sul compito. Lo legge in classe, vi trova narrate esattamente
le traversie temporali del pomeriggio, e la maestra mette un ottimo voto.
Il cerchio e' perfettamente chiuso.
Ora, io vi chiedo, che senso ha cercare di capire chi ha scritto il
compito? O se Calvin ha viaggiato o no nel tempo? Possiamo congetturare
ciò che vogliamo, e proprio per questo congetturare risulta, in
fin dei conti, inutile.
La carica onirica e' la mia cifra preferita, in "Calvin & Hobbes",
ma non l'unica. Watterson sa suscitare anche vere e proprie risate, soprattutto
nel momento in cui fa interagire Calvin con i normali esseri umani e le
situazioni di ogni giorno. Spesso in questi casi l'ironia diventa comicità':
e non posso non ridere, ripensando alle reazioni della concreta Siusi (peggior
nemica e grande amore di Calvin), continuamente bersagliata dalle assurde
follie del nostro.
Ed è comicità travolgente, trascinante come un fiume
in piena: mi è capitato più volte di dover chiudere un volume,
essendo prossimo a sentirmi male a furia di ridere.
Non possono mancare, in un'opera così poetica, riflessioni, osservazioni,
idee. I dialoghi tra Calvin ed Hobbes sono alcuni tra i momenti più
belli dell'intero fumetto: i due parlano di vita e morte, di amore, della
società che li circonda. Calvin, bambino, trova in Hobbes quella
serenità, quell'equilibrio che lui non ha ancora raggiunto.
Che siano in corsa su una slitta o che siedano sotto un albero, il
rapporto è sempre lo stesso: Hobbes è maturo ed esperto della
vita; Calvin inizia a porsi i primi dubbi, ma trae di continuo conclusioni
assolutamente arbitrarie. La poesia, la compiutezza e la profondità
di questi dialoghi basterebbero da soli a dar valore a tutta l'opera.
Per finire, parliamo un po' del Watterson disegnatore. La cosa che più
colpisce è la perfezione e la duttilità della sua china:
ora rude e "tagliata", ora morbida e rassicurante, riesce sempre a narrare
in modo complementare al testo. Non vi è il minimo scarto tra balloons
e disegni.
Lo stile molto cartoonico permette un'immediata "identificazione" dei
personaggi: Calvin, i genitori, la signora Vermoni, tutti ricordano qualcuno
che abbiamo già conosciuto. Le creature di Watterson, finissimo
osservatore, assurgono quasi al livello di icone.
Ho premesso, all'inizio dell'articolo, che avrei tentato di rispettare
lo spirito di Bill: non so se ci sono riuscito. Forse ho detto troppo,
ho troppo sezionato, non ho saputo essere sufficientemente delicato. In
tal caso, mi scuso. Le intenzioni erano delle migliori.
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