PICCOLO SIGNORE NEL GREMBO DI MARIA
 

Siamo alle soglie del Natale.
Vogliamo anche noi evocare questa celebrazione attraverso un’eco indiretta.
Se nell’Antico Testamento sfogliamo la serie dei dodici profeti minori, ci imbattiamo nel libretto di un profeta che in ebraico si chiama Zefanja, donde la forma adottata nelle Bibbie di "Sofonia" ("il Signore protegge").
Di poco più anziano di Geremia, egli visse versola fine del VII sec. a.C. e la sua predicazione, raccolta in un testo di soli tre capitoli, fu protesa a denunziare il giudizio divino inesorabile nei confronti dei peccatori e a esaltare la speranza riservata ai "poveri del Signore", cioè ai giusti da lui salvati e protetti.
Ebbene, all’interno di quel fascicolo di oracoli profetici è inserito un "salmo" di fiducia: è probabilmente una citazione successiva che è destinata a celebrare la gioia e la speranza. In quel breve testo (3,14-18) troviamo queste parole: «Re di Israele è il Signore in mezzo a te... Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente».
L’originale ebraico è, però, più intenso. Infatti, dato che Gerusalemme è chiamata «la figlia di Sion» ed è perciò rappresentata attraverso una personificazione femminile, la frase usata può anche avere questo valore: «il Signore è nel tuo grembo...».
È per questo che la tradizione cristiana - che ha riletto in chiave mariana molti passi anticotestamentari dedicati a Sion, ove si aveva la presenza divina nell’arca nel tempio - ha visto in queste parole il profilo di Maria incinta di Gesù Cristo, «re di Israele e salvatore potente». Anche per questa ragione il profeta appare in codici miniati e su vetrate: egli è visto come un cantore della madre del Signore, oltre che essere l’annunziatore del giudizio divino.
Non bisogna dimenticare, infatti, che elementi del suo terribile e potente carme destinato a illustrare «il giorno del Signore» - «giorno d’ira, giorno di angoscia e di affiliazione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità, giorno di squilli di tromba e di allarme» (1,15-16) - sono stati assunti dal celebre inno medievale Dies irae, entrato poi nella liturgia cattolica, soprattutto nella Messa per i defunti, e spesso messo in musica (pensiamo solo al Requiem in re minore di Mozart o alla Messa da requiem di Verdi).
Ma quelle parole così tenere sul Signore che accetta di "comprimersi" nello spazio della piccola città di Genisalemme e soprattutto nel piccolo ambito del grembo di Maria diventano un vessillo di speranza. Il filosofo tedesco Johann G. Fichte, in una predica pronunziata il 25 marzo 1786, s’interrogava stupito: «Ci sembra poco che fra tutti i milioni di donne della terra soltanto Maria fosse la madre di Colui che doveva rendere felice l’intero genere umano e grazie al quale l’uomo sarebbe divenuto immagine della divinità ed erede delle sue beatitudini?».