Lettera del 19 aprile 2001
 

 

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A tutti ricordiamo che le lettere verranno inserite nel nostro sito dove e' possibile trovare gli arretrati. I testi possono essere usati citando la "lettera cooperanti Palestina" e l'eventuale firmatario del pezzo.


In questa lettera:

Testimonianze dell'Intifada


Il mio nome e' Audi Al Zalmout. Vivo nel villaggio di Beit Fourik vicino a Nablus. La mia famiglia possiede da generazioni dei campi di ulivi non lontano dal villaggio. Gli ulivi sono la nostra principale fonte di reddito. Non molto tempo fa, mio padre, di 75 anni, usci' una mattina per andare nei campi a raccogliere le olive. Poiche' nel passato aveva avuto dei problemi con i coloni dell' insediamento di Eitamar, usci' di mattina presto per evitare qualsiasi confronto. Nel passato i coloni avevano bruciato e sradicato i nostri alberi per occupare la nostra terra ed ingrandire il loro insediamento; non immaginavamo pero' che non solo la nostra terra ma anche anche nostro padre avrebbe potuto essere in pericolo. Mio padre aveva gia' raccolto una buona quantita' di olive quando arrivarono i coloni; poiche' non volevano usare le armi per paura che gli spari potessero essere sentiti dal villaggio e far arrivare gente, iniziarono a picchiarlo, buttandolo per terra e colpendolo in testa con delle pietre fino a rompergli il cranio. Mio padre era vecchio ma nonostante questo si era sempre occupato dei bisogni della famiglia e anche quella mattina era uscito per prendersi cura della sua famiglia. Quando piu' tardi lo raggiunsi nel campo lo trovai disteso a terra e non l'avrei riconosciuto se non fosse stato per il fazzoletto che mia madre aveva fatto appositamente per lui.

Il mio nome e' Mona Al Jaj. Sono del campo profughi di Al Fawar. Una sera mentre mio marito era lontano da casa iniziai ad avere le doglie; aspettavo il mio terzo figlio. Siccome il campo era sotto coprifuoco i miei vicini avevano paura ad uscire di casa per venirmi ad aiutare ed io avevo bisogno di raggiungere l'ospedale. Al nostro campo era stata tagliata la luce ed io decisi di lasciar dormire i miei due bambini e sgusciare fuori casa al buio. Per strada non c'erano macchine poiche' i soldati sparavano a qualunque veicolo osasse avvicinarsi ai blocchi di cementro e detriti che isolavano il campo dalla strada principale. Avrebbero sparato gas lacrimogeni o bucato le gomme di qualsiasi auto che si fosse avvicinata ai blocchi anche se l'occupante fosse stata una donna, anche una donna che stava partorendo. Fui costretta quindi ad incamminarmi a piedi al buio nonostante il dolore dell'imminente parto mi pieghasse in due, e ho rischiato diverse volte di cadere mentre scavalcavo il blocco della strada. Finalmente raggiunsi la strada principale che dista piu' di un chilometro da casa mia e fortunatamente dopo poco riuscii a fermare una macchina che miracolosamente era riuscita ad entrare nell'area. Non so come riuscimmo a non farci vedere dai soldati, ormai era piu' di un'ora che avevo le doglie e sapevo che mio figlio stava per nascere. Grazie al coraggio dell'uomo che mi prese in macchina riuscii ad arrivare all'ospedale Aliya di Hebron dove detti alla luce mio figlio.

Il mio nome e' Amina Balout. Sono del Villaggio di Rantis a nord di Bir Zeit. Un pomeriggio di alcune settimane fa iniziai ad avere le doglie. Sapevo che mi ci sarebbe voluto molto tempo a raggiungere l'ospedale di Ramallah quindi avvertii immediatamente mio marito. Normalmente ci vogliono 40 minuti in auto, ma questo in tempi normali. Adesso la strada principale e' bloccata da massi e per uscire dal villaggio bisogna percorrere una strada sterrata in mezzo ai campi. Presi quindi un taxi e mio marito, mia madre e mia sorella vennero con me. Non molto tempo dopo che eravano in strada fummo fermati da un jeep dell'esercito israeliano che ci intimo' di tornare indietro. Cercammo di convincerli di lasciarci passare viste le mie condizioni, nel frattempo erano passati piu' di 30 minuti ed aveva iniziato a piovere cosi' forte che era impossibile riprendere la strada sterrata e tornare a Rantis. Finalmente il soldato si convinse e ci lascio' passare. Continuammo fino a raggiungere il posto di blocco vicino all'insediamento di Halamish. I soldati intimarono al taxi di fermarsi puntantogli i fucili; mio marito e il taxista scesero cercando di spiegargli la situazione. Nel frattempo era passata un'altra mezz'ora e di dolori si facevano sempre piu' forti. Finalmente il soldato ci lascio' passare ed arrivammo al villaggio di Um Safa dove una lunga fila d'auto era ferma ad un posto di blocco israeliano. Sorpassammo la fila e fummo fermati da un jeep militare che ci ordino' di scendere tutti dall'auto. Spiegammo al soldato la situazione e gli chiedemmo di chiedere al suo comandante il permesso di passare. Nel frattempo i dolori aumentavano sempre piu' e mi resi conto che il bambino stava per nascere. Prima che il soldato tornasse con il comandande avevo partorito mio figlio. Mia madre lo avvolse con una coperta e me lo diede da tenere sul petto. Il comandante vista la situazione ci diede il permesso di passare ma avevamo appena percorso 200 metri che un'altra jeep di soldati ci blocco' chidedendoci chi ci aveva fatto passare. Il comandante ci vide e corse verso i soldati dicendogli di lasciarci passare. Continuammo verso Bir Zeit quando di nuovo fummo fermati da una lunga colonna d'auto, sorpassammo la colonna ma fummo fermati da 4 soldati che ci intimarono con le armi di uscire tutti dall'auto. Mia madre gli urlo' che c'era una donna nell'auto che aveva appena partorito. Si misero a ridere e ci obbligarono a scendere tutti. Scesi con mio figlio ancora attaccato al cordone ombelicale, ma ero troppo debole per restare in piedi, mi accasciai per terra e svenni. Mio marito mi racconto, dopo, che i soldati rimasero la' a guardarci ridendo per tutto il tempo. Finalmente arrivo' un'altro soldato che urlo' agli altri di lasciarci andare. Arrivammo all'ospedale di Ramallah alle 8 di sera; avevamo lasciato il mio villaggio alle 5.00.

Il mio nome e' Nawal . Mio padre ha costruito l'Hotel Everest a Beit Jala vicino a Betlemme. L'ha chiamato cosi' perche' e' in cima ad una montagna e quando e' bel tempo si riescono a vedere le montagne della Giordania. Io sono incaricato della cucina e del menu del ristorante. In altri tempi servivamo piu' di 500 persone alla volta, il ristorante era sempre pieno di turisti e si facevano banchetti e feste per i locali. Da mesi non vediamo nessuno qui. E' difficile spiegare come era prima, ero sempre cosi' occupato in cucina da non riuscire a mettere fuori la testa nemmeno per un minuto per vedere come andavano le cose nella sala da pranzo. E adesso, guarda, abbiamo spostato il tavolo da ping pong nel bel mezzo della sala da pranzo, tanto comunque la sala e' vuota; tutta la mia famiglia lavorava qui. Adesso facciamo quello che fanno i leaders di entrambe le parti. Giochiamo a ping pong.


Refuso geografico: Abbiamo scritto nella precedente lettera che Israele aveva ri-occupato un'area A a sud di Gaza. L'area e' a nord trattandosi di Beit Hanoon.


Permettetemi una trasgressione che possa essere augurio: da questo luogo dove i palestinesi lottano per l'indipendenza vorrei ricordare che 40 anni fa alle 17:30 del 19 aprile 1961 sulla Playa Giron (la Baia dei porci) il popolo cubano sconfiggeva gli aggressori controrivoluzionari, "machete contra fusil ". (L.Z.)