LA "RISURREZIONE”

Lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato il terzo giorno e volle che apparisse.
(Atti 10,39-40)



«Se Cristo non è risuscitato, vana è la nostra predicazione e vana è anche la nostra fede». Le parole lapidarie di san Paolo ai cristiani di Corinto (1,15,14) esprimono in modo netto la centralità della Pasqua nella fede cristiana. Tutto inizia in quell’alba primaverile, quando alle donne venute a venerare un cadavere si presenta un’epifania angelica con un messaggio: «È risorto, non è qui!». È la proclamazione che si ripeterà nei secoli e che sarà la sostanza del messaggio cristiano, della liturgia, della pietà, della teologia, dell’arte cristiana. Cristo non è un eroe che muore ma è il Vivente per eccellenza: egli è, sì, pienamente partecipe della nostra umanità nella morte, ma è sempre il Figlio del Dio vivo e la risurrezione lo attesta.

Due sono i verbi greci usati dal Nuovo Testamento per definire l’evento pasquale. Il primo è egheirein, letteralmente “risvegliare” dal sonno della morte a opera del Padre. Come è evidente, si ricorre a un simbolo comune, quello che raffigura la morte come un sonno e la vita come uno stato di veglia (si pensi alla preghiera Requiem aeter nam che implora un “riposo eterno” ai defunti). Nel verbo dell’annunzio pasquale — eghérthe, “è risorto” (Marco 16,6) — si potrebbe intravedere la celebre visione del capitolo 37 di Ezechiele, ove lo Spirito di Dio infonde vita agli scheletri di un’immensa valle, rimettendoli in cammino.

C’è, però, un altro verbo greco usato per definire la risurrezione ed è anìstemi: esso indica il “levarsi in piedi”, quasi un innalzarsi possente dal sepolcro e dalla terra verso il cielo, segno della divinità gloriosa. Proprio sulla scia di questi due verbi si può individuare nel Nuovo Testamento una duplice descrizione della Pasqua di Cristo. Essa è un modo per illustrare il mistero che in quell’evento si cela, una realtà che non è meramente riducibile alla rianimazione di un cadavere, come quello di Lazzaro o del figlio della vedova di Nain o della lìglia del capo della sinagoga di Cafarnao, destinati tutti a morire di nuovo.

Con la risurrezione-”risveglio” si vuole sottolineare che Cristo esce dal grembo della morte e ritorna alla vita, a una presenza efficace nella storia: non per nulla nelle apparizioni si insiste sulla verificabilità della realtà esistenziale del Risorto che si fa toccare, parla, incontra i discepoli e mangia. Si rifiuta esplicitamente di concepire Cristo come uno spettro evocato magica- mente: «Stupiti e spaventati, credevano di vedere un fantasma... Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho» (Luca 24,37.39).

Con la risurrezione-”innalzamento” si vuole, invece, sottolineare che la Pasqua è un evento che trascende il tempo e lo spazio.
Il Risorto è il principio della liberazione dal male e dalla morte, è il Signore glorioso, il Figlio di Dio verso il quale converge l’intera umanità per trovare salvezza, risurrezione e vita eterna. Per questo, accanto al verbo anisterni, “levarsi”, si usa quello più esplicito, hypsoun, “innalzare”: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me... Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono» (Giovanni 12,32; 8,28). E «Io sono» nella Bibbia è il nome stesso di Dio («Io sono colui che sono», Esodo 3,14).



LE PAROLE PER CAPIRE

DESTRA DI DIO - «Cristo assiso alla destra di Dio» (Colossesi 3,1) è un modo simbolico per esaltarne la divinità. La “destra”, infatti, nel mondo semitico era segno di benessere e onore, di potenza e gloria. Il re ebraico «sedeva alla destra di Dio» nel tempio (Sal 110,1) e il giusto verrà ammesso a godere «la dolcezza senza fine alla destra di Dio» (Salmo 16,11).

SIGNORE - In greco è Kyriosed è il titolo riservato a Dio, tant’è vero che nella Bibbia greca usata dai primi cristiani il nome divino Jahweh è reso con Kyrios. Il titolo viene poi assegnato anche al Cristo risorto per esaltarne la divinità, come appare soprattutto nell’uso abbondante che ne fa Paolo.