Il “MARE”

Disse al mare: «Fin qui giungerai e non oltre, e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde». (Giobbe 38,11)



L' acqua costituisce una delle componenti fondamentali non solo della vita e dell’orizzonte terrestre, ma anche della cultura e delle stesse religioni, tant’è vero che la Bibbia ha centinaia e centinaia di versetti “bagnati” dall’acqua, soprattutto nel suo significato fisico di vita e di fecondità, ma anche in quello simbolico di vita divina, di purificazione e di rigenerazione. C’è, però, una distinzione radicale da introdurre. Il mare, jam in ebraico, oppure le “grandi acque”, in ebraico majjim rabbirn, o il “diluvio”, in ebraico mabbul, sono infatti simbolo del caos, della morte, del nulla e del male. Anche nella cultura indigena della Terra Santa, quella cananea, il mare era una divinità negativa, Jam, appunto, in eterno conflitto col dio delle acque benefiche e fecondatrici delle piogge e delle sorgenti, Baal (“Signore”).

Ora, nella concezione cosmologica antica, la terra era concepita come una piattaforma sulla quale si stendeva la volta celeste simile a una cupola metallica. Sotto quella piattaforma ribollivano le acque oceaniche che si accanivano contro le colonne cosmiche destinate a reggere la terra. Si era, così, in presenza di un equilibrio instabile, regolato però dal Creatore che aveva “diviso” nell’atto creativo acque marine e terraferma, ossia nulla ed essere, secondo un’armonia che lui solo poteva conservare (Genesil,9-l0:»Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un solo luogo, e appaia l’asciutto... Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare»).

Nel libro di Giobbe, quando Dio descrive il misterioso ordine che regge il creato, fa proprio riferimento al contrasto terra-mare: Dio si erge a bloccare l’infuriare del mare imprigionando «l’arroganza delle onde». La battigia sul litorale del mare, ove si arrestano le onde, diventa, così, la linea di frontiera o, se si vuole, la porta «con spranghe e battenti», oltre la quale è fermato l’assalto del caos acquatico, la cui energia distruttrice era stata sperimentata nel diluvio allorché Dio aveva fatto «erompere tutte le sorgenti del grande abisso e aprire le cateratte del cielo» (Genesi 7,11). Il mare, quindi, come accadrà anche nell’esodo di Israele, può diventare strumento del giudizio divino: viene bloccato e tenuto a bada mentre passa il popolo di Dio, viene scatenato nella sua furia devastante contro l’oppressore (Esodo 15,8.10.21).

Secondo la Bibbia, il mare è popolato di mostri dai nomi impressionanti: Leviata ii, «serpente tortuoso, guizzante, drago marino», secondo Isaia (27,1), simile a un enorme coccodrillo, stando a Giobbe (cap. 41); Rahab, altro cetaceo mostruoso; Behemot, simile all’ippopotamo (Giobbe 40,15-24); la Bestia marina dell’Apocalisse (13,1-2) che sale dall’Abisso (17,8). Ebbene, l’Abisso evoca nel suo nome ebraico tehòm (Genesi 1,2) Tiamat, divinità negativa dei racconti cosmologici mesopotamici.

Su tutto il caos e il male, incarnato dal mare, si stende però la parola creatrice e provvidente di Dio e quella del suo Cri sto, il Figlio di Dio, come appare nei racconti evangelici della tempesta sedata e del cammino sulle acque (Marco 4,35-41; 6,45-52; Gioranni 6,16-21). Quest’ultimo atto di Cristo, che valica le acque del lago di Tiberiade (nel linguaggio biblico ogni grande distesa d’acqua, anche lacustre, è considerata mare ), è il segno della sua supremazia assoluta sul creato e sul nulla. Nella creazione redenta, raffigurata dalla Gerusalemme celeste, ci sarà un’esperienza necessaria da fare: «vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più» (Apocalisse 2l,1)



LE PAROLE PER CAPIRE

SINOTTICI . Con questo termine di origine greca — evoca uno sguardo (opsis) d’insieme (syn) —, gli studiosi definiscono i Vangeli di Matteo, Marco e Luca. Essi, infatti, considerati insieme, rivelano molte coincidenze e omogeneità. Per spiegare tali convergenze (pur nell’originalità di ciascuno) si è ricorso a varie ipotesi che affrontano appunto la cosiddetta “questione sinottica”.

ALLEGORIA - Il vocabolo di origine greca significa letteralmente “parlare (agoreuein) d’altro (allon)”. Si tratta, infatti, di una tecnica interpretativa — usata anche nelle Scritture e poi nei Padri della Chiesa — per attribuire a elementi storici, simboli e frasi bibliche i significati spirituali ulteriori e più alti.