STEFANO, PRIMO DIACONO MARTIRE


Il suo nome ricorre sette volte negli Atti degli Apostoli, la seconda opera dell'evangelista Luca. Lo incontriamo per la prima volta proprio nel brano che la liturgia di questa quinta domenica di Pasqua ci propone: Stefano (in greco "corona") è, infatti, il primo dei sette "diaconi" (anche se nel brano non vengono definiti con questo termine) che dovranno gestire le opere caritative della Chiesa di Gerusalemme. Incarico rilevante perché tutti i beni dei singoli cristiani, come è noto (Atti 2,44-45; 4,32-35), venivano messi in comune e distribuiti secondo le necessità di ciascuno.

È facile immaginare quante recriminazioni fossero in agguato...
Infatti i cristiani "ellenisti", ossia gli appartenenti alla diaspora ebraica e di lingua greca, si sentivano penalizzati nei confronti dei cristiani "ebrei" palestinesi di lingua aramaica. Viene, così, eletta - su impulso degli apostoli che non vogliono essere coinvolti in beghe amministrative - una commissione di sette figure autorevoli "elleniste" tra le quali spicca appunto Stefano, la cui storia successiva è tutta nella sua fine preceduta dall'arringa di autodifesa che egli pronunzia quando viene arrestato e deferito al Sinedrio, il massimo organismo giuridico ebraico.

Luca, descrivendo questo evento, lo modula intenzionalmente sul processo subìto da Gesù, così da mostrare una sorta di ideale continuità tra il Maestro e il discepolo. Anche il capo di imputazione è affine: "Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro (il Tempio) e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè" (6,13-14). A queste accuse Stefano reagisce allora con un discorso difensivo che è concepito anche come un modello da usare per l'apologetica dei primi tempi cristiani, ossia per la discussione con chi attaccava la nuova fede, soprattutto in ambito ebraico.

Rileggendo la storia biblica, Stefano mostra come troppo spesso Israele non abbia accolto gli interventi divini salvifici, ma abbia opposto un'aspra e talora drammatica resistenza. È ciò che egli vede compiersi anche in quel momento col rigetto di Gesù Cristo: costui è l'apice della lunga sequela degli atti di rivelazione e di salvezza già iniziati da Dio nella prima Alleanza.

La reazione dell'uditorio è violenta e, senza attendere la sentenza e la relativa convalida da parte dell'autorità imperiale romana, Stefano viene linciato dalla folla attraverso una lapidazione.

È proprio in questo istante estremo che Luca ripropone in filigrana la morte di Cristo che si riproduce nel suo discepolo fedele e martire intrepido: "Stefano pregava e diceva: Signore, non imputar loro questo peccato! Detto questo, morì" (Atti 7,59-60). Gli ultimi istanti della vita di Stefano s'incrociano, però, non solamente con la morte di Gesù ma pure con un ancora inconsapevole inizio della vita di fede di Paolo: "I testimoni (lapidatori) deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo" (7,58).