ADAMO, DALLA POLVERE DELLA TERRA


Nel brano della Lettera ai Romani che la liturgia di questa domenica propone, san Paolo dipinge l’effondersi del peccato e della morte sull’umanità e lo fa risalendo alla sua sorgente, a quel primo uomo uscito dalle mani del Creatore: «La morte regnò da Adamo fino a Mosè...» (5,14).

Noi presenteremo oggi questa figura, Adamo: essa, tuttavia, se stiamo all’originale ebraico, non è di per sé un nome proprio ma comune, tant’è vero che ha l’articolo ha-‘adam, ossia ‘l’uomo”.

È per questo che le moderne traduzioni della Bibbia rendono così le parole della Scrittura che descrivono la creazione della persona umana: «Il Signore Dio plasmò l’uomo (ha-’adam) con polvere della terra (‘adarnah) e soffiò nelle sue narici un respiro di vita e l’uomo (ha-‘adam) divenne un essere vivente» (Genesi 2,7).

Facile è vedere che ‘adam è collegato ad ‘adamah, “terra”: il vocabolo, infatti, di per sé rirnanda a qualcosa che ha il colore ocra dell’argilla, cioè del terreno. “Adamo”, allora, altro non è che l’Uomo di tutti i tempi, è l’umanità, quella qualità che è comune in me, in mio padre e in mio figlio, ed è una realtà fragile e limitata, materiale come la “terra”, l'‘adamha, e san Paolo dirà anche che è una figura segnata dal male e dal peccato.

Tuttavia, rispetto alla terra e agli altri esseri viventi — sempre se scaviamo nel segreto dei vocaboli — l’Uomo-Adamo ha una differenza fondamentale. Essa è espressa in quelle parole da noi tradotte come «respiro di vita». Non si tratta, però, solo della vita fisica ma di qualcosa di più segreto: in ebraico i termini rimandano a una qualità che è propria di Dio e che in un’altra pagina della Bibbia è descritta come «una fiaccola divina che scruta i recessi oscuri del cuore» (così nel libro dei Proverbi 20,27).

Ecco, allora, il vero senso di quel “respiro”: l’Uomo è dotato di coscienza, è capace di penetrare nel mistero del suo "io”, della sua anima.

Ma se continuiamo a seguire la vicenda dell’Uomo-Adamo in quei primi capitoli della Genesi (per la precisione, il secondo e il terzo) scopriamo un altro profilo, glorioso e tragico. L’Adamo, che è in tutti noi, è di fronte a una pianta che non è registrata nei manuali di botanica, «l’albero della conoscenza del bene e del male».

Se per un istante si considera il valore di queste parole, si comprende subito che quell’albero è il simbolo della morale: l’uomo è libero di scegliere il bene o il male e questa è la sua grandezza ma anche il suo dramma.

Molti, a livello popolare, continuano a parlare della mela del peccato. La Genesi, come si è visto, ignora questo frutto e la relativa pianta. L’invenzione ha, però, un suo valore: nei secoli cristiani in cui si parlava il latino, il “melo” era detto malus e il “male” malum,. È facile capire come quell’albero simbolico, che ricorda la terribile capacità dell’uomo di fare il male con la libertà di cui è dotato, sia stato trasformato nel “melo del male”, con un gioco di parole ancor più facile in latino.

Resta, comunque, la verità dell’antica storia di Adamo. È l’eterna storia di ogni creatura umana che può vivere in armonia col suo
Creatore, col suo simile e con la terra, ma che può anche lacerare la tela di queste relazioni e vagare lontano da Dio, uccidendo il fratello, devastando il creato in cui è collocato.

Quella pagina, allora, si trasforma in un appello al l’Adamo di tutti i secoli perché non dimentichi di essere ‘adamah, cioè terra e materia fragile, ma sappia sempre di avere in sé anche il “respiro” dell’infinito, la voce interiore della coscienza.