ELIA MALEDICE LA PERFIDA GEZABELE


La parabola che sta al centro del Vangelo di questa domenica (Matteo 22,1-14) è basata sull’immagine di un banchetto nuziale regale col suo apparato cerimoniale e la folla degli invitati. Ora, anche nell’Antico Testamento ci si incontra con scene di nozze; anzi, nel Salterio c’è un vero e proprio epitalamio, ossia un canto nuziale per il matrimonio di un re ebraico con una principessa straniera, originaria di Tiro in Fenicia. Si tratta del Salmo 45 (44), ove appunto della regina si dice: «Da Tiro vengono portando doni, i più ricchi del popolo cercano il tuo volto» (v. 13). Alcuni studiosi hanno ipotizzato che questo cantico salmico, poi applicato al re-Messia, fosse stato composto in occasione delle nozze tra il sovrano del regno ebraico settentrionale detto “di Israele”, Acab, e la principessa Gezabele (il cui nome significa “dov’è il principe?”).

Costei era figlia del re di Tiro e Sidone Et-Baal ed era dotata di una personalità molto forte e persino prepotente, tant’è vero che il racconto biblico del primo Libro dei Re dà quasi l’impressione che fosse lei a gestire il potere e a dominare il marito, che regnerà dall’869 al 850 circa a.C. Il suo progetto politico era chiaro: per staccare definitivamente il suo regno dall’altro, quello meridionale di Giuda, era necessario dargli un’impronta religiosa nuova che impedisse ai cittadini di continuare a guardare al tenipio di Gerusalemme, la capitale del regno di Giuda. Fu così che Gezabele impose il culto della sua terra, quella del dio fenicio Baal ("Signore”), sia attraverso il sostegno a un nuovo sacerdozio (850 ministri di quel culto) e a un nuovo complesso di santuari, sia cercando di assorbire la religione israelitica modellandola su quella cananeo-fenicia.

Nell’accettazione supina della popolazione e nel silenzio complice delle autorità politiche e religiose ebraiche si levò, chiara e forte, la voce del profeta Elia che divenne l’implacabile e solitario avversario della regina, la quale lo ricambiò con odio, costringendolo anche all’esilio per un certo periodo, in una sorta di pellegrinaggio verso il Sinai, luogo natale del popolo ebraico. Gezabele non aveva esitato a gestire con pugno di ferro anche il resto della politica. Esemplare è il caso dell’appropriazione indebita della vigna del contadino Nabot che lei voleva aggregare al parco di una residenza regale di campagna (1Re 21).

In quell’occasione non temette di corrompere la magistratura così da far condannare a morte quel contadino per potersi appropriare del suo patrimonio fondiario. Elia scagliò, allora, contro di lei una maledizione: «I cani divorerano Gezabele nel campo di Izreel», la località del delitto (21,23). Ora, questa profezia si compirà allorché il regno di Acab e dei suoi successori, i due figli Acazia e loram, sarà rovesciato da un terribile colpo distato, guidato dal generale Ieu, un personaggio che abbiamo già avuto occasione di presentare. Gezabele, anche di fronte a quell’evento tragico, non si era però persa d’animo.

Si era truccata in modo appariscente e si era affacciata alla loggia del palazzo reale indirizzando all’usurpatore un saluto sarcastico, convinta di essere un’intoccabile. E invece il rude e brutale vincitore non aveva avuto esitazione e aveva ordinato: «‘Gettatela giù’. La gettarono giù. Il suo sangue schizzò sul muro e sui cavalli. Ieu passò sul suo corpo, poi entrò nel palazzo reale e si mise a banchettare», mentre i cani si avventavano sulle carni della regina, lasciandone solo il cranio, i piedi e le mani
(2Re9,33-37).