ABDIA: UN LIBRO IN UN SOLO FOGLIO


Continuiamo anche in questa terza domenica di Avvento a proporre la nostra piccola galleria di figure profetiche bibliche. Abbiamo pensato di mettere in scena l’autore del più breve dei libri dell’Antico Testamento, in pratica un solo foglio di 21 versetti. Il suo nome è, però, piuttosto comune in Israele, è Abdia, “servo del Signore”, un nome portato da ben Il personaggi biblici e ritrovato, ancora in uso, in epoca tarda (dal III secolo a.C. in avanti), su cinque sigilli, tre papiri e un coccio scoperti in Egitto. Il nome di per sé era onorifico perché essere “servi” di Dio è un atto glorioso, simile quasi all’essere ammessi come ministri nel consiglio della corona del Signore. Anche l’equivalente arabo Abdallah, “servo di Dio”, ha questo stesso valore di nobiltà spirituale.

Le poche righe che Abdia ci ha lasciato sono, però, paradossalmente molto ardue da decifrare e da comprendere e hanno costretto gli studiosi ad analisi complesse. Dell’autore non ci è offerta nessuna indicazione: egli, comunque, non è da confondere con l’omonimo alto funzionario reale del tempo di Elia, sostenitore dei profeti (1Re 18,3). Costui era vissuto nel IX secolo a.C.; il nostro Abdia, invece, è da collocare nel VI secolo a.C. Secondo alcuni biblisti il libretto di questo profeta si comporrebbe di due frammenti differenti (vv. 1-14 e 15-21) che invitiamo i nostri lettori a seguire su un’edizione della Bibbia.

Nel primo brano ci si imbatte in un veemente oracolo scagliato contro Edom, la popolazione discendente da Esaù, fratello di Giacobbe, e quindi imparentata con gli Ebrei, eppure fieramente a essi ostile. Ebbene, gli Edomiti o Idumei, al momento dell’invasione dell’esercito babilonese e della distruzione di Gerusalemme (586 a.C.), si erano schierati dalla parte dell’invasore. È curioso notare che ben dieci versetti di questo oracolo contro Edom (vv. 1-10) si ritrovano, con piccole varianti nel libro del profeta Geremia (vedi 49,7-16). Chi dei due ha “copiato” l’altro? È difficile dirlo: stadi fatto che entrambi i profeti sono da considerare come contemporanei.

Il secondo frammento del libro di Abdia, pur partendo ancora dalla “carneficina” e dalla “violenza” perpetrata contro i fratelli ebrei dagli Edomiti, allarga l’orizzonte descrivendo “il giorno del Signore” che vedrà la rivincita gloriosa di Israele su Edom e il sorgere di una nuova era di gioia per il popolo di Dio, ritornato sul monte Sion: «Saliranno vittoriosi — si legge nell’ultimo versetto, il 21 — sul monte Sion per governare il monte di Esaù (Edom) e il regno sarà del Signore». Le sorti, dunque, si ribalteranno: sarà Israele a dominare sul territorio montuoso degli Edomiti. Questo oracolo sembra riflettere il periodo del ritorno degli Ebrei dall’esilio babilonese e del loro insediamento nella terra dei padri, che avevano dovuto lasciare precedentemente in mano ai loro avversari.

L’unica pagina a noi giunta di questo misterioso profeta è, dunque, segnata da una forte passione nazionalistica ed è, così, la testimonianza di una Parola di Dio che si incarna nella concretezza della storia umana, nelle sofferenze e nelle passioni di un popolo. Tuttavia la fiducia nel “giorno del Signore”, ossia nel suo intervento efficace, diventa anche l’espressione dell’attesa di una svolta. È la speranza nel dono di un futuro migliore di libertà, operato dalla giustizia divina che sempre si schiera dalla parte degli oppressi. È in questa luce che dobbiamo leggere oggi i 21 versetti di Abdia che sfociano in quella frase luminosa: wehajetah lajahweh hammelukah, «e il regno sarà del Signore!».