L' ALFABETO DELLA SPERANZA


«Le Sacre Scritture sono l’alfabeto colorato della speranza in cui %‘. per secoli i pittori hanno intinto il loro pennello». La scorsa settimana abbiamo concluso il nostro articolo con questa frase del pittore russo ebre9 (vissuto in Francia) Marc ChagalI. E una frase suggestiva che illustra un dato evidente: l’arte dell’Occidente per secoli ha usoto il bello della Bibbia come fonte d’ispirazione. Se vogliamo ricorrere o un’espressione un po’ tecnica adottata da un critico letterario canadese, Northrop Frye (1912-1991) come titolo di un suo libro, lo Bibbia è Il grande codice, cioè il punto di riferimento imprescindibile della nostra cultura, è lo stella polare a cui si sono orientati tutti, credenti e non, quando hanno cercato il bello, il vero e il bene, magari anche per respingere questa guida e vagare altrove.
Un papa famoso, san Gregorio Magno, in una lettera indirizzata nel 550 al vescovo di Marsiglia, Sereno, scriveva: «La pittura è usata nelle chiese perché gli analfabeti, guardando sulle pareti, leggano ciò che non sono capaci di decifrare sui codici». L’arte, dunque, diventava come un commenfo al testo biblico, anzi una sua trascrizione per i fedeli che, in tal modo, leggevano la Bibbia su pagine murali colorate o su fogli di pietra.
Ma un altro Padre della Chiesa, san Giovanni Damasceno, un arabo cristiano vissuto tra il VII e l’VIlI secolo, continuava così: «Se un pagano viene e ti dice: “Mostrami la tua fede”, tu portalo in chiesa e mostragli la decorazione di cui è ornata e spiegagli la serie dei sacri quadri». L’arte diventa, perciò, un annuncio anche per chi non crede. Ed effettivamente nella storia della cultura dell’Occidente tanti si sono awiati verso la fede proprio lungo quella che nel Medio Evo si chiamava in latino la via pulchritudinis, cioè la “via della bellezza”. Ebbene, in questa nostra rubrica noi cercheremo — attraverso esempi piccoli ed essenziali — di mostrare come il bello della Bibbia sia sorgente di arte e di fede, sia appunto un «alfabeto colorato di speranza» come diceva Chagall. O, come affermava un famoso poeta francese, Paul Claudel (1868-1955), sia «l’immenso vocabolario» che è stato usato dall’umanità per comprendere il senso della storia, per celebrare le meraviglie cosmiche.
Basterebbero solo quelle poche parole iniziali della Genesi: Jehi ‘or... Wajjehi ‘or, «Sia la luce!... E la luce fu». Porole semplicissime che squarciano il silenzio del nulla, parole che hanno in sé il brivido della potenza divina che crea senza fatica l’immensità dell’universo. Parole che potremmo commentare con la musica, a partire dall’oratorio La creazione che Franz Joseph Haydn compose nel 1798: nel caos di una modulazione di suoni, che sembra essere infinita, ecco irrompere un celestiale e solare Do maggiore che incarna la parola divina, creatrice della luce. Anche chi non sa leggere la musica può scoprire questa irruzione. Ma su quel versetto della Genesi vogliamo ritornare la prossima settimana.