IL CIELO PARLA DI DIO


Scrivo queste righe in una notte stellata, mentre in cielo s’affaccia la luna giunta ormai al suo plenilunio che cade appunto sabato 19 febbraio. Il pensiero corre all’adolescenza quando sui banchi di scuola s’imparavano i versi leopardiani della Sera del dì di festa: «Dolce e chiara è la notte e senza vento, / e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti / posa la luna, e di lontan rivela / serena ogni montagna...». Più sbarazzina la Ballata alla luna del poeta francese Alfred de Musset (1810-1857): «Era nella notte bruno / sul campanile ingiallito I la luna come un puntino su una i».
Potremmo lasciarci trascinare a lungo dall’onda dei ricordi poetici perché la luna è «facile rima ai sonetti romantici», come osservava lo scrittore Gian Pietro Lucini (1867-1914). Anche la Bibbia si lascia conquistare da questa presenza celeste circondata dallo sciame delle stelle e lo fa con un canto di grande fragranza poetica, il Salmo 8. In questo caso pofremmo dire che il bello della Bibbia (cioè una pagina di finezza letteraria) rivela anche il bello nella Bibbia, cioè lo stupore e la celebrazione della bellezza del creato. Ascoltiamo ora solo alcune battute di quell’inno, nella libera versione di David Maria Turoldo. «Quando il cielo contemplo e la luna / e le stelle che accendi nell’alto, / io mi chiedo davanti al creato: / cosa è l’uomo perché lo ricordi? / Cosa è mai questo figlio dell’uomo / che tu abbia di lui tale cura? / Inferiore di poco a un dio, / coronato di forza e di gloria!» (w. 4-6). Come è evidente il salmista non si ferma a una pura e semplice contemplazione romantica della natura. Anzi, il creato diventa per lui una parabola che permette di costruire un triangolo di contemplazione, Dio-uomo-cosmo.
La prima sensazione è quella di piccolezza. Nel «silenzio degli spazi infiniti», questa «canna pensante» che è l’uomo — per usare le parole del celebre filosofo Pascal — è un granello microscopico. Ancor più insignificante è la sua realtà di fronte a Dio creatore che ricamo nel cielo con le sue dita le costellazioni (nell’originale ebraico si ha: «Quando contemplo il cielo, opera delle tue dita...» e non come di solito si dice nella Bibbia «opera delle tue mani»).
Eppure è proprio questo Dio onnipotente e infinito che si china sull’uomo e lo incorona rendendolo di poco inferiore a sé stesso, sovrano dell’orizzonte cosmico. Sembra quasi di riascoltare la voce di un altro poeta antico, il greco Sofocle, quando nel primo coro della sua tragedia Antigone esclamava: «Molte sono le cose mirabili, ma nessuna è più mirabile dell’uomo!». E in questo spirito che Paolo VI affidò una lamina col testo del Salmo 8 agli astronauti N. Armstrong e E. Aldrin perché la deponessero tra le sabbie lunari.
Eppure questo salmo notturno, bello e dolce, ha in sé un rischio per l’uso che ne può fare l’uomo. Infatti egli può diventare - e la storia ce lo attesta- un tiranno vanitoso e prevaricatore che sconvolge e umilia il mondo. E così, allora, che la lettera agli Ebrei (2,5-9) ha trasformato questo Salmo dell’umanesimo nel canto dell’uomo perfetto, Gesù Cristo, colui che vive in armonia con Dio, coi fratelli e col creato.