L'ICONA DI MARIA


Il mese di maggio è posto dalla tradizione sotto l’icona di Maria. Anche noi seguiamo questa consuetudine e ricorriamo ad alcune “belle” parole che il Vangelo di Luca (1,46-55) pone sulle labbra della Vergine Madre, parole che hanno generato soprattutto tanta “bella” musica, rendendo così più “bella” la preghiera cristiana. Penso che tutti abbiano capito che stiamo nferendoci a quel cantico che di solito è chiamato con la prima parola della sua versione in latino, il Magnifìcat.
Lutero, che aveva dedicato a quest’inno un forte commento spirituale e teologico, ammoniva che «questo cantico della benedetta Madre di Dio dovrebbe essere imparato e ritenuto da tutti». E, infatti, credo che molti nostri lettori lo sappiano a memoria, forse sia in latino sia in italiano avendolo tante volte cantato o recitato durante i Vesperi. Ma per un momento proviamo a guardare il testo nella sua realtà letteraria. Esso, come è noto, è tutto un ricalco di frasi bibliche, in particolare del cantico di Anna, la madre del profeta Samuele (vedi 1Samuele 2).
Il Magnificat si apre con una voce solista, quella di Maria, che parla in prima persona: «Anima mia... mio spirito.., mio salvatore.., la tua serva... mi chiameranno beata...». Poi è
idealmente convocato l’intero coro dei “poveri del Signore”, cioè i giusti, i fedeli, gli umili, per intonare insieme a Maria la celebrazione delle azioni di salvezza del Signore in difesa degli ultimi e dei miseri contro i potenti e i ricchi della terra. Queste azioni sono elencate attraverso sette verbi che hanno per soggetto Dio: «Ha spiegato la potenza... ha disperso i superbi... ha rovesciato i potenti... ha innalzato gli umili.., ha ricolmato gli affamati... ha respinto i ricchi... ha soccorso Israele...». Sicuramente, così come ce lo riferisce Luca, le parole di Maria sono state adattate al canto liturgico della Chiesa delle origini per esaltare le scelte di Dio, estrose e sconcertanti agli occhi degli uomini, come diceva Paolo: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, ciò che è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono» (1Corinzi 1,27-28).
Su queste parole, come dicevamo, s’è disteso nei secoli un flusso di note quasi infinito, a partire dalla purezza del gregoriano al nitore affascinante del Vespro della Beata Vergine di Claudio Monteverdi (1610), al vertice del Magnificat di Bach, 30 minuti di musica altissima, ai due di Vivaldi di grande bellezza e così via fino a molti musicisti contemporanei, come i nostri Luciano Berio e Goffredo Petrassi. Si pensi che il solo Orlando di Lasso (XVI sec.) compose ben 101 Magnificat da 4 a 6 voci.
Io stesso, se guardo alla mia tutto sommato modesta raccolta di dischi, scopro la presenza di ben 22 versioni musicali da parte di altrettanti diversi autori! E nel 1993, com’è noto, c’è stato anche un regista, Pupi Avati, che ha scelto proprio il Magnificat come titolo per un suo film. È proprio vero quello che aveva cantato Maria in apertura del suo inno: «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata!».