MELKISEDEK, il re sacerdote di Salem


« Melkisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abramo».

Così si legge nel capitolo 14,18-19 della Genesi che è proposto nella liturgia del Corpo e del Sangue del Signore celebrata in questa domenica.

Il re-sacerdote di Salem appare alla ribalta della storia di Abramo quando il patriarca è reduce da una sorta di spedizione militare contro i quattro sovrani orientali per liberare il nipote Lot. Abramo attraversa il territorio di Salem, nome arcaico di Genisalemme - che, come è noto, sarà strappata al dan indigeno dei Gebusei solo secoli dopo ad opera di Davide -, e il suo re, che era anche sacerdote della divinità locale el-'eljòn, "Dio altissimo", gli offre ospitalità e un'alleanza di pace.

Il pane e il vino sono appunto il segno di questa accoglienza e concretamente il sostentamento destinato a rifocillare la piccola armata di Abramo. Quest'ultimo accetta il gesto di Melkisedek e lo ricambia con la decima del bottino di guerra, così da confìgurare un patto bilaterale. Fin qui il cuore storico del racconto, per altro carico di interrogativi e di questioni esegetiche che noi non possiamo ora affrontare. A noi, infatti, interessa sottolineare il profilo simbolico che il volto del re di Salem acquisterà all'interno della tradizione successiva, soprattutto cristiana.

Già nel Salmo 110,4 al re davidico si dedica questo oracolo divino: "Tu sei sacerdote per sempre, al modo di Melkisedek".

Era forse questa una forma per assicurare anche al sovrano di Gerusalemine una qualità sacerdotale, diversa da quella del sacerdozio levitico (Davide e i suoi successori appartenevano alla tribù di Giuda e non a quella sacerdotale di Levi).
Ora, questo dato interessa molto all'autore neotestamentario della Lettera agli Ebrei che, volendo mostrare come Cristo sia sacerdote in modo unico e nuovo rispetto all'antico sacerdozio ebraico, ricorre proprio alla figura di Melkisedek (si legga il capitolo 7 di quello scritto che è, in realtà, una solenne omelia).

Innanzitutto si fa notare che il nome Melkisedek tradotto significa "re di giustizia" (più esattamente sarebbe "il Re, cioè Dio, è giustizia"). Poi si ricorda che "re di Salem" vuol dire re di pace". Si ha, così, nel profilo di quel re-sacerdote la coppia dei doni messianici per eccellenza, la giustizia e la pace (vedi il Salmo 72). Poi si marca il fatto che Abramo si lascia benedire da lui, riconoscendone, perciò, la supremazia e, dato che da Abramo sarebbe disceso Levi col sacerdozio ebraico, si afferma implicitamente la superiorità del sacerdozio di Melkisedek.

A questo punto per l'autore della Lettera agli Ebrei la conclusione è spianata: Cristo, discendente davidico, è "sacerdote in eterno alla maniera di Melkisedek", come aveva attestato il citato Salmo 110,4. È in questa luce che la tradizione liturgica non ha esitato a riconoscere in quel pane e in quel vino offerti dal re di Salem ad Abramo un simbolo dell'Eucaristia che il perfetto re e sacerdote Cristo offre ai fedeli da lui benedetti e santificati.