BALDASSÀR E LE TRE "MISURE" DI DIO


È notte fonda e un ricco proprietario terriero si sta rigirando nel suo letto. All'improvviso una voce lo chiama: per lui la vita è giunta al capolmea e tutti i suoi possedimenti e le sue ricchezze a chi andranno? È questo il cuore della celebre parabola lucana che la liturgia ci propone in questa domenica (Luca 12,13-21). A quella notte noi ne accostiamo un'altra ad essa parallela. Protagonista è Baldassàr ("dio Bel, proteggi il re!"), l'ultimo re babilonese che è messo in scena nel capitolo 5 del libro di Daniele.
Una scena di straordinaria tensione, che ha conquistato la storia dell'arte e della letteratura. Canterà Heine, poeta tedesco, nella sua ballata Balzatzar (1822): "Ed ecco, ecco, sulla candida parete una mano come d'uomo comparve. Lettere di fuoco scrisse. E scomparve".

Sì, perché nel banchetto sontuoso che questo sovrano ha organizzato, usando tra l'altro i vasi sacri trafugati dal tempio di Gerusalemme dal suo antenato Nabucodonosor (e non "padre" come dice il libro di Daniele), irrompe una presenza misteriosa e sconcertante. Una mano spettrale delinea sulla parete della sala tre strane parole aramaiche:

Mette, Teqel, Peres.

Di per sé i tre termini indicano altrettante monete antiche, cioè la "mina", il "siclo" e la mezza mina.

Sarà Daniele a decifrare il significato simbolico di quel trittico di parole arcane e, a prima vista, oscure.

Egli lo farà risalendo a tre verbi che assomigliano alle parole scritte dalla mano misteriosa. Mene rimanda al verbo che esprime il "misurare" (mnh); Teqel evoca il verbo "pesare" (tql), mentre Peres richiama il verbo "dividere" (prs).

I tre vocaboli, allora, si compongono in un messaggio inquietante, analogo a quello che risuona nella parabola di Gesù: Dio "ha misurato" il regno di Baidassàr e gli ha posto fine; l'«ha pesato» sulla bilancia trovandolo mancante; il regno ormai sta per essere "diviso" e consegnato ai Medi e ai Persiani.

La condanna divina è, perciò lapidaria e l'autore sacro - semplificando la storia - la mette in esecuzione già in quella notte. Il regno è conquistato da Dario il Medo, in realtà un sovrano che non è mai esistito, frutto della confusione storica del narratore biblico, il quale scrive a distanza di quattro secoli da quegli eventi. Storicamente, infatti, Babilonia fu conquistata dal re persiano Ciro (e non da Dario, che è un sovrano persiano successivo) nel 539 a.C. In quell'occasione Baldassàr - il suo nome in accadico, la lingua della Mesopotamia, era Bel-shar-ussur - fu assassinato dal governatore della città di Babilonia, Gobryas, passato al nemico.

Rimane, comunque, la figura tragica di Baldassàr che Daniele fa assurgere, con l'antenato Nabucodonosor, a lezione per i potenti di tutti i tempi: "Tutti i popoli, le nazioni e le lingue lo temevano e tremavano davanti a lui: egli uccideva chi voleva e lasciava in vita chi gli aggradiva, innalzava chi gli pareva e abbassava chi voleva. Così il suo cuore si era inorgoglito e il suo spirito si era indurito fino all'arroganza: perciò, fu deposto dal trono della regalità e gli tolsero la sua gloria... Dio altissimo domina sui regni umani, sui quali colloca chi egli vuole" (Daniele 5,19-2 1).