ISAIA, "IL PRIMO DEGLI EVANGELISTI"


È il profeta che l'Avvento cristiano spesso coinvolge nelle sue letture liturgiche: accade anche in questa terza domenica. Eppure il brano che viene proposto, tratto dal capitolo 35 del libro di Isaia, è ricondotto dagli studiosi a un altro profeta anonimo.

Sì, perché Isaia è come un maestro che ha creato una sorta di scuola profetica durata un paio di secoli e i vari scritti sono confluiti, sotto il manto della sua autorità e del suo nome, nel libro che è detto appunto di Isaia e che si compone di 16.930 parole ebraiche, distribuite in 66 capitoli (quasi il 6% dell'intero Antico Testamento).

È arduo, nel nostro breve ritratto, parlare in modo compiuto di questo profeta che ha dominato la seconda metà dell'VIII sec. a.C., che è stato considerato quasi il Dante della poesia ebraica, che è stato definito da san Girolamo "il primo degli evangelisti" per l'uso frequente dei suoi testi messianici da parte del Nuovo Testamento. Il suo nome, tra l'altro, assomiglia per etimologia a quello di Gesù: significa, infatti, "il Signore salva", proprio come Matteo ci ricorda riguardo a Gesù che "salverà il suo popolo dai suoi peccati" (1,21).

La presenza di Isaia sulla ribalta della storia tormentata dei due re di Giuda, l'ostile Acaz e il giusto Ezechia, è testimoniata dai primi 39 capitoli del suo libro, anche se alcuni di essi sono da attribuire ad autori e a epoche successive (i capitoli 24-27 e 34-39). Un fascicolo di essi, dal 7 al 12, è particolarmente caro alla tradizione cristiana perché mette in scena un re atteso, cantato come l'Emmanuele, in ebraico "Dio con noi", segno della vicinanza più intensa del Signore al suo popolo.
Forse il profeta riponeva le sue speranze innanzitutto nel citato re Ezechia, un sovrano giusto e fedele, ma le sue parole delineano un orizzonte ancor più luminoso e glorioso.

È per questo che nel re Emmanuele la tradizione giudaica ha visto il profilo stesso del Messia e quella cristiana il volto di Cristo, presenza suprema di Dio in mezzo all'umanità. Anche i capitoli successivi, dal 40 al 55, opera di un profeta cantore del ritorno degli Ebrei dall'esilio babilonese, evento accaduto due secoli dopo Isaia, nel 520 a.C., contengono pagine che il cristianesimo ha letto come una prefigurazione del Cristo sofferente della passione: si tratta dei cosiddetti "canti del Servo del Signore", presenti nei capitoli 42,49,50 e 53. Infine, un'ultima sezione del libro di Isaia (capitoli 56-66) ci riporta ancor più avanti nella storia di Israele, quando il tempio di Sion, distrutto dai Babilonesi, rinasce ed è un segno di luce per i popoli.

Isaa con la sua parola severa e dolce al tempo stesso, con un messaggio che è stato ampliato per oltre due secoli, ci testimonia la fecondità della Parola di Dio che, attraverso la voce dei suoi profeti, risuona con vigore inquietando e consolando, gridando e educando, ma soprattutto facendo balenare la speranza in un mondo in pace: "Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo... Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore!" (2,4-5).